Disegno di A. N. Avinov: Nascita del sacerdote
Al
direttore della dissertazione signore professore Beschìn ed all’
assistente signore professore Martini dall’ aspirante della Laurea
Specialistica: Filosofia e linguaggi della modernità di Alexander
Kiriyatskiy (matricola 103686 dell’anno accademico 2003/2004
/ 10 cm 2002/2003)
LA DISSERTAZIONE della LAUREA SPECIALISTICA
quinquennali
Il ruolo della memoria per la «Rovina di Atlantide» di
dell’ aspirante dell’ Università degli Studi
di Trento del dott.
Alexander Kiriyàtskiy
INDICE
OGGETTO DELLA DISSERTAZIONE
B) GENERALIZAZZIONE E OGGETTIVAZIONE:
TRE TIPI DELLA MEMORIA
OGGETTI STUDIATI:
Gheorghi Golokhvàstov nella «Rovina di Atlantide» /circostanza storica,
destino, breve descrizione dell’opera/. . (Gennadi Golochvastov, “Rovina di
Atlantide”, Edizione della Società degli amatori del linguaggio
squisito, New York 1938)
A)
Le memorie della sensazione, della saggezza umana e della divinità.
B)
L’ambito della memoria dell’intelletto o della saggezza
umana come sintesi delle informazioni degli oggetti concepiti da noi mediante
la coscienza.
L’ epoca
successiva alla rivoluzione aveva molti elementi in comuni con il tempo di
Boezio, in cui il prezzo della civilizzazione era percepito anche come la perdizione
lasciata nel passato. Peggio dei barbari gotti, i comunisti, simili ai
longobardi negli anni successivi al 568, a partire dal 1917 si impegnarono
nella distruzione dell’ eredità della civilizzazione: diritto, fede,
cultura, relazioni economiche, ecc.. Il
loro disprezzo per l’arte e per la scienza, trasformava artisti e scienziati in
schiavi senza diritto alla parola costretti a servire soltanto gli interessi
dei loro oppressori. I comunisti barbari del XX secolo uccidevano bruttamente
non solo i loro nemici. Essi obbligavano a morire, nelle tormente, non
sottoposti fino alla loro caduta del 1991. Rapidamente dall’ autunno del 1917
cominciarono a perseguitare i loro rappresentati non tanto attivi, come esigeva
Lenin e dopo Stalin, che introducono le leggi dell’ inquisizione medioevale per
tenere il popolo nella paura interrotta, inviando alle esecuzioni, ai diversi
campi di concentramento, ecc. più di 45 milioni di cittadini.
La famiglia di Gheorghi Golokhvastov non torna alla
Russia dopo la revoluzione di ottobre si va in nave verso l’America.
Negli Stati Uniti il futuro poeta cresce e riceve l’aristocratica
istruzione che non gli fa perdere l’ eredità della cultura russa che si
apre alla percezione di tutta la cultura mondiale. Per rappresentare tutte e
due insieme a Gheorghi sconosciuto
diventa lo scopo della sua famiglia, nascono la traduzione libera della
“Parola del reggimento di Igor” fatta da Gheorghi Golokhvastov, i suoi mezzo
sonetti, la lirica spirituale, la “Rovina di Atlantide”, ecc. sotto l’
influenza di tutta la cultura mondiale.
Esistono cinque cause, per
cui molti critici russi non riconoscono il talento di Golokhvastov sulla base
delle sue opere letterarie.
1) Nell' epoca del comunismo tutti gli
intellettuali che si trovavano fuori dall'
Unione Sovietico e rimanevano indipendenti dall' Impero dei comunisti non esistevano per la critica ufficiale,
dove si svolgevano: Ghìppius, Meregikòvski, Bùnin,
Tèffi, Tsvetàieva, Gumiliòv, Briùssov,
Severiànin, ecc.. Golokhvastov manteneva i contatti con la famiglia
regia di Romanov ed anche con la nobiltà antisovietica.
2) Golokhvastov non
diventò famoso prima della rivoluzione come gli scrittori chiamati
prima. Un po' più
fortunato di Golokhvastov fu Igor Severiànin purché egli non
divenne celebre abbastanza prima della rivoluzione. La società
letteraria di Ghippius gli pagava la borsa che Severianin non stampasse le sue
poesie. Così hanno voluto neutralizzare la concorrenza all' elite che fu fondata già tra
gli emigranti. Gheorghi Golokhvastov era sconosciuto prima della rivoluzione
dunque questa elite gli sarà rimasta chiusa.
3) Golokhvastov non abitava
in Europa. Quando furono stampati i quattro suoi libri con i soldi della
società dei nobili russi (1933 - 1944) negli Stati Uniti il presidente
Roosevelt difendeva alcuni principi di matrice socialistica e collaborava con
Stalin nella seconda guerra mondiale. Per questa ragione tutti gli elementi
antisovietici non si accettavano negli Stati Uniti nella stessa misura in cui
si accettavano in Europa. Gheorghi Golochvastov apparteneva alla società
degli amatori della poesia esquisita, dunque i suoi libri si pubblicarono nell' alfabeto antico. Questi due fattori
(poesia esquisita ed alfabeto) irritavano i rappresentanti di Roosevelt e dell' Impero Sovietico.
4) La poesia lirica di
Golokhvastov è inferiore alla sua poesia epica perché rassomiglia
quella di altri poeti. Perciò la sua lirica è peggiore della
lirica di molti poeti russi del XX secolo. La lirica di Golokhvastov coltiva le
tradizioni del secolo precedente.
5) Nel XX secolo nessun poeta
russo è riuscito a scrivere nel genere epico qualcosa paragonabile alla
“Rovina di Atlantide”. L' ossequio per la tradizione di
Golokhvastov fece che la poesia epica del Medioevo si potesse sviluppare nel XX
secolo come in quello precedente, ma non
nacquero talenti per continuarla. Due o tre anni fa su internet comparvero
alcuni articoli di filologi indipendenti che cercavano di definire il ruolo
della “Rovina di Atlantide”
nella storia della letteratura.
Come prima oggigiorno la
società non gradisce gli sconosciuti, i quali talora cozzano contro la
società costituita e spingono la letteratura in una direzione
dimenticata o nuova perché non sono del tutto corrisposto alle
tradizioni del tempo.
La descrizione spirituale
della “Rovina di Atlantide” fa
ricordare quella di Dante, ma la composizione musicale rassomiglia un po’ alla “Gerusalemme Liberata” di Torquato
Tasso.
Solo quando i personaggi dell' epopea leggono manoscritti e
preghiere religiose, l' autore
passa alle terzine dantesche per mettere in rilievo alcuni testi sacri. Lo
scopo generale della dissertazione è un confronto e non un paragone dei
concetti e delle idee. Sebbene l’ opera non tratti dello stesso soggetto della
“Divina Commedia” e non provenga neppure della stessa fonte, esiste una fonte
indiretta.
Lo scopo secondario è di confrontare la “DIVINA
COMMEDIA” e la “Rovina di
Atlantide” (B 2 secondo l’epilogo “Letterature comparate”).
Lo scopo principale si
risolve nei tre concetti (sensazione, saggezza umana e divinità) del
capolavoro di Golokhvastov.
Il narratore, che scrive in
prima persona, legge Platone. Capisce che la storia dell' Antichità avanzata conserva il mistero di Atlantide.
Il tempo ha dimenticato il tutto nelle guerre infinite. Il poeta ricorda il
passato e si riconosce nella vita precedente mille anni fa prima della
reincarnazione. La prima breve parte dell'
epopea stampata nelle prime 10 pagine si intitola i “Miracoli di Atlantide”.
La seconda parte si chiama l' Atlantide e consiste in XLVIII
capitoli da pagina 27 fino a 252.
L'
autore, il servitore supremo del tempio di Ra in Atlantide si riconosce e corre
con la memoria al passato. Lo stato dell'
anima mi ricorda il sentimento di Dante Alighieri nel primo canto dell' Inferno fino all'
apparizione di Virgilio (61-81).
Il primo capitolo della Rovina di Atlantide descrive l’età
d' oro che riflette quasi interamente quello delle Metamorfosi di Ovidio. La prima metà
del secondo capitolo (unisce le età d' argento, di bronzo e l’inizio di quella di ferro) imita, come
Ovidio, la descrizione della causa del passaggio all’inizio dell’ età di
ferro dove alle anime primitive Dio sembrava sconosciuto minaccioso e odioso. La
nascita e l' insegnamento del
profeta Atlasso cambiano l’uomo. Egli spiegò che l’ uomo dovesse
vergognarsi la comprensione dell'
insuccesso terrestre che la civilizzazione non lo chiamasse la punizione del
cielo. Gli atlanti vogliono costruire il grande tempio di dio Ra con lui, col
suo gemello, dopo con quattro minori paia dei primi grandi gemelli.
Il terzo capitolo narra dell’
ascesa di Atlasso al trono del primo re di Atlantide. Il profeta ordina di
iniziare la costruzione del tempio di sette torri l' una sull' altra di sette diversi colori: bianco, nero, rosso, blu,
giallo, argento e oro.
Disegno di A. N. Avinov: Nascita dello Ziggurat
L' alternanza dei primi tre colori (bianco, nero e rosso) ricorda
la descrizione dei tre gradi sotto il giro alla porta del purgatorio della COMMEDIA di Dante (Purg., IX
Canto: 94-103). Il tempio di Ziggurat è costruito sull' ultima torre si dipinge nel ruolo
della porta al purgatorio dove gli atlanti salgono per pulire le anime. Questo
capitolo narra di cinque copie dei gemelli che separano tra di loro le isole
vicine ad Atlantide. Golokhvastov versifica il soggetto del dialogo di Emocrato
e di Crizia del “Crizia” di
Platone. L' autore allude al
gemello Eumelo e alle altre quattro copie nel Crizia (Platone,
“Dialoghi” VI vol., La terza 1993, Roma-Bari).. Nel poema sono assenti i nomi di ogni dei fratelli
maggiori di ogni copia che si chiamano Amfereo, Eumeno, Autottono, Elasippo e
Mnestro. Nella quarta pagina del terzo capitolo si versifica nello stile
dantesco la descrizione platonica della città Atslano capitale di
Atlantide. Sono tre giri dei canali rotondi e tre parti della terraferma all' interno di essi dove nel centro si
trova il tempio di Ziggurat. Si descrivono il
porto, i ponti, le muri cittadini e il canale a settentrione che conduce
al mare, ecc., nella “Rovina di
Atlantide”. Quelli superano di molto gli analoghi nel Crizia di Platone.
Passa il tempo. Il narratore
adombra se stesso nella vita del sacerdote supremo di Ra. Il suo volto è
inciso nel soffitto del tempio. Egli mette a tacere i suoi sentimenti corporali
della vita per depurare l'
anima ed entra sulla quadriga in Atslano vestito nella toga rossa del
sacerdote supremo per la vecchiaia. Egli fa dimenticare il suo nome
affinché quello non figuri per molti anni tra i numerosi peccatori.
Il V capitolo è dedicato al mondo dell' armonia dei morti. I tre successivi trattano della famiglia
regia. Viene descritta la vita precedente dell' autore sotto i costumi del sacerdote. L' Impero dell'
isola Atlantide (palazzi, fori, arche e colonne) assomiglia all' Impero Romano della prima
metà del IV secolo D. C.
Quando nacquero un principe e
una principessa gemelli cadeva una pioggia di stelle geminati (gemini dei
gemelli) che previdero il loro destino miracoloso. Per predirlo il sacerdote legge
manoscritti antichi. Allora egli capisce che il loro ruolo avrebbe stato quello
di salvatori del mondo. Dopo quindici anni li avrebbero aspettato l' amore divino, la morte, l' inseparabilità, in cui fra
tutti e due è il legame a Dio, avrebbero passato numerosi vulcani ed
inondazioni. Il sacerdote di Ra desidera salvarli, però non rende conto
che dovrà sottrarli dal suo stesso spirito!
La felicità e l' amicizia accompagnano l' infanzia. A poco a poco l’ amicizia
si trasforma in amore platonico. I gemelli capiscono tragicamente che all' età di quindici anni ambedue
si amano come fidanzati. Sono fratelli e non potrebbero raccontare il segreto
terribile a nessuno! Nella selva i fanciulli predicano al gioco, la principessa
nascostasi, perde la sua ghirlanda d'
erba che cade nel ruscello. Ella indovina: la sua vita con l' amato durerà quanto
sarà il galleggiamento della ghirlanda sulla superficie corrente del
fiume e subito essa affonda.
Il capo dell’ esercito di
Atlantide diventata molto peccata spalma il suo corpo dal sangue di prostitute,
schiave nella plebe maledetta dal sacerdote. Egli è stato innamorato
della principessa. All'età
di quindici anni il fratello deve trascorrere una notte con delle donne per
diventare adulto. Questa notte si trasforma nell' orrore per la principessa. Numerose giovani ragazze l' invitano a passare con esse la sua
prima notte. Nessuno è a conoscenza del mistero dei gemelli. La sorella
resta in solitudine. Le sembra che molte donne bacino ed abbraccino il suo
amato e non vuole vivere dalla tempesta vicino al mare. Grida
inconsapevolmente: «Egli è mio!», però nella sua immaginazione le
donne rispondono: «No! Egli è nostro». Sembra che gli spiriti di quelle
allontanino il suo preferito, ella ripete nella sofferenza al vento: « Egli
è mio!», ma come un eco esse rendono nella tempesta del mare: «No! Egli
è nostro!»
Infatti il fratello mentiva
che egli fu il ragazzo precoce ed egli non capiva niente dell' amore e non volle nessuna delle
donne. Così egli ingannava per quanto l' una
fosse più bella dell'
altra. L' indomani mattina la
principessa non può parlare col principe e non risponde allo scherzo. La
sorella non crede possibile che non sia successo niente tra egli ed esse. Il
fratello giura che il suo amore
è eterno. Il principe si meraviglia come ella abbia immaginato che egli
l' avrebbe tradito.
Il re aspettava la nave nera del barbaro
androfago nemico (XXIII capitolo). Solo quando si convince delle sue buone
intenzioni che il re invita l'
ambasciatore androfago all' interno
dei muri grossi di tre colori. Il XXIII capitolo descrive la città
Atslano. La sua descrizione riflette l’analogo del poema più lungo del “Satiricon”
di Petronio (Petroneo, “Satiricon”, introduzione di Luca Canali, traduzione di Ugo
Dettore, Biblioteca Universale Rizzoli 1953, 1981 RCS Rizzoli, Libri S. p. A.,
Milano 1981, 87) dove il più
vecchio dei tre amici descrisse poeticamente l' esercito invincibile di Roma.
Allo stesso tempo il XXIV
capitolo racconta che tra i manoscritti antici e polverosi del tempio il
sacerdote di Ra, dalla cui voce si narra la “Rovina di Atlantide”, trova una scura pergamena a metà
mangiata con i vermi dove nelle terzine di Dante si narra del profeta Atlasso,
come Dio è sceso per regalargli il mistero dell' immortalità. Erano sette gradi, sette gradini come
sette P, i peccati che il portinaio del IX canto del Purgatorio di Dante scrisse col punton' della spada sulla
fronte di Dante Alighieri prima di salire in cui tre gradini (bianco, di
colore più scuro del perso e rosso) che Dante e Vergilio salgano alla
porta del purgatorio. Nella “Rovina di
Atlantide” si avverte l'
influenza di Dante Alighieri ma questi sette gradini dei peccati vengono
rappresentati da Golokhvastov invece come i sette gradini all' immortalità infernale sulla
terra che il sacerdote di Ra conoscerà alla fine. Questi gradini sono
rappresentati nel manoscritto 1) dalla Verginità, 2) dall' inseparabilità con Dio, 4)
dalla Fede inesauribile, 5) dal Saggio, 5) dall' Amore di figlio, 6) dalla Fioritura del tatto, della vista e
dell' udito, 7)... traverso la pergamena era stata stracciata
con la mano tremante. Il cammino verso la sapienza dell' immortalità eccita il
servitore supremo dello Ziggurat.
La principessa arriva al
servitore e con timore racconta del loro amore contro natura nel XXV capitolo.
In futuro la società potrebbe essere più libera ed indipendente,
allora quella capirà la loro sofferenza. Ma, No! No!!!
I l servitore scende nel
tempio sotterraneo chiuso a tutti ed aperto solo a lui nei capitoli seguenti
dove i servitori di Ra appaiono assai raramente, dove giacciono i sarcofagi
delle mummie; si sente gorgogliare di due sorgenti di due inizi. Sono le fonti
della morte e della vita, rappresentati con l' acqua morta e con l' acqua
viva. Il sacerdote di Ra trova un scheletro nel tempio dei morti. Non sapendo
chi è, guarda, tenendo nella mano, il suo cranio giallo e orribile. Vede
sul suo collo un amuleto di oro che ha la forma di un uovo. Il
sacerdote capisce che questo era il profeta Atlasso, è colui che
stracciò il settimo gradino per non svelare il mistero dell' immortalità. Perché
il profeta non desiderò diventare immortale? Chi sceglie la morte? L' ultimo grado si nasconde nell' unità inseparabile del
maschile e del femminile, nell' inseparabilità
tra la morte corporale e il desiderio di due amati di diventare un solo
Androgino d' armonia. Decidono
salire per i gradini precedenti per unificarsi nell' Androgino Spirituale, con lo scopo di regalare con la loro
morte a qualche esecutore dei rituali la sapienza dell' immortalità.
La
cerimonia grande incontra l'
ambasciatore barbaro. Egli regala i doni ricchi al regno degli atlanti. La
principessa spaventata ed innamorata del fratello lo respinge e il re padre
risponde che tutti gli atlanti sono liberi di decidere ciò che debbono
fare. Il capo dell’ esercito, visto il segno del principe alla principessa,
capisce tutto. Egli e il barbaro la rapiscono ed abbandonano la capitale dell' Atlantide navigando. Il fratello
innamorato, che mostra la forza dell’ esercito, si trasformò subito nel
nuovo capo dell’ esercito e raduna la marina da guerra di tutta l' Atlantide e velocemente raggiunge
la nave nera con la sorella rapita e dopo una battaglia prolungata vince.
In casa passa la celebrazione
della vittoria. Nessuno sa che i gemelli
si amano. Il servitore supremo di Ra pensa che siano essi, il principe e
la principessa a dovere unire le anime nell' Androgino leggendario.
Il sacerdote supremo di Ra
crede di fare due imprese gloriose, farà felici i gemelli nell' Androgino e la loro morte
desiderata lo farà immortale.
Allora il sacerdote supremo
racconta il mistero alla sorella come si potrà aiutare al loro amore
contro natura. Il fratello sostiene il pensiero dell' educatore spirituale nel convegno con la sorella,
poiché tutti e due non
desiderano continuare la vita ove non fossero insieme.
Molte pagine sono dedicati
alla loro speranza: con che miracolo i gemelli saliranno al cielo. Per l' usanza disegnata nella prima pagina
della prima pubblicazione del libro il principe e la principessa felici si
danno alle mani della morte tra la sofferenza corporale, quando il sacerdote
versa il loro sangue in un’
anfora col serpente. Dopo il sacerdote supremo del dio Ra distrugge i loro
corpi, che sono privi di vita, con l'
acqua morta presa nel tempio sotterraneo. Dopo nelle regole del culto
dimenticato tre volte spruzza l'
aria con l' acqua viva sopra l' anfora del loro sangue dove sale un spirito dello sfinge multicolore che
rassomiglia ad entrambi. Non gli interessa questo mondo, lo spirito vola sull' anfora piena del loro sangue ed
esso comincia a bollire. Qui Gheorghi Golokhvastov finisce la seconda parte che
si intitola l' “Atlantide”.
La terza parte la “Rovina di Atlantide” è breve
come la prima ed è stata editata solamente in 9 pagine. Questa miscela
di sangue come un' ombra rossa
grande sale al cielo per provocare l'apocalisse.
Si ricorda la descrizione della morte di Pompea quando si leggono queste pagine
per paragonarle all' Inferno di
Dante
Disegno di A. N. Avinov: Morte del sacerdote
Il sacerdote vede come Atlantide affonda tra le onde dell' oceano. Nell’orrore invoca la morte da Dio per salvare benché le
terre rimanenti dei barbari e muore subito come gli uomini. Così termina
la terza parte.
La prima pubblicazione della Rovina di Atlantide si data dal 1938.
Per 300 copie pagò la società degli amatori della poesia
russa esquisita con i seguenti contribuiti:
1) La Grande Contessa Ksènia Alexàndrovna Romànova.
2) La Grande Contessa Olga Alexandrovna Romanova.
3) La Contessa Ksenia Gheòrghievna.
4) La Contessa Nina Gheòrghievna e il Conto Pàvel
Alexàndrovitsch Ciavciavàdze.
5) L' Associazione
della Lebguardia del Reggimento Egerico: i 114 nomi dei grandi nobili: B. C.
Iliàscenko, A. N. Avìnov, E. N. Sciumàtova, ecc..
Disegno di A. N. Avinov: Rovina di Atlantide
Le illustrazioni alla prima
pubblicazione del libro la Rovina di
Atlantide sono state fatte dal nobile A. N. Avìnov.
Ci sono alla prima parte «Miracoli
di Atlantide»: 1) Mistero dell' immortalità,
2) Segreto dell' isola
stupenda, 3) Mistero del sacerdote supremo di Ra.
Ci sono alla seconda
parte l' «Atlantide»: 1) Nascita dell' Atlantide,
2) Nascita dello Ziggurat, 3) Nascita del sacerdote, 4) Nascita dei gemelli, 5)
Vicino al portone della sapienza, 6) Vicino al portone dell' amore,
7) Vicino al portone dell' immortalità, 8) Vicino al portone della
morte.
Ci sono alla terza parte la «Rovina di
Atlantide»: 1) Morte del sacerdote, 2) Fine dello Ziggurat, 3) Rovina di
Atlantide.
La logica della legge di Adrastea
sta nel porre a fondamento del destino individuale la visione della
realtà vera, da cui dipende la capacità di giudicare e di
scegliere rettamente. Compare qui il tema della memoria come mediazione profonda tra verità e
coscienza, luogo inconscio dell’ identità individuale e delle
possibilità di sviluppo a disposizione di un’esistenza: un’anima che
abbia goduto anche pochi frammenti di autentica visione, trattenendone la memoria,
non perderà la sua posizione nella parte alta dei valori spaziali,
conserverà ali e leggerezza; ma un’anima che, perso il controllo della
guida, si sia riempita “di oblio e di cattiveria” (248c 7),
precipita nella pesantezza e per una volta soltanto le sarà risparmiata
la degradazione di impiantarsi in un corpo animale (248c 9-d 1). La forma umana
appare allora in molti sensi una condizione intermedia, un luogo di passaggio,
di scelta, di possibile transizione. Più che il rapporto con il corpo,
è il rapporto con la propria interiorità a diventare problematico
per l’anima, che adesso, chiuso il passaggio reale e mnestico verso l’ identità perduta,
potrà riconoscere se stessa solo attraverso le figure sociali in cui le
accade di incarnarsi… (1) (“Fedro: Le parole e l’anima” a
cura di Fulvia De Luise (p.201) 1997 Zanichelli Editore S.p.A.,
via Irnerio 34, 40126 Bologna (88838 Commentario: 248c-249b. Il secondo
discorso di Socrate: e) la legge di adrastea e il ruolo della memoria)
Infatti in Platone il problema
dell’ “io” è ancora indissolubilmente legato a quello dell’anima, cosi
ché lo stesso linguaggio filosofico di Platone non usa altra
terminologia, per un simile problema, se non quella che si riconnette, in un
modo o nell’altro, al concetto fondamentalmente di “psichi”… La distinzione fra
i diversi gradi di certezza si fonda sulla distinzione fra le diverse parti
dell’anima… sebbene il Teeteto definisca ancora l’unità della coscienza
come unità dell’anima, come en ti yuchV , questo concetto dell’anima
è libero da tutti gli elementi mitico primitivi… La filosofia di Platone
conosce due forme di esposizione nettamente antitetiche l’una all’altra, di cui
l’una vale per il regno dell’essere, l’altra per quello del divenire. (2) (Ernst
Cassirer “Individuo e cosmo” nella filosofia del rinascimento(pp. 199-200).
(Leipzig, G. B. Teubner, 1927) Traduzione di Federico Federdi. Proprietà
letteraria Reservata)
Sovente l’anima nel corpo confonde tutti e tre i tipi
di memoria.
Secondo il primo libro di
“Isagoge” di Boezio, in tutti i corpi vivi, regna la potenza triplice dell’
anima. La prima parte non è preoccupata che del crescere e del nutrirsi.
La seconda parte (sensus), corrispondente alla memoria della sensazione fa
differenziare i sentimenti e le percezione della vita. La terza parte è
fondata sulla potenza dell’ intelletto (ratio) e della mente (mens). La prima
senza la seconda e senza la terza caratterizza solo la vita vegetale delle
piante e si relaziona solo all’ livello inferiore istintivo che,
dall’incoscienza si avvicina al livello inferiore della terza memoria della
bellezza divina, la cui memoria ubbidiente è quella della sensazione
suprema ma quella essenziale è la memoria divina (la nostra terza che
è data da Dio, prima della nascita). La seconda parte (sensus /la nostra
prima memoria/) della potenza triplice dell’ anima senza la ratio e la mens non
possiede che la prima parte non dominante ed è stata destinata agli
animali. Quelli possiedono la memoria vegetale che già rispecchia tutto
ciò che era visto e sentito, ma percepiscono solo le formae rerum. Le
forme delle cose influiscono sugli animali che le ricordano attraverso la
presenza di qualche corpo. Se il corpo si allontanasse essi conserverebbero le
immagini nella sensazione come le altre forme percepite. Queste imaginationes
sono state confuse, male chiarite e non assimilate. I frutti della prima
memoria degli animali sono capaci di ricordare qualcosa caoticamente.
Però se gli animali dimenticassero qualche immagine non sarebbero capaci
né di restaurarla né di ricordarla logicamente, perché
all’interno dei frutti della prima memoria (dopo la prima separata fra essa e
gli animali) è assente la
benedizione divina. (Bordai: Boezio, “Commento a
Porfirio” (pp. 348-360)Editore “Scienza” Mosca 1990)
Solo gli uomini hanno la facoltà logica dell’
imaginatio e dell’ inteligentia. L’ umanità possiede la nostra seconda
memoria e la terza di Boezio, che mediante l’immaginazione e con l’
intelligenza analizza, accumula, sistematizza e sintetizza le cose e gli eventi
del presente, del passato e del futuro. Esistono le informazioni, nella vita
umana, solo sulla base della memoria dell’intelletto in cui partecipa quella
della sensazione. Senza partecipazione della memoria dei sentimenti, quella
seconda non è che i morti testamenti documentali. Ad esempio, esiste il
fatto che sotto la terra è l’ amuleto col mistero dell’
immortalità ma non c’ è
nessun soggetto.
Solo ai talenti è conosciuta la memoria della
bellezza divina come ai gemelli e al servitore di Ra, in cui la nostra terza
è come la quarta suprema inesistente di Boezio. L’autore costruisce
molti caratteri mediante la diffusione con la prima (seconda di Boezio) e la
seconda (la terza di Boezio). Ad esempio, il carattere della sorella che
desidera sapere il futuro secondo l’itinerario della ghirlanda sulla superficie corrente del fiume. Il
carattere romantico fedele, passionale e geloso non fa dorme ed obbliga a
soffrire tutta la notte in cui il fratello viene tentato dalla lussuria. Il
carattere del fratello è diverso perché esso possiede la potenza
maschile. Il suo carattere è molto simile al carattere della sorella. Il
carattere del sacerdote di Ra deve essere simile al carattere dell’ autore sebbene
siano gli antipodi. La terza memoria della bellezza divina è dominante
nel carattere dell’ autore, la prima memoria della sensazione domina nel
carattere del servitore di Ra che ancora lo obbliga a rimanere nel mondo delle
formae rerum sempre anche a non morire mai.
Nessuna delle tre memorie può esistere isolata
dalle altre due nell’anima umana. L’appartenenza ad ogni tipo di memorie
è stata definita mediante la maggioranza delle loro proprietà
nell’ anima di ogni protagonista.
La memoria della sensazione è la nostra prima.
Essa riflette tutto quanto viene visto e sentito. Quella conquista l’anima e
l’uomo felice non desidera mai abbandonare il suo ambito. Quando gli uomini,
invece sono infelici come i gemelli e vogliono l’indipendenza dal mondo
materiale questa dipendenza è concentrata nel desiderio di abbandonare
le forme delle cose prima della scadenza. Allora in entrambi casi vengono
dominati i sentimenti sopra l’intelletto e sopra la sintesi delle conoscenze,
quando la memoria della bellezza divina comincia a diminuire e l’anima allo
stesso tempo comincia ad invertire la sua essenza mediante l’aspirazione
incosciente a qualche supremo dimenticato: nel primo caso rimanere sempre nel
mondo della memoria della sensazione, nel secondo caso l’ inversione si
manifesta attraverso il loro amore innaturale che non potrà continuare
la loro vita.
Quando domina la memoria della sensazione e il secondo
posto è separato parimente dalle altre memorie, i proprietari di queste
anime si evidenziano come i partecipanti delle feste di Atlantide. Quando
nessuna memoria è stata dominata, i portatori di quelle anime sono
caratterizzati così come recita Dante Alighieri nel III canto dell’
“Inferno” nei versi 34-51: “e la lor cieca vita è
tanto bassa, // che ‘nvidiosi son d’ ogni altra sorte” (47-48). Questi sono gli ignavi “che di sé non davano
alcuna cagione di parlare.“ (Boccaccio) Pensaron solo a sé; non seguendo
il ribelle Lucifero, né san Michele. Per la loro viltà, i cieli
li disdegnano, ché male sarebbero stati accanto ai beati: né li
vuole l’ inferno, perché gli angeli che furon risolutamente ribelli
avrebbero, a paragone di que’ vizi, trovata ragione d’insuperbire. (Cfr. Conv.,
II, 33). (p.25) …Essi non hanno speranza di morte: “la speranza che il loro
misero stato abbia a cessare” (Casini). Nel mondo non è rimasta di loro
alcuna memoria. (“La Divina Commedia” ristampa
anastatica dell’editore G.C. Sansoni p.3 (p.27), Firenze 1922,1988)
Se nel dominio della memoria della sensazione il
secondo posto è occupato dalla memoria dell’intelletto i proprietari di
queste anime diventano peccatori senza poter fare nulla con i progetti buoni o
cattivi che sono stati inutili sempre. Se il secondo posto occupa la terza
memoria della bellezza divina, affinché sia un uomo conoscitore di
qualche arte ma senza talento destinato a soffrire da tutta la vita.
Platone descrive precisamente questo stato dell’
anima: …ma rimangono poche a cui resta a sufficienza la
capacità di ricordare; e quelli, nel caso in cui vedano una qualche
immagine delle cose di là, ne sono sbigottite e non sono più
padrone di sé. Ma quello che è questa emozione non sanno,
poiché non riescono a discernere in modo sufficiente… non c’ è
nessun bagliore nei simulacri di quaggiù della giustizia e della
saggezza… (“Fedro” 250 a-b). Un recupero pieno della propria
natura l’anima può compierlo solo invertendo il senso del movimento che
l’ha portata a precipitare in un corpo... Superare la molteplicità delle
sensazioni nell’unità del ragionamento, come il cammino verso l’ idealità
richiede (249b 9-10), non è soltanto un’operazione logica: esso comporta
il “disdegno” per quelle cose a cui gli uomini danno importanza, dimenticando
“ciò che è realmente”… Il “bello di quaggiù” ha il potere
di ricordare “quello vero” e spinge l’anima a desiderare il volo “guardando in
su come un uccello” (249d)… …tra tutte
le forme di follia, questa è il solo tramite che possa aprirgli uno
spiraglio diretto sulla sua interiorità. Platone sembra non voler
precludere a nessuno una tale esperienza. Perché la memoria della saggezza umana occupa
il secondo posto dopo la memoria della sensazione molto sovente. La difficoltà a ricordare,
dopo le trasformazioni legate alla caduta, costruisce per i più un
ostacolo di fatto insormontabile e, anche per i pochi che conservano la
capacità di ricordare (quando
la memoria divina occupa il secondo posto), l’esperienza amorosa si presenta
come un evento eccezionale di cui il protagonista non riesce a dare spiegazione
(250a-b) (“Fedro: le parole e l’anima” a
cura di Fulvia De Luise (pp.203-204) 1997
Zanichelli Editore S.p.A., via Irnerio 34, 40126 Bologna (88838 Commentario:
249b-251a. Il secondo discorso di Socrate: f) il delirio come destino delle
anime migliori (memoria, eros e bellezza)
Quando
nell’anima domina la memoria dell’intelletto sintetizzato sopra tutte le tre,
il suo proprietario diventa conoscibile, dipendendo dalla dominazione
quantitativa della seconda, in cui parzialmente soffre l’anima se nessun’altra
memoria domina dopo. Se il secondo posto appartiene alla memoria della
sensazione l’effetto negativo dipende dal dominio quantitativo di ogni delle
altre due memorie. Il dominio della sensazione porta in sé il pericolo
all’ umanità e il suo proprietario diventa il tiranno. Se il secondo
posto occupa la memoria primordiale della bellezza divina il suo titolare
condivide il destino del sacerdote di Ra.
Se il primo posto lo ha, nell’ anima, la terza memoria
della bellezza divina, la memoria suprema diminuisce il peccato dell’
incoscienza (la dipendenza dalle forze infernali) dipendendo anche dalla
dominazione quantitativa di quella. Se nessun’ altra memoria occupa il secondo
posto l’ anima diventa beata e non percepisce niente in questo mondo come l’
androgino, lo scopo fatale di tutta la vita del sacerdote.
Quando il secondo posto, nella dominazione della terza
memoria, lo ha la memoria della saggezza umana o dell’intelletto l’uomo aspira
alla scienza e si avvicina al genio anche dipendendo dalla proporzione
quantitativa.
Ad esempio, domina, nell’anima, la terza memoria. Se il secondo posto lo ha
la memoria della sensazione migliore, l’uomo diventa genio in qualche arte,
diventa il santo o il profeta. Anche a volta, il cui portatore confonde il
gioco dell’immaginazione e la sincerità divina con lui, data da Dio,
allora la terza memoria domina poco sopra le altre due. Ai rappresentanti dell’
ultimo gruppo fra i menzionati appartiene l’autore della “Rovina di Atlantide”
Gheorghi Golokhvastov verosimilmente. O no?
È la spiegazione molto
ipotetica secondo la sintesi dei ragionamenti filosofici dell’ Occidente:
perché è tale l’ itinerario dei destini umani.
Nell’ introduzione all’epopea dedicata al suo amico
Vladìmir Stepànovitsh
Iliàscenko Golochvastov descrive le montagne e i boschi che
sono stati sopra il magma vulcanico, sulle schiere delle colonne e sui
manoscritti nei dormitori fra le selve di cromlech, la cui ricettività
appartiene solo alla prima memoria, in cui il secondo posto è occupato
dalla memoria della bellezza divina. Golochvastov ricorda come erano piacevoli
le conversazioni con l’ amico Iliascenko. Essi parlavano di come molti secoli
fa era stata sospirata la vita, i cui misteri univano il Sureme, l’Egitto,
il Crete, la Giàmbud-vìpa e il Sino. La memoria del senso lo
fa concepire come le divinità di Panteon. I misteri si trasformano nel pensiero umano,
in cui la prima memoria di tutto il visibile e percepibile si concepisce con la
memoria ragionevole della storia. Il pensiero della divinità racconta
che si maturava il sogno dell’ immortalità, il sogno ancora non
concertato. Attraverso tutta la natura la storia genera l’unione della
bellezza della spiritualità e della fisiologia pericolosa. L’ immagine
del pericolo itinerario alle metamorfosi riesce a nascere solo con la prima
memoria per peccato mediante i desideri corporei della sensazione di tutto il
visibile e tutto il sensibile.
La dottrina di Cusano non ha una
estetica, ma nella sua gnoseologia ha innalzata la sensibilità, e
ciò contro l’opinione di Platone, ad una nuova dignità e l’ha
valutata in un modo al tutto nuovo. Ed è
significativo e caratteristico il fatto, che il Cusano, allorquando si
richiama e si ricollega direttamente a Platone, cerchi di trovare questo punto
di contatto proprio là dove Platone sembra riaccostarsi, più che
in altri luoghi, alla percezione sensibile e sembra attribuirle un valore, sia
pur solo relativo e condizionato, in rapporto alla conoscenza. Cita infatti
quelle proposizioni della Repubblica platonica, le quali affermano, che
singole classi di percezioni sensibili, proprio grazie alle loro intime
contraddizioni, collaborano mediatamente allo scopo al quale è diretta
la conoscenza: sono infatti proprio queste contraddizioni che non permettono
all’anima di trovare il suo appagamento nelle nude percezioni. Sono esse, che
rendono necessario il pensiero e divengono il suo “paracleto”: la
contraddizione del sensibile spinge a cercare il senso vero e genuino altrove,
nella sfera della dianoia (dziania) (1). Ma ciò che Platone attribuisce solo ad una
particolare specie di percezioni sensibili, Cusano lo estende ora al genere. Non solamente questa o
quella specie di percezioni, ma l’esperienza sensibile, nella sua
totalità, ha questa forza che anima e che suscita. L’intelletto non
può prendere coscienza di ciò che è e che può, se
prima non viene stimolato al suo particolare movimento delle forze della
sensibilità. Quando questo stimolo lo porta a volgersi alla sfera del
sensibile, l’intelletto non lo fa certo per sottomettersi a quello, ma per
innalzarlo fino a sé. Il suo apparente abbassarsi fino al sensibile
è piuttosto un elevarsi di questo fino a lui. Infatti nell’
”altrità” del mondo sensibile egli trova ora la propria inevitabile
unità ed identità; nel
darsi a ciò che sembra essergli estraneo nella sua essenza stessa, egli
trova la sua perfezione, la possibilità di dispiegarsi e concepirsi (2).
(Ernst Cassirer “Individuo e cosmo” nella filosofia del rinascimento
(pp. 268-269). (Leipzig, G. B. Teubner, 1927) Traduzione di Federico Federdi.
Proprietà letteraria Reservata)
Così Cassirer descrive la migliore memoria
della sensazione che riaccosta l’uomo verso la memoria della bellezza divina.
Ma a volte il mondo sensibile sottopone l’intelletto
ed esso trasforma l’uomo nell’animale o invece gli scopre la memoria della
divinità. Nel primo breve capitolo la prima memoria descrive la sera
breve che spaventa nelle prime due strofe dell’epopea “Rovina di Atlantide”.
Anche Dante così incomincia la “Divina Commedia”:
mi ritrovai per una selva oscura,
che la diritta via era smarrita.
E quanto dir qual era è cosa dura ;;4
esta selva e aspra e forte
che nel persier rinnova la paura.
3. Che: in modo che, la
diritta via: che conduce alla virtù del singolo e allo stato ben
ordinato dell’uman genere; smarrita: “e non perduta; perché chi
è già trascorso ne’ vizi, e quando che sia tornata alla
virtù, non aveva perduta ma smarrita la via” (Landino)..
4.
Ah: è la lezione da preferirsi (anche se la maggioranza dei
codici porta “e” o “et”, e gli altri oscillano fra “ah, ahi, oh, deh”);
così legeva Iacopo di Dante; e il periodo esclamativo esige al principio
(come avvertiva già Benvenuto) un’intenzione piuttosto che una
congiunzione (cfr. M.Barvi, Problemi, I, pp.258-9; G. Randelli, in
“Studi danteschi”, Iv, pp.39-53); dura: ardua.
5. esta: questa. Forma arcaica
dell’aggettivo dimostrativo, frequente nel linguaggio dantesco; selva
selvaggia: replicazione e figura etimologica,
secondo i canoni del gusto retorico medievale (cfr.,al v.36, volte
volto) forte: difficile (cfr., per es., Prg., XXII, 50; Par., XVI,
77; XXI, 76, ecc.). Il nesso apra e forte, anche in Purg., II, 65 — La
selva è “selvaggia… , senza abitazione umana e per questo
orribile et aspra; cioè malagevole ad andare per essa… e forte,
quanto allo svilupparsi e liberamente uscire d’essa” (Buti) 6 : nel pensier:
solo a ripensarvi. (“La Divina Commedia” a cura di
Natalino Spegno. Ricardo Ricciardi editore. Milano-Napoli, 1954 pp.3-4)
Viassa è il saggio indiano di Leggende che è stato dipinto, o come il
creatore, o come il ricercatore da tanta parte della letteratura in sanscrito.
Secondo la tradizione gli appartengono la redazione degli inni vedici e l’
autorità della Magabgarata; il suo nome è anche legato alle
Purane, alla Brachma-Sutra e a molte altre opere. Le opere attribuite a Viassa
divergono secondo le scadenze delle loro scritture, dunque non si può
riconoscerlo come l’ unico autore. Occorre considerarlo solo come il nome che
simbolizza l’ attività letteraria che ordinò la massa caotica
della scrittura in sanscrito. Anche la parola “Vyasa” è stata
interpretata come “raccolta”. (The New Internazional Enciclopedia, Second Edition.
1916. Vol. XXIII, page 2532)”. (Gheorghi Golokhvastov: “Spiegazione delle
parole e i commenti dell’ autore”
stampati nel fine del libro la “Rovina di Atlantide” N. Y. 1938 )
Quello si concepisce nell’ Orione, nei fuochi di
Volopasso, nel culto di Atone, del
primo dio del sole degli egiziani antichi. Atone allude alla memoria dell’
incoscienza di tutto quanto è stato visto e sentito sa dell’Atlantide,
ma solo tace per la coscienza così come tacciono i perduti manoscritti
di Platone. Egli dice che le pietre irragionevoli ricordano quello che l’uomo
ha ma non comprende e prova a sostituire dalla dimenticanza mediante il
conosciuto.
L’epopea
mostra l’imperfezione della sensazione e del destino e paragona questa
imperfezione alla perfezione. Tutti gli uomini aspirano allo scopo perfetto
sempre condizionale. I gemelli portano in sé e per sé la
bellezza, la salvazione e la rovina previste col sacerdote di Ra, e come tali
inevitabili. Che sia l’intelletto orgoglioso giusto immediato, le speranze
con l’ ala stanno nella vicinanza falsa a noi, al sogno sembrava che si
poteva rompere il bollo sul manoscritto sacramentale. La memoria
della sensazione si scopre in cui il sacerdote si inclinerà sopra
lo scheletro del profeta Atlasso col sentimento sprezzante e pieno del sorpasso
falso che si realizza come pericolo di dominazione della prima memoria sopra
quelle dell’ intelletto e della bellezza divina. Dal miracolo scomparvero lo
spazio e il tempo; Ho visto tutto il cammino dell’ umanità… Il legame
dei panorami fiorisce intorno all’ unico sguardo nell’ etere. Sembra che il
mondo della sensazione sia costituito dalla prima memoria e se quella sappia
tutto – non dominerebbero la seconda dell’ intelletto e la terza della bellezza
divina sopra la possibilità invertita della prima memoria.
Vicino alla sensazione del sacerdote di dio Ra
comparirà assolutamente l’ altro essere indifferente a tutto il terreno,
al di fuori da tutti i sentimenti; l’androgino perderà tutta la memoria
della sensazione e sarà come se non percepisse nulla e nessuno
nell’ambito del mondo materiale. Il desiderio del sacerdote di Ra è
contrapposto all’ androgino. Egli non vuole mai abbandonare il corpo e perdere
la sua prima memoria essenziale di tutto quanto visto e sensibile che è
falsa principalmente e non conduce alla divinità, ma provoca l’
apocalisse che guardasse la fine del mondo o dopo la petizione affinché
il sacerdote morisse ma prima di morire visse la rovina dell’isola verde.
Nel “Fedro” Platone scrive: …l’ intelligenza divina, nutrita
di pensiero e conoscenza pura, e anche ogni anima che abbia intenzione di
accogliere ciò che le conviene, vedendo nel corso del tempo, ciò
che è, è felice e, contemplando il vero… Mentre si compie il circolo,
contempla la giustizia in sé, contempla la saggezza, contempla la
conoscenza, non quella a cui è legato il divenire, né quella che
è in qualche modo diversa, stando in uno dei diversi oggetti che noi ora
chiamiamo enti, ma quella che è conoscenza in ciò che è
realmente essere…(247 c-d)… i diversi piani di realtà si dispongono
gerarchicamente, dal luogo “dove risiede la stirpe degli dei” a quello a cui
tendono le cose “pesanti”, mentre l’ala, forza che agisce dal basso verso
l’alto, trae, in qualche modo, il suo nutrimento dal luogo degli dei e dei
valori che ad essi si riferiscono (dove ciò che è divino è
“bello, saggio, buono e tutto ciò che è simile a questo., 246e
1), instaurando un rapporto di duplice mediazione tra i due piani separati. In
ordine a questa simbologia dei valori spaziali, il movimento dell’anima non
faceva sospettare: allontanandosi dal luogo dei valori da cui l’ala riceve
nutrimento, l’anima rischia di veder morire una parte di sé (“con il
turpe ed il cattivo (…) deperisce e muore”., 246e 3-49 e di non potersi mai
più risollevare dalla pesantezza, dove il suo principio di eterno
movimento continuerebbe a rinnovare una forma degradata e avvilente di
esistenza…) … (“Fedro: Le parole e l’anima” a
cura di Fulvia De Luise 1997 Zanichelli Editore S.p.A., via Irnerio 34, 40126
Bologna (88838 Commentario: 246a-247c. Il secondo discorso di Socrate: c) il
mito dell’anima: pp.198-199)
Il
profeta Atlasso e l’ultimo sacerdote stavano spiritualmente nei diversi piani.
Atlasso capiva che la natura che obbliga a morire costruisce così il
bello in cui l’ala dell’anima riceve il
nutrimento. L’ immortalità di ciascuno creato rompe quello in ordine di
questa simbologia naturale. Atlasso poteva discernere la verità, che nutriva
l’anima di pensiero e di conoscenza pura, dalla falsificazione cui essa diventa
pesante e perde l’ala al contrario della natura. Il livello spirituale
dell’ultimo sacerdote non permetteva di vederlo e di nutrire dello stesso
pensiero. Invece egli disdegna la necessità e la legge e leva la testa
verso l’essere (imitazione falsa) perché all’interno della sua anima la
memoria della sensazione domina sopra quelle dell’intelletto e della
divinità. Egli non riesce a capire che la vita immortale non è
che un modello limite di felicità, sicuramente precluso agli uomini
in quanto anime squilibrare e poi contaminate dal corpo. La vita eterna
nel corpo non è che i frammenti del paradiso perduto basteranno a
giustificare lo sforzo e la fatica in cui nessuno sarebbe disposto a
riconoscere prima facie un modello di felicità...
Il luogo iperuranio, al di là dei limiti del cielo, è anche
oltre i confini della sensibilità e della figuralità linguistica.
Accedervi è per gli dei condizione di un sapere puro, senza forme e
colori, incomunicabile nella lingua degli uomini, neppure in quella ispirata
dagli dei (247 c-d); ed è condizione di felicità, che Platone esprime con la metafora quieta della
sazietà fisica (antitetica rispetto al modello dinamico - tensionale
dell’eros), sottolineando la stabilità degli oggetti fonte di
appagamento (la giustizia, la saggezza, la conoscenza in sé), che
è ciò che determina un’analoga stabilità interiore:
desiderio e soddisfazione sono tutt’uno, per gli dei, in un corto circuito
intellettuale ed emotivo (247d-e). Una breve
frase, che si inserisce come una parentesi nella descrizione di questa
condizione esclusiva (sul valore parentetico del passo 247d1-2 – “e anche ogni
anima che abbia intenzione di accogliere ciò che le conviene”-, cfr.
Hackforth (1952), p. 78 n.1), suggerisce che questa potrebbe essere anche la
condizione degli uomini se sapessero distinguere ciò che davvero
conviene alla loro anima. Collocata in questo punto, che precede di poco la
caduta delle anime umane nella vicenda esistenziale, l’allusione segnala un
modello limite di felicità, sicuramente precluso agli uomini in quanto
anime squilibrare e poi contaminate dal corpo; ma a questa immagine
solleverà la testa chiunque sarà in grado di godere, anche
soltanto per un attimo, la gioia della contemplazione intellettuale; i
frammenti del paradiso perduto basteranno a giustificare lo sforzo e la fatica
in cui nessuno sarebbe disposto a riconoscere prima facie un
modello di felicità... l’oggetto reale è la visione
è la conquista della visione intellettuale simile a quella degli dei i
migliori godono dell’attingere a “ciò che è realmente essere”
(247e 3), a sufficienza perché un criterio di distinzione si imprima
nella loro memoria, i più si allontano senza aver visto, del mondo vero,
abbastanza per diffidare delle immagini (248 a-b). Così la differenza
antropologica (tra chi mantiene l’aspirazione a nutrirsi di verità e chi
è disposto, senza neanche avvedersi dell’errore, a lasciarsi irretire da
opinioni congetturali, il “cibo immaginario”, 248b6) appare fondata, senza
rimedio, nell’esperienza pre-esistenziale dell’anima; essa si manifesta
nell’esistenza, dopo l’ inevitabile caduta dell’anima alla sua prima prova,
come disposizione naturale, che fissa precisi limiti alle possibilità di
progresso di ciascun uomo… (“Fedro: le parole e
l’anima” a cura di Fulvia De Luise 1997 Zanichelli Editore S.p.A., via Irnerio
34, 40126 Bologna (88838 Commentario: 247c-248c. Il secondo discorso di
Socrate: d) luogo iperuranio: pp. 200-201)
La
confusione tra il sentimento della prima peggiore memoria e la memoria della
bellezza divina predice la fine tragica perché la prima migliore memoria
conduce alla terza. La terza vuole evitarlo ma non riesce a cambiare nulla
perché è la confusione e la radice della confusione è
diversa dalla divinità a cui la prima memoria aspira sempre come ogni
essere aspira alle perfezioni falsa e vera mediante la terza memoria invertita
nell’incoscienza. Ma i sentimenti corporei dei gemelli cessano con la loro
eutanasia al di fuori di tutte le memorie. Dante soffriva più di tutti
ma non ha mai desiderato di scappare dal destino e le memorie di tutto quanto
aveva visto e sentito e che lo legò a Beatrice Portinari nel 1274,
è stata acquisita, nella confusione tra la prima memoria migliore e la
terza, la migliore forma nella storia umana perché obbliga a trasformare
i sentimenti supremi della memoria della sensazione nel frutto geniale della
terza memoria della bellezza divina.
Nella prima parte “ATLANTIDE”
il nostro mondo arriva alla conoscenza con il miracolo delle copie dei gemelli
supremi dopo Atlasso. Se la natura dell’incoscienza e il testo perso di Platone
sanno ma tacciono dell’ Atlantide nella prima memoria della sensazione, nessuno
la concepite dalla coscienza umana nella seconda memoria della sintesi delle
informazioni nessuno sa! L’ Oracolo di Parnaso tace e non rivela affari,
né nomi, tacciono i profeti dei tempi più antichi di quello che
sentì, in Saese, Salone;… all’inizio del “Timeo”, Crizia dà
esplicitamente conto degli anelli di questa catena di trasmissione, che dal
bisnonno Dropide — amico e parente di Solone — mediante il racconto del nonno
di Crizia — omonimo del nipote — giunge fino a lui. (“ATENE ASSOLUTA” Crizia dalla tragedia alla
storia. Monica Centenni. Saggi di antichità e tradizione classica.
Capitolo I, II “Timeo” e “Crizia” Collana diretta da Lorenzo Braccasi,
Francesca Ghedini e Alessandra Coppola (p. 47). Federa editrice, Padova, 1997)
Ed anche lo stesso Platone non ci racconta dell’
ultima ora… i venti - desideri delle tormente cantano
sopra l’ abisso in cui l’ esistenza di Atlantide trovò l’ ultimo esilio
per sempre. Golokhvastov capisce
l’assenza dei nessi storici concreti fra le persone che legavano i dialoghi
platonici a Solone e circonda la sua immagine con la nuvola del mistero.
La memoria sussurra, splendendo
nel mondo antico, conquista l’autore che già si va alla terza
memoria della bellezza divina descritta da Platone. Questa mezzanotte la terza
memoria si confonde con la seconda sulla base della prima che ci fa rapportare
noi stessi al mondo materiale e ci fa percepire e capire tutto nell’illusione. E,
nella luce morta della lampara sulla tavola, il sogno aspetta sempre non
detto nelle pagine, sopra esso il pensiero è stato tormentato ed
è stato svelto il silenzio delle tombe mute. Quello che aveva
scoperto il loro mistero dimenticato provocò l’ ira di Nemesida lasciata
dalle lettere antichi. Nel “Timeo” e nel “Crizia” egli
(Crizia) è il vero protagonista, incaricato di esporre, dietro precisa
richiesta di Socrate e in forza di una competenza riconosciuta, senza mezzi
termini, come estesa a ogni aspetto della questione — esempi di realizzazione
concreta dello Stato ideale: esempi non solo “realmente viventi”, ma anche “in
movimento” del modello utopistico proposto nella “Repubblica”. … Timeo, Crizia
ed Ermocrate sono i protagonisti cui è determinato questo compito,
protagonisti di dialoghi omonime in un probabile progetto di trilogia, di cui,
come è noto, Platone realizzò solo il “Timeo” e l’incompiuto
“Crizia” (“Maledetta democrazia” studi su
Crizia V Per un profilo introduttivo.
II. L’ombra lunga della. “Crizia” e Crizia (pp. 256-257). Edizione dell’Orso. A
cura di Essegrafica, Torino 1999).
Gli interessi di Dante corrispondono
alle ricerche del suo periodo storico quando l’ umanità sintetizza il
passato e la nuova caratteristica della gerarchia religiosa. Già alcuni
pontefici non sono inviati in Paradiso. Dante osa dirlo come nessuno in
precedenza, per la prima volta nella storia, del supremo. (Inferno XI, 7 – 13: papa Anastasio /
Purgatorio XIX, Adreano V, 79 – 145), papa Nicolò III (Inferno XIX, 31-
120), papa Bonifazio VIII candidato all’ Inferno (Inferno XIX, XXVII 70, /
Purgatorio XX 87, XXXII 149 / Paradiso XVII 49, XXVII 27, XXX 148 —
simboleggiato), inoltre guadagnarono il
Purgatorio gli ebrei del Vecchio Testamento e due gentili: Catone (Purgatori I,
31 – 108) e Stazio (Purgatorio, XXI 10 – 136, XXII – XXXIII, in cui dal 133 –
134 XXXIII canto del Purg. Beatrice dice a donnescamente: “Vien con lui”,
invitandolo al Paradiso).
E ancora Bonaventura (1217 – 1274)
nel “Itinerarium mentis in Deum” (1259 –
1260) aspira a descrivere, in termini teorici, l’ ambito divino sulla terra. Al
inizio del XIV secolo questo
desiderio si trasforma nello scopo di descrivere totalmente il mondo divino che
ci governa da cui si svolgono tre regni dei morti: l’ Inferno, il Purgatorio
e il Paradiso.
Dalla fine del XIX secolo
sino alla seconda guerra mondiale domina l’interesse, in Europa e in America,
per i culti orientali non musulmani del Buddismo, all’ enigma di
Sciàmbala, agli egiziani, alle civilizzazioni scomparsi dei
latinoamericani, ai cinesi, ecc.. L’ interesse per quel periodo corrisponde
alla descrizione totale dei mondi dei morti nel XIV secolo come, nella seconda
metà del primo secolo A. C., dominava l’ idea di superare Omero nello
spirito latino che è stata rappresentata nell’ “Eneida” di Publio
Vergilio Marone.
Se Vergilio realizzò lo scopo della sua epoca
parzialmente perché non completò l’ epopea “Eneide” a causa della
morte lungo il viaggio per i luoghi leggendari. Dante superò lo scopo
stesso, la sua “Divina commedia” divenne imparagonabile alle epopee poetiche
antecedenti e successivi fino al XXI secolo. Il tentativo di comporre l’ opera
epocale simile si evidenzia due volte nella poesia epica della Russia.
La prima prova “Sibiriada” di Tretiakòv del
XVIII secolo fu più vicina a Vergilio ma non conseguì nessun
successo. La seconda prova fu più vicina a Dante e costituisce l’oggetto
della dissertazione attuale; è la “Rovina di Atlantide” di Golokhvastov
che riflette lo scopo epocale di avvicinare il lettore europeo
all’eredità dei culti orientali non musulmani.
La “Rovina di Atlantide”,
composta nel 1935, ha l’ enumerazione dei termini filosofici e la loro
spiegazione fatta con l’ autore stesso. Essi sono stampate nelle 27 pagine
nella fine del libro. Questa spiegazione comprende 133 concetti la maggioranza
dei quali è legata all’ antichità che diventa la base essenziale
della seconda memoria. L’ultima sintetizza le informazioni storiche concepite
con la coscienza umana.
Ad esempio: Cromlech — il tipo speciale dei monumenti megalitici
(Inghilterra). Esso consiste di 2 enormi mengiri, le pietre spostate in
verticale che formano uno o alcuni cerchi. Essi circondano la piazza, al centro
della quale sta la pietra più grossa. Presuppongono che i cromvech
avevano il significato religioso. Nella dedica a Vladimir Stepanovitsh
Iliascenko Golochvastov presuppone che gli abitanti di Atlantide siano famosi
fra i popoli primitivi che imitarono, nei loro primi monumenti storici, gli
atlanti, i fondatori della prima civilizzazione umana. Le pietre
grandiose, spostate in verticale con i cerchi intorno, verosimilmente,
simbolizzano la civilizzazione più alta che si descrive con la “Rovina
di Atlantide” di Golokhvastov.
La prima parte “MAGIA DI ATLANTIDE”:
L’articolata struttura di
opposizioni, elaborata da Platone nella potente metafora mitistorica del
“Timeo” e del “Crizia”, è stata messa in luce ed ampiamente analizzata
negli studi. Plat.
“Timeo” 20d-25d; Crit. 108c-121c. Per le considerazioni che seguono
gli studi di Vidal-Naquet e di Brisson vd. Anche “Le
méme et l’autre dans la structure ontologique du Temée de Platon.
Un commentaire systématique du Temée de Platon”, Paris 1974, e l’
introduzione e commento a Platone, “Timée” / ”Critias”, Paris 1992) Cfr.
Gill, pp. 294 ss. (e bibl. Essenziale alle nn.1-3 p. 287). Vd. Ora
Bertelli e della p 610s. (cfr. Id., “Itinerari”, pp. 42 s., 51); Desclos, pp.
141 ss. (con bil. Alla n.2 p. 141); Ellinger, pp. 863 s; Centenni pp. 45 ss.;
Morgan, pp. 108 ss. (ultimo contributo in ordine di tempo, in cui spiccia la
totale assenza di attenzione per il ruolo di Crizia come narratore designato
del mito). Cfr. suggerimenti negli studi del passato ricordati Da
Lévèque – Vidal-Naquet, n. 10 p. 138 e da Vedal-Naquet n. 28 p.
252 (cfr. Id., “Hérote et l’Atlantide: entre les Grecs e
les Juifs. Réflexions
sur l’historiagraphie du siècle des lumière”, “OS” 16, 1982, pp 3
ss., in part. pp. 43 ss.). Minore attenzione nel complesso è stata
riservata al significato della designazione di Crizia a un ruolo di depositario
e latore della narrazione mitologica. (1) (“Maledetta democrazia” studi su Crizia V Per un profilo introduttivo. II. L’ombra
lunga della. “Crizia” e Crizia. (p. 257) Edizione dell’Orso. A cura di
Essegrafica, Torino 1999)
Pensati come un’opera suddivisa
in due parti narrativi, il Timeo e il Crizia sono strettamente conseguenti
al progetto, teoretico e politico, presentato nella “Repubblica”. Nella
finzione politica, il Timeo — e quindi il Crizia, immediatamente
successivo a quello — è posto in diretta successione cronologica
rispetto alla “Repubblica”, dialogo che si immaginava abbia avuto luogo il
giorno precedente… senza soluzione del filo concettuale e narrativo che si
interrompe alla fine del Timeo, nel Crizia il protagonista
riprende la narrazione del mythos storico sulle origini antichissime di Atene e
sullo sviluppo — parallelamente alla politeia nell’Attica — della
civiltà di Atlantide, al di là delle colonne d’Ercole. Questo lo
schema compositivo del Timeo e del Crizia: Timeo: 17 A-C
Incontro dei personaggi: Socrate, Ermocrate, Crizia, Timeo; 17 C – 19 B Socrate
riassume il suo discorso nella “Repubblica”; 19 C – 20 B Socrate chiede di
vedere la città in azione; 20 C – D: Ermocrate propone che Crizia narri
un mito; 20 D – 25 D Crizia inizia il mito dell’ Atene antica e di Atlantide;
25 D – 26 E Crizia si interrompe; 26 E – 27 C Socrate e Crizia passano la
parola a Timeo; 27 D- 92 C Timeo racconta il mito cosmologico. Crizia: 106 A – B Timeo conclude e passa la parola a
Crizia; 106 C – 108 C Dialogo fra Crizia, Socrate, Ermocrate, 108 c – 121 C
Crizia riprende con il mito di Atlantide; 121 C ss. (il dialogo è mutilo
dell’ultima parte che doveva comprendere la fine del discorso di Crizia, e il
discorso di Ermocrate). (pp. 45-46) … Crizia dunque, o meglio la memoria
di Crizia, è l’ archivio di una tradizione antichissima, altrimenti
perduta, che solo per lui si conserva; in questo senso risulta importante il
metodo di rammemorizzazione che Crizia mette in atto per prepararsi al racconto
del Timeo e la preghiera a Mnemosine che introduce l’inizio della
narrazione nel Timeo e la sua ripresa nel Crizia. (p. 47) (2) (“ATENE ASSOLUTA” Crizia dalla tragedia alla storia. Monica
Centenni. Saggi di antichità e tradizione classica. Capitolo I, II
“Timeo” e “Crizia” Collana diretta da Lorenzo Braccasi (pp. 45-47), Francesca Ghedini e Alessandra Coppola. Federa editrice, Padova, 1997)
“Timeo”: p.1 3. Rianimazione di Solone. Nel “Timeo”, Socrate paragona il
suo stato d’anima, nei confronti della città ideale, a quello di chi non
si accontenta di vedere degli animali dipinti o vivi ma immortali, ma desidera
osservarli in movimento (kinumenna) mentre danno prova di sé. (Plat. Tim. 19b-c (vd. Supra,
cap. I, 1.4 ) … Il cui possibile è in cielo, in Resp. IX 592°-b,
e i “fatti a quanto pare accaduti” grazie ai quali si potrà “fare
ricerca non sul vuoto, ma sull’ accaduto e sulla verità ”, in Leg. II
683e-684°. Sulla centralità del tema politico nel “Timeo”, cfr.
C.Osborne, Topography in the pp. 104 ss.; per i fondamenti contribuiti di
Bertelli e della Isnardi, vd. Nn. Ss.).
Il
linguaggio mitico del Timeo platonico deve, per forza, attenuare questa
distinzione: infatti, poiché conosce solo la dimensione dell’accadere
temporale, deve convertire tutte le differenze qualitative in differenze
dell’origine de della creazione del tempo. Così l’anima diviene qui un
essere misto, nel quale il creatore, il demiurgo, ha impresso, e in certo modo,
le due nature opposte dello stesso e del diverso, del taftòn
e fsateron. (Ernst Cassirer “Individuo e cosmo” nella filosofia
del rinascimento (p. 201). (Leipzig, G. B. Teubner, 1927) Traduzione di
Federico Federdi. Proprietà letteraria Reservata)
III Cap. p. 35: Ziggurat e Il XLVI cap. p. 234. sm. E f. Invar. Archeol.
Nell’antica Mesopotamia, sorta di torre costituita da piani o terrazze
sovrapposte e di ampiezza decrescente verso l’alto, sulla cui sommità
sorgeva un tempio. Fogazzaro, XIV-179: Sullo Ziggurat di Borsippa,.. salirono
mitrati sacerdoti alternanti allo studio del cielo canti e sacrifici
propiziatori degli astri. (“Grande Dizionario della lingua italiana”, Unione
tipografico-editrice Torinese . 9/V71964.)
2. “Crizia”: Platone, con le parole di Crizia racconta dei bravi
uomini dell’ altra città Atene nove mila anni fa che venne dimenticata a
cause di molte catastrofi. Crizia descrive la potenza dell’ esercito di
Atlantide desideroso di conquistare il mondo, la cui isola venne sprofondata
nel mare. Dal paragrafo (113 a) Crizia narra la storia di Atlantide. Egli
racconta che Cleitò, la figlia di Eunore e Leucippa morti prima della
scadenza, diventa la moglie di Nettuno (Poseidone) e generò dieci
fratelli, cinque copie di gemelli principi. Tutt’altro che casuale, in
realtà, il fatto che Platone disegni proprio Crizia per il ruolo di
interprete e possessore delle chiavi di quella che, con le dovute cautele,
potremmo chiamare utopia e che è una delle forme in cui viene proposto
un modello ideale di organizzazione politica… Cfr. le premesse metodologiche e
le puntualizzazione di Bertelli, “Utopia”, pp. 472 ss. (in ”Motivi utopistici,
pp. 137 ss. Cfr. anche Quarta, pp. 9 ss.; Ambaglio, “Diodoro”, pp. 154 ss.; A.
m. Iacono. “L’utopia e i Greci”, in “I Gheci”, I, Torino 1996, pp. 883 ss..)
Sull’evoluzione del genere cosiddetto “utopistico”, da premesse platoniche (con
antecedenti) finalizzate alla “rifondazione logica dell’universo della politica
che cerca un rapporto dialettico con la realtà”, vd. In partic.
Bertelli, “L’utopia”, pp. 480 ss., 549 ss.; Id., “Itinari”, pp. 40 ss., 44.
Cfr. anche “Introduzione” (“Maledetta democrazia” studi su
Crizia V Per un profilo introduttivo.
II. L’ombra lunga della. “Crizia” e Crizia. (pp. 257-258) Edizione dell’Orso. A
cura di Essegrafica, Torino 1999)
Golokhvastov scrive di quello sulla pagina 34 del
II cap.: …Gli risponde, con l’ estasi viva,
il gemello di Atlasso, nato il secondo; dopo lui i loro fratelli minori —
quattro ceti educati nella famiglia dei gemelli… Nella pagina 37 del III cap.
della “Rovina di Atlantide” narra che Atlasso, fra le eredità dei padri
ordinò di dare le decime parti a sé e ai fratelli: cinque pari
dei gemelli. Secondo questo frammento si capisce che il profeta Atlasso non
è Nettuno, il cui culto gentile è assente nell’ opera dell’
autore cristiano. Ma Golokhvastov, al massimo, utilizza il testo del “Crizia”,
in cui si racconta che Nettuno circondò il colle centrale con tre anelli
di acqua e di terraferma e fece due fonti dell’ acqua calda e dell’ acqua
fredda. Egli separò l’isola in dieci parti e la distribuì fra i
fratelli. Egli regalò la casa della madre al maggiore, secondo
Golokhvastov, il cui nome di Atlante si
sostituisce da Atlasso. Non si può non ricordare la fine del XXIX
canto del “Purgatorio” della “Divina commedia” di Dante Alighieri (versi:
133-141):
vidi due vecchi in abito
dispàri,
ma pari in atto e onesto e sodo.
L’ un si mostrava alcun de’
famigliari 136
di quel sommo Ipocrite che natura
a li animali fe’ ch’ ell’ ha
più cari;
mostrava l’ altro la contraria cura 139
con una spada lucida e aguta,
tal, che di qua dal rio mi fe’
paura…
“Due vecchi: l’uno rappresenta
gli Atti degli Appostoli, scritti da san Luca, l’altro è san Paolo,
autore delle Epistole. Sodo: grave. Famigliari: seguaci, discepoli (Paul ad
Coloss., IV, 149 d’ Ippocrate, il famoso medico (Inf., IV, 14) nato per la sanità
degli uomini. Contraria cura: cioè la cura di ferire anziché di
sanare (2) (“La Divina Commedia” p. 3 (p.691) ; ristampa anastatica dell’editore G.C. Sansoni,
Firenze 1922,1988 )
Questi due vecchi emergono dall’ incoscienza di Dante
e subito, verosimilmente, Dante ricorda le immagini leggendarie del “Crizia” il
primo è la copia riflessa del primo fratello con una spada brillante, la
sua contrapposizione. Ma egli capisce che la loro origine è il frutto
del paganesimo, dal rio delle immagini incalcolabili lo spaventa la
moralità cristiana. Forse per quella causa stessa quattro
individui (simboli delle epistole canoniche) in umile paruta (apparenza)
al contrario di quattro copie di gemelli che così sono mutati sotto la
riconoscenza dell’ eredità antica e sotto l’ influenza del
cristianesimo. Tutte e due legate insieme si trasformano nei simboli canonici.
Il settimo, verosimilmente, è , invece, il prototipo condizionale
dell’ultimo sacerdote antipodo di san Giovanni evangelista, secondo la critica
tradizionale, come l’ autore dell’ “Apocalisse”: e di retro da tutti un vecchio
solo venir, dormendo, con la faccia arguta (Purg.
XXIX 143-144). San Giovanni era tuttavia l’ apostolo che accompagna tutti
visti e benedetti con Cristo. Essi ereditarono il Paradiso e non possono stare
nei supremi cerchi del Purgatorio. Allora questo settimo vecchio non è
san Giovanni? Se Stazio ottiene la possibilità di accompagnare Dante
fino al Paradiso, quei sette vecchi, dormendo, potrebbero rappresentare le
anime sacrali ancora non cristiane che provocano la paura di Dante. Il settimo,
simbolizza sette principi antichi come sette alberi d’ oro (Purg. XXIX 46). Il desiderio esplicito di
Dante non identifica dopo i due vecchi simili con i primi gemelli atlanti. Ma
prima di introdurre, dall’ incoscienza, queste due vecchie copie, nel 134
verso, Dante, verosimilmente, allude alle prime genti che non erano peccatori
ancora come i primi atlanti, non secondo la Bibbia ma secondo la leggenda
gentile dell’età d’ oro, che si evidenzia in quello stesso XXIX canto
del “Purgatorio” (versi 85-86): Tutti cantavan: “Benedicta tue!” // ne le figlie d’ Adamo, e benedette // sieno
in eterno le bellezze tue!”. Il primo vecchio è, e dopo mascheramento
con la paura evidente, poteva essere, Atlante di Platone e Atlasso di
Golokhvastov. L’immagine di Atlasso assume il ruolo del primo vecchio dantesco
perché il primo profeta cura le anime infelici come il settimo vecchio
bipolare e predice l’apocalisse con l’ amuleto celato nel tempio dei morti.
Perché Dante descrive qualche principio
nel XIX canto del “Paradiso” (55-69) che conduce al fondo del mare?
tanto, che suo principio non
discerna
molto di là da quel che l’
è parvente.
Però ne la giustizia sempiterna 58
la vista che riceve il vostro
mondo,
com’ occhio per lo mare, entro s’
interna;
che, ben che da la proda veggia
il fondo, 61
in pelago nol vede; e non dimeno
ègli, ma cela lui l’ esser
profondo.
che non si turba mai; anzi
è tenèbra,
od ombra de la carne, o suo
veleno.
Assai t’ è mo aperta la
latèbra 67
che t’ ascondeva la giustizia
viva,
di che facei question cotando
crebra.
Il suo principio non discerna come occhio, che vede poco, per lo mare, entro s’ interna in cui si nasconde qualche mistero. Forse Dante
perde l’ autocontrollo cristiano inconsciamente ed allude all’ immagine di
Atlantide gentile? Egli vuole giustificarla? Perché? Verosimilmente egli
non leggeva Platone ed aveva solo sentore della terra uscita sotto l’ acqua?
Egli desidera rapportare la terra leggendaria alle figlie d’ Adamo? Si può
capire perché compare la paura che ferma il racconto dei primi gemelli
del 141 verso del XXIX canto del “Purgatorio” dantesco?!
Com’ occhio: vede poco o niente del passato, come occhio che cerchi, guardando
nelle acque, di indagare gli abissi del mare profondo… verosimilmente per trovare l’Atlantide rovinata sul
fondo, la cui tematica era proibita e provocava involontario la paura del XXIX
canto del “Purgatorio”? Capiamo il concetto “in pelago” come “lunghi dalla
proda” forse della terra scomparsa che sfondò nel fondo dell’ ”altro
mare”. La nozione “ombra di carne” è compresa verosimilmente come “falso
vedere del senso”. Verosimilmente questa visione falsa del senso diviene la
falsa visione del senso della memoria della sensazione dell’ultimo sacerdote. La perversità carnale si incarna nell’amore
pervertibile dei gemelli nella “Rovina di Atlantide” che diviene il veleno che
conduce al Paradiso secondo la comprensione di Golokhvastov. La sua
immaginazione poteva interpretare il concetto “errato visto” come l’ errata
comprensione del mondo. Egli lo trasforma nello scopo errato dell’ ultimo
sacerdote che voleva ottenere l’ immortalità errata. Il concetto
“latebra: nascondiglio” si riflette nella predestinazione reale della nascita
dei gemelli innamorati e del desiderio dell’ ultimo ad essere immortale.
Entrambi fati erano previsti con Atlasso e celati nel nascondiglio dell’
amulete sul suo scheletro.
Dopo questo principio vuole giustificare, nei versi
70-81, un’ uomo che nasce a la riva de l’ Indo, e
quivi non è chi ragioni di Cristo né chi legga ne chi scriva? Forse Dante paragona le figlie d’ Adamo benedette
in eterno e quello indiano che muore non battezzato senza peccato in vita e in
sermone (75)? Così Dante
percepisce l’esistenza naturale dei gentili come la principe e la principessa
innocenti?
A la riva de l’Indo: Asia. Cfr. Purg., XXVI, 21. chi
ragione: chi cerchi divulgare la fede di Cristo, con predicazione, letture e
scritture intorno alla venuta, alla passione, alla morte e alla resurrezione
del Salvatore. “Ai tempi di Dante l’India era riguardata come una delle parti
del mondo più remote da Roma”
(Scartazzini). in vita: in opere, o in parole (sermoni). ov’è: qual’
è: per qual ragione di giustizia. spanna: palmo: l’ apertura della mano.
Cfr. Inf., VI, 25. (“La Divina Commedia” p. 3 (p. 945); ristampa
anastatica dell’editore G.C. Sansoni, Firenze 1922,1988 )
Può
essere che queste questioni siano la causa essenziale perciò
Golokhvastov è legato alla “Divina commedia” affinché essa
divenga una delle basi principali, dopo “Crizia”, della memoria oggettiva dell’
intelletto ed affinché Golochvastov componga simbolicamente le idee
primordiali e le immagini della “Rovina di Atlantide”?
L’ immagine stessa di Atlantide diventa cristiana
nella “Rovina di Atlantide” in cui domina il monoteismo di Ra e la proibizione
dei sacrifici degli uomini con l’unità della trinità. Quei dieci
re sono sostituiti dall’ unico che è il padre dei gemelli nell’epoca
dell’ultimo sacerdote. Secondo la sintesi dell’ eredità storica, nella
“Rovina di Atlantide” agli altri nove re appartengono le altre isole circondate
che non partecipano nello sviluppo degli eventi della “Rovina di Atlantide”.
La natura dell’ isola, nel “Crizia” di Platone, era la
più ricca di tutto il mondo. I re
atlanti di volta in volta ricostruivano di nuovo l’edificio, in cui abitava
Nettuno, secondo la leggenda, e lo idealizzarono. I re ordinarono di costruire
i ponti fra gli anelli acquatici avendo fatto gli itinerari dalla capitale e al
ritorno per permettere una sola triera. Così formarono l’entrata dal
mare. L’ anello estremo era più esteso ed aveva il diametro di tre
stadi. Il diametro stesso aveva l’
anello di terra. Gli anelli seguenti di acqua e di terra avevano l’ estensione
di due stadi. Il diametro dell’ ultimo anello acquatico aveva l’ estensione di
uno stadio. Le pietre con i colori bianco, nero e rosso prendevano da ogni
anello. Molte costruzioni erano facili. Alcune erano state costruite con le
pietre di diversi colori. Vicino ad ogni ponte fecero le torri e i portoni. Le
mura intorno al primo cerchio vennero coperto col metallo cupreo. Il muro del
cerchio interno venne coperto con lo stagno. Il muro che circondava l’acropoli
venne coperto con l’oricalco brillante che rifletteva i raggi solari. Il
diametro dell’ isola centrale della capitale aveva 5 stadi dove stava il
palazzo descritto, il tempio di Cleitò e di Nettuno, il tempio di
Nettuno, il giardino degli alberi della bellezza inesauribile, ecc.. Il tempio
essenziale di Cleitò e Nettuno era circondato dal muro d’ oro. Era il
tempio di Nettuno della lunghezza di uno stadio, il largo di tre pletri. Lo
stile della costruzione aveva un che di barbarico. Secondo Golokhvastov
così deve essere stato descritto lo Ziggurat. Secondo “Crizia” (118)
all’ interno l’ Atlantide aveva la pianura circondata con le montagne
più alte di tutte le esistenti. La lunghezza di questa pianura era di
tre mila stadi.
L’insieme delle caratteristiche
di Atlantide realizza in uno stesso tempo la paradigmaticità alternativa
all’ Atene primordiale e l’analogia con l’ Atene classica, l’Atene sbagliata da
rifare. Abbiamo così l’allusione alla dismisura già a livello di
risorse primarie e di sfruttamento del suolo (i due racconti l’hanno, Crit.
118) … (“ATENE ASSOLUTA” Crizia dalla tragedia alla storia. Monica Centenni. Saggi
di antichità e tradizione classica. Capitolo I, II “Timeo” e “Crizia”
Collana diretta da Lorenzo Braccasi, Francesca Ghedini e Alessandra Coppola (p.261). Federa editrice, Padova, 1997)
La distanza, dal mare fino alla capitale (Atslano
di Golokhvastov), ammontava a due mila stadi. Perciò l’ Atlantide, nel poema di Golokhvastov,
resta l’ isola e non si trasforma nel continente secondo il “Timeo” in cui,
invece, il sacerdote egiziano racconta a
Solone che l’Atlantide era più estesa della Libia e l’ Asia insieme. La
pianura di Atlantide aveva la forma del tetragono. Molti genitori dei re la
trasformarono nel paradiso che aveva la foresta di tutti gli alberi, i fiumi, i
laghi, i prati. Il grande canale, circondante tutta la pianura, conservava la
sua forma armonica. Esso attingeva le acque di tutti i fiumi ed usciva al mare.
Tutte queste informazioni, sintetizzate con la memoria dell’ intelletto di
Golochvastov, sono evidenziate nella seconda metà nel III cap. della
“Rovina di Atlantide” nelle pagine 36 e 37.
Le donne di Atlantide, così come gli uomini
dovevano servire nell’ esercito. Ogni territorio, composto di dieci stadi per
dieci, era rappresentato dal proprio capo militare. La quantità di tutti
i partecipanti alle guerre consisteva in 60 000 persone. Durante le guerre le
quadrighe dovevano avere una consistenza di 10 000 individui. Crizia, nel
“Timeo”, enumera tutti i tipi di soldati, di tecniche militari e dell’ arma
conosciuti nell’ antichità.
Ognuno dei dieci re poteva comminare la penna capitale
ai suoi sottoposti. Le regole fra i re erano scritte sulla stella costruita
nell’ epoca dei primi re all’ interno del tempio di Nettuno, secondo
Golokhvastov nello Ziggurat, in cui i re si riunivano ogni quinto o ogni sesto
anno. Nel giardino di Nettuno abitavano i tori che rappresentavano il simbolo
dell’ animale sacrale. Prima di discutere i loro problemi i re sceglievano l’
animale per il sacrificio e sulla stella uccidevano in modo che il loro sangue
si riversasse sulle scritture. Qui Golokhvastov contraddice a Platone. Il
processo della vittima non religiosa passa, alle pagine 102-106 del XVIII cap.,
nel palazzo, nel tempio del condottiero, invece, non all’ interno del tempio di
Ziggurat. Golokhvastov descrive come gli
uomini, invertiti con la vita dolce, conducono, al sacrificio laico e orribile
del sacrilegio, due animali. La pecora doveva essere tagliata. Il nero capro
compariva sopra la stella sanguinosa. Nel XVIII cap.(p. 109), la plebe senza
vergogna è stata introdotta all’ interno dello Ziggurat. Prima nella
pagina 36 del terzo capitolo della “Rovina di Atlantide” è scritto che
sulla blu altezza celeste, su tutti le torri della santa
Montagna era il settimo grado coronato col tempio. Lì il testatore muto
della sventura, la pietra di Altare dei sacrifici sanguinosi proibiti, fu
innalzato con lo sforzo difficilissimo degli uomini, e la lama di sacrifici con
i rilievi a sempre è messo sulla pietra canuta.
Fra i re
di Atlantide vigeva la legge secondo la quale, che nessun re dovesse combattere
contro altri re dell’ isola, e prescriveva che tutti aiutassero reciprocamente
durante le guerre. Pochi generi osavano ribellarsi per sostituire la dinastia.
Prima, quando vivevano nell’ amicizia, disprezzavano i tesori materiali e
rispettavano gli ordini degli antenati e la natura divina conservava fra essi
la sua potenza. Quando prevalsero l’avarizia incontrollabile e la sete del
potere illimitato Zeus volle condannarli. Perché egli riunì gli
dei e vi si appellò, verosimilmente, con la domanda che fare. Dopo il
testo di Platone è perso. Si può solo supporre perché il
testo sia stato interrotto o Platone stesso non volle sviluppare questa
tematica? …L’immagine iniziale di Atlantide è quella di un equilibrio
realizzato e tuttavia dal principio precario. L’ottimo contributo della Desclos
(pp. 142 ss.) non tiene conto della precarietà congenita adombrata nella
metafora Atlantide / Atene imperialistica marinara, e democratica, volata alla
catastrofe. Le trasgressioni degli Atlanti —i quali ad esempio violano con
ponti e collegamenti la posizione separata dell’isola centrale stabilita da
Poseidone (Crit. 113 d-e), così come gli Ateniesi collegano la
città al porto con le lunghe Mura (pp. 144, 154) – accelerano un
processo degenerativo, che è però predestinato. Atlantide, a
differenza dell’antica Atene, contiene in sé i germi della decadenza,
perché nasce già nel segno della hybris, della dismisura
correlata alla vocazione marinara. (“ATENE ASSOLUTA” Crizia dalla
tragedia alla storia. Monica Centenni. Saggi di antichità e tradizione
classica. Capitolo I, II “Timeo” e “Crizia” Collana diretta da Lorenzo
Braccasi, Francesca Ghedini e Alessandra Coppola (p. 262). Federa editrice, Padova, 1997)
La
seconda memoria sintetizza il “Crizia” di Platone dal punto di vista del
cristianesimo moderno con l’ illusione speciale alla svastica della sua
fatalità.
Â
íèæíåì õðàìå àëòàðü Çèããóðàòà
Ðîñêîøíî
òîíåò â óáðàíñòâå öâåòîâ.
Ìîÿ
îäåæäà áåëà è áîãàòà
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ìîåé òèàðå ðóáèí íàä ðóáèíîì
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òð¸õ êîðîíàõ òðîéíîãî âåíöà,
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ñèìâîë òðè çíàìåíóåò Ëèöà
Òîãî,
Êòî ñëèò â åñòåñòâå òðèåäèíîì.
Ìîé
ïîñîõ îñòðûé, êàê ëó÷ ó êîíöà —
Èç
âåòâè êåäðà èñòî÷åí; âêðóã òðîñòè
Äâå
êîáðû âüþòñÿ èç ìàòîâîé êîñòè
Êëûêîâ
ñëîíîâüèõ; îíè ñêðåùåíû
Âíèçó
ó òîíêèõ è ãèáêèõ óõâîñòèé;
Ââåðõó
èõ ãëàâàì ñêðåùåííûì äàíû
×åðòû
ëþäñêèå: â îäíîé âåëè÷àâûé
Ïðàîáðàç
ìóæà, â äðóãîé æå ëóêàâûé
È
òîìíûé îáëèê æåëàííîé æåíû;
È
çíàêîì ñîëíöà êàðáóíêóë êðîâàâûé
Âåí÷àåò,
ðäåÿ, ñîþç èõ äâóãëàâé...
E nel basso tempio l’ altare di Ziggurat si perde nelle decorazioni dei fiori. Il mio
vestito è bianco e ricco; è la svastica dei tori e delle croci.
Nella mia tiara il rubino sta sopra il rubino su tre corone della ghirlanda tripartita,
come il simbolo, prevede tre Facce di quello che è unito nell’
unità triplice. Il mio batocchio piccante, come il raggio alla fine, dal
ramo del cedro esso è intagliato; intorno al batocchio sono state
serpeggiate due corbe fatte di denti di elefantino; esse sono state in crociate
giù con le code sottili e inclinabili. Sulle loro teste sono regalati i
tratti umani: di una cobra è il grande prototipo del marito, dell’ altra
è la lussuria e l’immagine tentata della moglie desiderabile; e con il
segno del sole il carbuncolo sanguinoso corona, brillando, l’ unione di loro
ambedue.
Il cifrano arde con la vittima della benedizione;
colmo è il tempio con la fumata beata del sandalo…E con il fumo al cielo
si alzano i famosi inni, per il posto regio, vicino al trono ove fumo il
ladano: i leoni intagliati su metallo servono ai piedi del re. (Dalla prima metà del V c.,
pp. 44-45)
L’ informazione del “Crizia” che racconta dell’ isola scomparsa diventa la
base essenziale della memoria dell’ intelletto alla composizione della “Rovina
di Atlantide”. La memoria dell’ intelletto non riesce ad esistere in nessun
arte senza diffusione con la memoria della sensazione e con la memoria della
bellezza divina, mediante la quale viene sintetizzata l’ eredità storica
dell’ umanità.
5. Cromanioni o Cro-manioni sono tribù che
abitavano in Europa nella regione di Biscaia e sono da considerarsi gli
immigranti salvati dall’ Atlantide (Lewis Spence: “The problem of Atlantis”;
charter V: the Evidenze from Pre-History. (Pages 57-72.) London. 1924)
Golochvastov presuppone che il cro-manionus in cui ascoltiamo la notizia dei
discepoli del profeta Atlasso che prima, nella storia, regalò il
concetto della bontà divina agli atlanti che, verosimilmente, erano i cromanioni,
la quinta e la prima, simultaneamente, razza umana. Secondo la teoria di Darwin il
cromaniono è da considerarsi l’ ultima specie della scala
dell’evoluzione degli umanoidi: 1) Parapiteco, 2) Driopiteco, 3) Ramapiteco, 4)
Australopiteco, 5) Pitecantropo, 6) Sinantropo, 7) Neandertaliano, 8)
Cromagnono, 9) Il mutante, in una parte di una quarta neandertaliano e per tre
quarte parti cromagnono è l’ uomo contemporaneo che è da
considerarsi l’ HOMO SAPIENS; l’ analisi biologica dimostra che la massa del
cervello dei cromanioni suprema la massa del cervello degli uomini
contemporanei. Chi era quella razza scomparsa resta l’ enigma fino ai nostri
giorni. Verosimilmente essa era la razza degli atlanti?
P. 16: 8. Atono o Aten (Atem, Tem, Atmu) è
il dio egiziano del sole, il cui culto era coltivato dai periodi più
antichi nella città Geliopolis (Anu), in cui fu costruito il suo tempio.
Nel periodo temprano delle dinastie della città, in Egitto Basso,
cominciò ad essere stato coltivato l’ altro dio del sole Ra. Il suo culto
aveva l’ origine asiatica molto simile al culto del dio babilonese
Madùk. Esiste la tesi secondo la quale entrambi culti avrebbero una sola
origine. Più tardi il faraone Amenhoten IV, l’antenato di Tutankamen,
provò a fondare il monoteismo. Egli restaurò Atone nella
qualità dell’ unico dio, il dio del sole, “Vissuto sul Disco”. (Sir
Ernest A. Wallis Budge: “Tutankhamen” New York, 1923). Il tentativo di
trasformare Atono nell’ immagine di un solo Dio Assoluto libero dagli altri
è da considerarsi il primo passo al monoteismo. Bisogna capire che
questo monoteismo aveva lo scopo di giustificare il potere assoluto di una sola
persona che di comprendere ragione dell’unità divina. Perché
Amenhoten IV desiderava convertire il suo culto. Ma la sua monarchia non era
ancora assoluta. I sacerdoti gentili guadagnarono nel loro discorso globale. Ma
la fede nell’ unico Dio rimase, nella società degli dei falsi, fra i
sacerdoti gentili, che diventò il mistero sacrale della verità
occulta fino alla comparsa del Cristianesimo. Millecinquecento di anni A. C.,
dalla vita fra egiziani, Mose colse l’ idea principale da questo culto e lo
rivestì dei suoi costumi (mori coltivati) degli ebrei. Atone è
stato sostituito da Ra nella “Rovina di Atlantide”, anche l’ unico, che sognava
di conseguire Amenhoten IV. Però il monoteismo di Ra nella “Rovina di
Atlantide” non è ancora il monoteismo ebraico. Allo stesso tempo
è vicino in campo artistico al Cristianesimo mediante la trinità
simbolica ancora gentile.
9. Veda è la letteratura religiosa indiana
più antica (1500 –1000 A. C.) che è stata unita più di 100
libri. Golokhvastov unifica le immagini delle scale di Ziggurat, di Atone nel
sole e delle Veda nelle saggezze che sono incise con
Viassa ispirato.
Vèda, sm. Invar. (plur. Disus. Vèdas, vèdi).
Relig. E filos. Ciascuna delle quattro raccolte di testi religiosi, in partic.
In versi, che costruiscono la più antica testimonianza della letteratura
indoaria (e sono il Riveda, degli inni, il più antico e importante; lo
Yajurzveda, delle formule sacrificali; il Samaveda, delle melodie, dedicato al
canto liturgico; l’Atharveda, delle formule magiche, fortemente improntato alla
superstizione popolare). — Al plur. l’insieme di tali opere, considerate nel
brahmaneismo come frutto di ispirazione divina.
Berchet, Conc., II-200: Io son
uno che medita sui sacri Vedas. Gioberti, 2-109: I Vedi, che sono l’unico
documento del Bramanismo nella sua purezza, contengono una filosofia
speculativa sostanzialmente identica a quella dei Samanei, ed esprimono
l’emanatismo nei due cicli della Maia e del Nirvana, che rispondono e all’
emanazione. = Voce sanscrit., propr. « scienza, conoscenza »,
attraverso l’ingl. veda nel 1734. (“Grande Dizionario della lingua italiana”, Unione
tipografico-editrice Torinese . 9/V71964.)
13. Solo in seguito, più di un secolo dopo,
Platone rianimò la leggenda di Atlatide nello stato in cui lo sentiva
Solone (639 ?-559 A. C.). Però Platone non disse tutto che sapeva”. Egli
scrive: “e decidendo di condannarli, il dio fra i dei, Zeus ha riunito tutti
gli dei al consiglio, nella parte migliore del cielo, da cui è stato scoperto il visto di tutto il mondo, e li ha detto così…”, qua egli cessa il suo
racconto.
È rischioso, in primo
luogo, stabilire, in base allo scolio, un Anacreonte-Crizia-Eschilo sul piano
cronologico, collegamento che potrebbe essere frutto di autoschediasma… Crizia
il Vecchio — figlio del Dropide nato intorno al 580 A. C. ed eròmenos di
Solone — all’epoca del primo arrivo di Anacreonte ad Atene, dietro invito di
Ipparco, nel 522 A. C., potrebbe avere avuto intorno ai diciotto anni… (p. 284)
… a partire dal 509 A. C., in cui
Anacreonte deve essere rientrato ad Atene dalla Tessaglia, dove era
probabilmente riparato dopo la morte di Ipparco (514 A. C.)… nella tradizione
famigliare di Platone, di Crizia e di Carmide, il dato era conservato come
prezioso; Platone può riferire
questo dato, sulla base di un calcolo di generazioni quarantennali, al nonno
omonimo di Crizia, nato intorno al 540 A. C., riferimento importante per Crizia
è confermato dai celebri esametri in cui quest’ultimo loda e idealizza
il poeta di Teo, facendone una sorta di ipostasi del simposio aristocratico
(D.-K. 88 B 1).
Per tentare una soluzione del
nodo centrale — il fatto che il nonno omonimo di Crizia abbia ascoltato il
racconto del mito di Atlantide dalla bocca stessa di Solone — è
opportuno riconsiderare i punti salienti, nel Timeo, in cui la circolazione
è suggerita con una certa insistenza: (p. 285)
…Crizia:
Ascolta dunque, Socrate, un racconto dunque piuttosto strano, ma assolutamente
vero, come disse una volta Solone, il più sapiente dei Sette. (20e) Egli
era parente e intimo amico del nostro bisnonno Dropide, come ricorda lui stesso
più volte nei suoi versi. A mio nonno Crizia (egli) raccontò
dunque, e il vecchio a sua volta narrò a noi… … (21 c) il racconto che
aveva portato qui dall’ Egitto (25 d) Ora, Socrate, hai udito, in breve, il
racconto del vecchio Crizia (35e) quale egli lo ascoltò da Solone…(Timeo
20c-21d; 25 d (trad. Lozza) (p.286)… … Non è necessario peraltro
pensare a un problematico cambiamento di soggetto in “Timeo”. 20e, dove,
secondo alcuni, il soggetto sottinteso di “A mio nonno Crizia raccontò”
sarebbe appunto Dropide e non Solone (p.287) (Rosenmeyer, n. 4, p 404, con rif.
Bibl.)
Dropide (arconte nel 593/2; nato
prima del 623 A. C. : nel 635 A. C.) — Crizia il vecchio (nato prima del 570 A.
C.: nel 600 ca) — Crizia (III) (nato intorno al 520 A. C.) — Callescro — Crizia (IV, il tiranno) (nato
nel 460 A. C. ca) (p. 274)
1) è difficile stabilire
calcoli sicuri sulla base della cronologia di Solone e della sua presunta data
di morte Molti sono, come è noto, i problemi di cronologia soloniana. Si
deve tener conto anche delle argomentazioni avanzate negli studi a favore di
una data più bassa per la legislazione soloniana (Hignett, pp. 316 ss.;
m. miller, The Accepted date for Solon, precise, but wrong?, “Aretusa” 2, 1969,
pp.62 ss.; W. H. plommer, The Tyrannny of the Arcon List, “CR” 19, 1969, pp.
126 ss.; F. Cassola, “La proprietà del suolo in Attica fino a
Pisistrato, “PP” 28, 1973 (ora in Scritti di storia antica. Istituzioni e
politica, molto più bassa rispetto a quella del 560/59 a. c..,
comunemente ammessa in base alla testimonianza di Faina (F 21 Whrli in Plut, ibid),
fosse originata unicamente da un condizionamento della tradizione erodotea sull’ incontro tra
Crizia e Solone (cfr. Freeman, pp. 153 ss.; Masaracchia, pp. 5 ss.; davies,
APF, pp 323 s.; Piccirilli, “Solone”, pp. 112 s., 281 s.). Anche se sembra la
possibilità meno forte, la cronologia bassa di Solone, o almeno della
sua morte, rappresenta pur sempre una possibilità, che in qualche misura
accorcerebbe la distanza genealogica tra Crizia e Solone;…
2) Il rapporto Solone / Dropide
non implica con certezza, a ben vedere, una loro “coerenza”. (p. 275) 3) Le testimonianze sul rapporto
Anacreonte / Crizia (il Vecchio) non hanno implicazioni cronologiche
incontrovertibili. 4) la data “drammatica” del “Timeo”, se si vuol pensare a un
Platone attento alla verosimiglianza cronologica, rende assai problematica la
scelta del Crizia (III) nato intorno al 530 A. C. (su ciò vd.
Appendice). 5) Il gap. di ottant’ anno tra nonno e nipote (Crizia, il Vecchio e
Crizia tiranno), dato centrale per inquadrare il (probabile) artificio
genealogico messo in opera da Platone. 6) L’idea dell’akoé, dell’
ASCOLTO DIRETTO delle parole di Solone da parte di Crizia il Vecchio. (p. 276) (“Maledetta democrazia” studi su Crizia V Per un profilo introduttivo. II. L’ombra
lunga della. Crizia sdopiato rifondazione (pp. 284-285, 275-276). Edizione
dell’Orso. A cura di Essegrafica, Torino 1999)
“Timeo”. La prima idea essenziale di questo trattato
utilizzata da Platone si esplica dal paragrafo 22 fino al 25 in cui si racconta
che Salone, viaggiando attraverso l’ Egitto, domandò del passato
leggendario e provò a descrivere
il suo passato, ascoltò la risposta ossia che i greci come egli restano
sempre bambini perché non riescono a conservare quasi nulla del loro
passato. A causa dei luoghi pericolosi in cui abitano. Ricordano la storia, ma
non quella antica, relativa ad esempio all’ unica inondazione che Deucalione e
Pirra superarono. Ma era la moltitudine delle inondazioni, come molte volte il
fuoco celeste uccideva le popolazioni umane, e gli uomini non riuscivano ad
accumulare l’ eredità storica dei loro antenati. Solo gli egiziani
possiedono il dono di conservare questa informazione sacrale. L’acqua non getta
mai da su e sempre compara da giù in Egitto. Il paese, che adesso porta il
nome Atene è la più antica della città egiziana Sais
costruita un millennio dopo la fondazione di Atene. Solone aveva infatti composto un racconto sull’antica storia di Atene, in
base a quanto aveva appreso in Egitto; ma la composizione di quella “storia”
rimase incompiuta e la narrazione andò perduta “per il tempo trascorso e
per la morte di coloro che l’hanno composta”. Gli Egizi —- diceva Solone —
sorridono della corta memoria dei Greci, “fanciulli” della storia. (1) (“ATENE ASSOLUTA” Crizia dalla tragedia alla storia. Monica Centenni. Saggi
di antichità e tradizione classica. Capitolo I, II “Timeo” e “Crizia”
Collana diretta da Lorenzo Braccasi, Francesca Ghedini e Alessandra Coppola (p.
47). Federa editrice, Padova, 1997)
Ciclicamente sulla terra si
abbattono grandi catastrofi e in particolari diluvi, che distruggono ogni cosa
e riportano le persone che si salvano allo stato primitivo, privi di cultura e
dimentichi di tutto quanto era avvenuto in passato. Fanno eccezione gli
abitanti dell’Egitto, per la particolare posizione in cui il paese si trova, e
per il costume dei sacerdoti di conservare, mediante la scrittura, la memoria
di tutte le cose belle e grandi avvenute non solo nel paese, ma anche regioni.
E fra le cose belle e grandi conservate nelle scritture dai sacerdoti d’Egitto
si trova la memoria dell’ eccellenza dell’antica Atene prima dell’ultimo
diluvio,.. (2) (Platone “Timeo” testo greco a
fronte a cura di Giovanni Reale,
Introduzione “Fortuna, struttura, concetti cardine e significato del
“Timeo” di Platone”, Il “Timeo” è stato lo scritto di Platone più
influente fino agli inizi dell’età moderna1 (p. 9), Risconti Libri s.r.
l., Milano 1994)
Qui Platone sbaglia. Nell’ inizio
del XX secolo gli archeologi affermarono che il più antico monumento
egiziano è stato datato al QUARTO millennio A. C.. Ma alla fine del XX
secolo l’analisi di tester della rovina radioattiva dimostra che la costruzione
della Sfinge leggendaria ha circa a 14 000 di anni.
Golokhvastov scrive con l’ incoscienza nella pagina
15: Lì, di Atlantide, la faccia stupefatta, come la Sfinge, con l’
enigma comparve. Verosimilmente, qui allude che la Sfinge comparve come il
riflettere, e può essere primo, di Atlantide. Ma il tempo dimenticò,
secondo il racconto del sacerdote egiziano a Solone, l’eroismo dei liberatori
greci dagli atlanti, la cui armata incommensurabile desiderò conquistare
tutto il mondo. Su questa isola, racconta, comparve il regno meraviglioso per
il suo territorio e per il suo potere. Golokhvastov allude a questa
informazione, ma presenta gli atlanti come i lussuriosi di quanto abbia
conquistatori più selvaggi, avari patto Platone che è stato
evidenziato dal XII cap. fino al XX cap. nelle pp. 72 – 112. Come è
scritto nel 25 paragrafo del “Timeo” gli
atlanti conquistarono tutta la Libia fino all’ Egitto e tutta l’Europa fino
alla Tirrenia per trasformare i loro abitanti in schiavi. Allora il paese
Atene, secondo “Timeo” mostrò la forza del suo spirito e l’ esperienza
nell’ affare militare. Qualche tempo dopo i terremoti, da una notte e da un
giorno, l’ Atlantide scomparve nell’abisso del mare. … in particolare la grande impresa condotta da essa contro la grande
invadenza dell’Atlantide, che stava conquistando tutti i territori limitrofi e sottomettendo
a sé molti popoli. E affrontando pericoli estremi, l’antica “Atene
impedì che venissero sottomessi, e liberò con generosità
tutti coloro che abitano al di qua delle colonne di Eracle” (25 C) (Platone “Timeo” testo greco a
fronte a cura di Giovanni Reale,
Introduzione “Fortuna, struttura, concetti cardine e significato del
“Timeo” di Platone”, Il “Timeo” è stato lo scritto di Platone più
influente fino agli inizi dell’età moderna1, (pp. 9-10) Risconti Libri
s.r. l., Milano 1994-97)
Secondo la tesi contemporanea l’
Atlantide è il continente leggendario fra l’ America, l’ Africa e
l’Europa; è la parte assente nell’ ente di tutti i nostri 6 continenti
che componevano l’ unico continente gigante Pangea o la Megagea. Più
tardi la Megagea fu separata per la Gondwana e la Laurasia nell’ inizio dell’
era Paleozoica circa a 2 000 000 000 di anni fa. Ma l’ Atlantide scomparve
nell’abisso del mare, presuppongono, nel 12 millennio A. C. Non nel ottavo
millennio, secondo il “Timeo”. Perché? Questa scadenza è,
convenzionale, collegata all’ unico inizio delle ere dei calendari antichi
legati a un evento epocale. Il calendario egiziano lunare di 7 cicli, comune
abbraccia 1460 di anni secondo tre calendari lunari, incomincia 10 220 di anni
fa dalla fine dell’ ultimo ciclo e ci conduce al 11 653 A. C.. Il calendario
dell’ India consiste nei cicli, in cui ciascuno tra quelli ha 1805 di anni. La
fine di un ciclo di quelli sottolinea il 712 A. C. storicamente, i cui 6 cicli
ci conducono al 11 555 A. C.. Secondo il calendario lunare dei Maya l’ inizio
tradizionale è stato fissato dal 3373 A. C., ogni ciclo di questo
calendario consiste in 2760 di anni. Questo calendario di tre cicli va dal 3373
A. C. anche ci conduce al 11 653 A. C.
Testimonia l’esistenza della
Globale civilizzazione anche che conquistò non solo la parte dell’
Europa e dell’ Asia ma tutto il pianeta e obbligò a parlare tutti le
tribù del pianeta la sua lingua dei suoni (in volume di 53): dei suoni
vocali, dei mezze vocali e dei consonanti. 40 000 di anni fa le lingue dei
popoli primitivi erano caotiche e consistevano nei suoni somiglianti alle voci
degli animali anche i suoni non si differenziavano con quelli tre tipi: vocali,
mezze vocali e consonanti.
Dell’ esistenza dell’ unica lingua globale di una sola
famiglia di Adamo e di Eva o della civilizzazione globale scomparsa è
stato pubblicato nella rivista scientifica dell’ Unione sovietica ( “Cognizione è la Forza” N 5 e N 7 «Çíàíèå — ñèëà» n 5 è n 7; 1985 ãîä).
Lì si dimostra che
esisteva la Grande Prima Lingua che generò tre essenziali e globali
tendenze linguistiche: INDOEUROPEA, INDOCINESE e AFROASIATICA che fecero da
base a tutte le famiglie linguistiche contemporanee. Questa ipotesi
contemporanea contraddice all’ ipotesa dell’ inizio del XX secolo e prova a
confutarla. Gli astronomi contemporanei presuppongono che, in quel periodo, la
cometa Galea si avvicinò alla terra per alcuni centinaia di chilometri
accompagnata sempre con la corrente delle meteoriti. Alcune di quelle, col
diametro grosso, poteva cadere sul continente di Atlantide e provocare la sua
scomparsa alla fine dell’ epoca dei ghiacciai. La caduta simile è
predetta con Nostradamus che
succederebbe alla fine della prima metà del quarto millennio prima del 3
797 D. C. Ces sont perpetuelles
vaticinations, pour d’icy à l’année 3797 (Ci sono le perpetue
vicinanze per da qua all’anno 3797) (par.62) (pp. 41 e 56)
NOSTADAMUS, il pittore e sconosciuto
Après
paix, guerre, faim, inodation: (Dopo pace, guerra, fame, inondazione :)
Roulera
loin abismant grans contrades,(Rullerà lontano l’abisso i grandi
contraddittori)
Mesmes
antiques, et grand fondations.(Le stesse antiche e grandi fondazioni). (p. 120) (Nostradamus the complete propheties John Hogue:
Nostradamus, Complete profezie John Hogue (pp. 41, 56, 120), first published in
Great britain in 1996 by Element Books Limited, Shaftesbury, Dorset,ÔÀÈÐ ÏÐÅÑÑ, Mosca 1999, ISBN 5-8183-0077-3,
originali francesi, traduzione dall’ inglese in russo di I. Gavrilova)
In questo
caso, secondo Golokhvastov, l’Universo sembra più finito dell’infinito,
e la Creazione dell’Universo si utilizza come la base che si evidenzia nella
pagina 36. Secondo i paragrafi (50
a-b) del “Timeo” qualche individuo compone innumerevoli figure diverse dall’
unico pezzo dell’ oro. È inutile determinare perché immagine sia
propria di questa cosa. È più corretto dire che questa cosa
coincide con loro. La fede nella reincarnazione gentile di Platone spaventa tutti coloro che
non riescono a filosofare in modo libero, tutti hanno paura che dipendono dalla
dittatura medioevale delle religioni domini in Israele, in Iran, in Algeria,
ecc.. Solo secondo la proposizione filosofica al di fuori di tutte le religioni
monoteistiche, come il destino dell’ oro del “Timeo” l’ uomo, che in questa
vita è il fanatico musulmano che va al suicidio finale e prima di
nascere nel corpo dell’ animale va ad uccidere alcuni “infedeli” cristiani,
ebrei, buddisti o laici. Secondo questa teoria platonica nella vita precedente
con la passione stessa, egli inviava ai fuochi dell’ inquisizione molti
musulmani perché nacque allora dalla famiglia cattolica fedelissima a
Gesù. Prima, come il famoso romano fedele all’alto stoicismo, guarda col
piacere come i leoni mangiano “questi stupidi” cristiani, ecc… Solo i defunti per la verità possono guadagnare
il paradiso. Tutti i peccati passano alla reincarnazione eterna senza fine
secondo la proposta di Golokhvatov. Anche l’ autore, in questa vita riceve il
corpo di Golokhvastov. Verosimilmente ciò che era, come gli sembra, nel
soggetto del poema “Rovina di Atlantide”, quello ultimo sacerdote di Ra, la cui
storia si raccontata in prima persona.
La seconda parte
“ATLANTIDE”
P. 29: Sandalo o santalo — le fumate di colori, al
giorno rosso di Sole ed ogni settimana di Luna, di Marte, di Mercurio, di
Giove, di Venere e di Saturno; Amaranto — l’assenza dei sogni degli atlanti
addormentati.
Sàntalo, sm. Bot. Genere
di piante Santalacee, a cui appartiene il sandalo (Santalum album). Scarfoglio,
1-10: Per voi il boscaiolo malese devasta le sue foreste di santalo. = Voce
dotta, lat. Scient. Santalum, dal greco santalon (v. Sandalo); cfr. anche fra.
Santal. (“Grande Dizionario della lingua italiana”, Unione tipografico-editrice
Torinese . 9/V71964.)
Le fumate di colori sono state legate, nella “Rovina
di Atlantide” al secolo d’ oro che si evidenzia sotto l’ antichità e
verosimilmente sotto l’ influire dell’ età d’ oro delle “Metamorfosi” di
Ovidio. Questo concetto della memoria dell’intelletto umano è riflesso
nell’ entità inseparabile della bellezza divina e la percezione della
natura che è stata rappresentata con tutti i colori naturali che furono
fumati. Allora erano belle le enti umane:
splendevano gli occhi come le riflessioni delle stelle, la voce amante suonava
come le canzoni, quando le estasi di due corpi tremanti facevano bere i
piaceri, con la sete dei desideri, come le fonte nelle montagne. Le nascite dei
bambini passavano senza dolori, senza grida dell’angoscia, senza sofferenze
orribili delle generate il figlio. Egli entrava nel mondo di amici. Nei
giardini oscuri, nei quali insieme con le fumate saliva fino al cielo il
sandalo odorato, i sacerdoti lo ardevano con la preghiera, come il sacrificio,
il fiore amaranto: sulla tavola di vittime l’ Atlante non versò sangue
per Dio con l’amore di figlio. E santo era il riposo ai figli Divini, le loro
notti erano pacifiche e il loro dormire senza sogni. Così caratterizzò Golokhvastov l’
entità dell’ incoscienza umana e della natura che, secondo la mitologia.
La coscienza dei popoli, con la fumata ad ogni pianeta nei primi secoli dell’
umanità, non era macchiata, ma allo stesso tempo la prima coscienza non
sapeva sognare ancora nel paradiso terrestre. Secondo la filosofia cristiana di
Dante, l’uomo peccatore che vede il sogno, dormendo, deve traversare la fiamme
del Purgatorio per tornare alla purezza: Poscia:
“Più non si va, se pria non morde, // anime sante, il foco: entrate in
esso, ed al cantar di là non siate sorde”,… (Purg. XXVII 10-13).
10-12. Più.. sorde: non si
procede oltre, se prima il fuoco non vi fa il suo morso (se, cioè, non
si attraversa questa barriera di fiamme); entrate dunque nel fuoco, lasciandovi
guidare dal canto, che si sente al di là di esso, di un altro angelo
(cfr. vv. 55-60). — Le parole che qui pronunzia l’angelo guardando del settimo
cerchio, si indirizzano indeterminatamente a tutte le anime sante… (“La Divina Commedia” p. 3 (p. 698); ristampa anastatica
dell’editore G.C. Sansoni, Firenze 1922,1988)
Dante
Alighieri scrive, con i versi 139 – 144 nel XXVIII canto del “Purgatorio”, dei
poeti che sanno sognare e vedono i sogni quando dormono e dopo dedicano i loro
canti a quell’ età d’oro:
l’ età de l’ oro e suo
stato felice,
forse in Parnaso esto loco
sognaro.
Qui fu innocente l’ umana
radice; 142
qui primavera sempre ed ogni
frutto;
nèttare è questo e
questo di che ciascun dice…”
…dice quando il poeta sa conservare e non perde la
memoria della bellezza divina e allo stesso tempo accumula l’ eredità
della memoria dell’intelletto per sintetizzare gli eventi storici e la
percezione dell’ anima mediante il riflettere poetico, nel caso concreto, che
è la recettività e la descrizione dell’ età d’ oro. Così
Golokhvastov, nella “Rovina di Atlantide”, svolge il suo sogno del Parnaso, in
cui narra dell’ Atlantide, iniziando a descrivere la mattina della sua
civilizzazione sulla base della comune memoria umana.
P. 33: Eterno appello dei saggi — Svami Paramanda, il XIV paragrafo della
terza parte di Khata Upanisad. Upànisad (upanisadi), sf.plur. Relig. Gruppo
di scritti speculativi dell’induismo appartenenti alla tradizione vedica dell’
induismo appartenenti alla tradizione vedica, composti fra il IX e il VI sec.
A. C., che trattano in particolare il problema della salvazione delle anime
attraverso il ciclo delle varie esistenze.
Piccola enciclopedia Hoepli,
I-III-3261: “Upanisadi”: sono libri vedici. Migliorini (s. v.):
“Upanisad”: testi filosofico-religiosi
dell’India prebuddistica, contenenti una dottrina esoterica (rivelata dal
maestro allo scolaro ‘che gli siede accanto’ ‘upa-nisidati’), che ha per
obiettivo la meditazione dell’Assoluto, del Barman. = Adattamento di una voce
sanscrita, forse attraverso l’ingl.: upanishad (nel 1805). (“Grande Dizionario della lingua italiana”, Unione tipografico-editrice
Torinese . 9/V71964.)
Il popolo, cacciato via dal paradiso terrestre
spiritualmente e materialmente, concepì tutto naturale. Esso
cominciò a ritenere che il mondo divenne il suo primo nemico dopo che lo
obbliga a lavorare duramente per alimentare la sua famiglia col pane. L’ inizio
dell’età di ferro di Golokhvastov è stata descritta
verosimilmente sotto l’influenza del frammento dal “Sisifo” di Crizia tiranno e filosofo stabilito da Snell.
Wilamowitz ricostruì
l’esistenza di una tetralogia drammatica di Crizia (Tennes, Radamanto, Piritoo
più il Sisifo) che sarebbe andata confusa nella tradizione con la
tetralogia di Euripide che ottenne il secondo premio nel 415 (Alessandro, Palamede,
Troiane, Sisifo), per la coincidenza tra il titolo del dramma satirico di
Euripide con quello della tetralogia criziana. (Wilamowitz 1875, p. 166) ( p.
148)
Il frammento del Sisifo — il
più lungo brano attribuito dalle fonti antiche a Crizia — viene dunque
citato da Sesto Empirico come esempio di ateismo… contro Zeus o contro Aide,
Sisifo è costretto a rotolare (p. 144) eternamente un masso sopra
un’altura del tartaro e il masso è destinato a ricadere ogni volta che
il percorso arriva al culmine (Odissea XI, 593-600).
Secondo alcuni fonti il motivo
della punizione di Sisifo sta nella sua straordinaria intelligenza: nel suo
mito, che racconta una lunga storia di inganni e raggiri, riesce fra l’alto ad
intrappolare Autolico, il furbo e ladro figlio di Hermes, e a sedurre anticlea,
che secondo una variante litografica gli avrebbe partorito Odisseo. (p. 145)
Secondo una delle versione del
mito, Aide stesso (o Thonatos) viene ingannato ed imprigionato nella sua casa
da Sisifo, interrompendo così
l’ordine della vita e della morte di tutto il cosmo. (Pindaro, Olimp.
XIII 52-53)… Sisifo è il più
bravo a manipolare parole, come sarà suo figlio Ulisse. Ma per
questo viene punito. (Che
cosa voleva realizzare l’ultimo sacerdote di Ra. Ma tutto doveva essere
contrario nella “Rovina di Atlantide. Se Sisifo lo fa prima della nascita della
propria civilizzazione, il sacerdote lo ripete invece al tramonto
dell’esistenza di Atlantide.)
Il passo di Stesso Empidoclo che
introduce il frammento di Crizia non menziona Sisifo; Aezio, che come si
è visto attribuisce il frammento a Euripide, dice che il tragediografo “introdusse Sisifo come
esponente di questa opinione”(DK 888 B 25). La fonte dunque non è chiara
su un punto importante: Sisifo sia il protagonista del dramma, oppure soltanto
il personaggio che pronuncia questi versi (Come il
sacerdote legge le sue preghiere.)e forse la maschera attraverso
cui il tragediografo esprime il suo pensiero. (Secondo Walzer 1923, pp.
104-105, il frammento sarebbe tratto dal Radamanto: l’ipotesi resta isolata
nelle ricostruzioni critiche che invece concordemente riconoscono in questi
versi un frammento da un dramma di Crizia, intitolato a Sisifo.) … (p.146)
Dunque Sisifo potrebbe essere
piuttosto che la voce narrante, proprio quel pyknos aner, e al personaggio del
mito paradigmatico per la sua “astuzia” Crizia potrebbe anche aver attribuito
l’invenzione dei demoni.
Degli uomini era senz’ ordine
Ferina, schiava di violenza:
non c’era alcuna ricompensa per
chi ecceleva
né punizione per i malvagi.
Allora gli uomini pensarono di
istituire
Leggi punitive perché
giustizia fosse tiranna
E tenesse per schiava l’inferiore
arroganza: per schiava la tenesse!
E veniva condannato chi errava.
Ma le leggi solo l’azione apertamente violenta
Impedivano, non il misfatto nascosto. Fu perciò io credo
Che un uomo astuto, bravo e
intelligente,
fu lui ad inventare per i
mortali, che ci fosse
una sorta di terrore per malvagi,
anche se di nascosto
operassero in parole o in
pensiero.
Ed allora venne introdotto il
divino:
un demone che fiorisce di vita
immortale,
e con la mente ascolta osserva
comprende,
di sé signore, nulla sua
divina natura.
Tutto ciò che fra gli
uomini si dice, lui ode;
tutto ciò che viene fatto
lui potrà vedere.
E se anche in silenzio tu mediti
qualcosa di male
Non sfuggirà agli dei:
perché in potere degli dei
È l’intelligenza di ogni
cosa. Parlando con tali parole
Introdusse l’insegnamento
più dolce
E coprì la verità
di false parole.
Andava dicendo che gli dei
stavano sempre là,
dove più potevano
atterrire gli uomini,
donde sapeva venivano le paure ai
mortali,
il peso sulla loro misera vita.
Nel cielo più alto, dove
si vedono
I fulmini e i paurosi boati
Di tuono: nella volta stellata
del cielo,
variegata bellezza di Crono,
architetto sapiente,
là, donde muove la fulgida
sfera dell’astro,
donde la pioggia porta alla terra
il suo umore.
Circondò
gli uomini di queste paure:
con le parole quel uomo
riuscì ad insediare
la divinità nel luogo
più adatto,
e con le leggi estinse l’anarchia.
Così, io credo, un tempo
qualcuno persuase
I mortali a credere che esistesse
la razza divina.
Nel frammento di Crizia gli dei
appaiono un’istituzione secondaria, che viene dopo le stesse leggi per controllare quei crimini che le leggi non
riescono a individuare e a punire. (“ATENE ASSOLUTA” Crizia dalla tragedia alla storia. Monica Centenni. Saggi
di antichità e tradizione classica. Capitolo III: Il tiranno a
teatro, Sisifo o l’invenzione degli dei.
rancesca Ghedini e Alessandra Coppola (pp. 147-148). Federa editrice, Padova, 1997)
Verosimilmente, il profeta Atlasso rappresenta la
riflessione contraria della mente suprema di Sisifo il cui nero diventa bianco
ed invece nella “Rovina di Atlantide”. Golokhvastov idealizza l’età d’oro e giudica
l’epoca quando si immaginava Crono di Crizia e per contraddire a Crizia egli
sostituisce gli dei vincenti Crono dalla comprensione monoteistica di Atlasso
antipodo di Sisifo. Il profeta comincia a spiegare che non si può
confondere la crudeltà della natura inanimata e il Creatore, il cui
simbolo è il sole. Ma il sacerdote assume tutte molti tratti di Sisifo
desiderando ad essere immortale. Golokhvastov utilizza l’ idea della Khata
Upanisad in cui parla, all’ uomo selvaggio e cieco, il profeta Atlasso: Egli
appellò: “Figli, riavetevi per alzarsi, con la volontà ragionevole
curando l’assenza della volontà! Affinché vedano la
potestà nell’ Atlante il fuoco e l’ aria, l’ acqua e la terra. Qui
vediamo che l’ autore afferma che due filosofi greci, Platone nel “Timeo”
parlato con le parole di Timeo ed Aristotele in “Fisica”, utilizzano l’
insegnamento indiano secondo cui l’origine di tutto il mondo è la
miscela di quattro elementi primordiali. Tutto si fa con la misura guadagnata:
il nostro giudizio è nella nostra aspirazione. La saggezza santa, con l’
amore e con la fede, è il genio libero e il lavoro d’ arte che ci
faranno le ali durante la caduta inferiore, ammireranno e condurranno i
sentimenti e il pensiero alle altezze. Ecco c’è Lui, l’ Unico immortale,
dietro il Disco dell’ Astro della Fama: invisibile Egli — sta lì! Egli
è lì come l’ occhio brillante del mondo, come il raggio della
vita attraverso l’ oscurità della morte! E il nostro cammino conduce al
cielo dall’ abisso profondo, dall’ oscurità alla luce tramite il Sole
(aspirare) a Lui! È l’ aspirazione di tutte le religioni incontrare un
solo Dio che non fu realizzata in Egitto. E che si evidenzia nell’ immagine di
Atlasso.
III Cap. p. 35: Ziggurat — la forma abituale dei
templi di Babele, è la piramide di alcuni ripiani. A volte le terrazze
venivano sostituite dalle spirali condotte dal suolo fino alla vetta. Sulla
vetta era situato l’ altare religioso circondato. (The Encyclopea Britannica,
14 Edition, 1929; vol. 23, page 950). Verosimilmente, pensa Golokhvastov,
la memoria incosciente dirigeva gli antichi. Essi sapevano qualcosa e non
sapevano allo stesso tempo e il mistero celato si trasformava nelle leggende dello Ziggurat.
Essi lo percepivano come il cammino alla divinità simbolizzata. Quello
poteva essere la Montagna di Atlantide. Nell’ inizio del XIV secolo Dante
rappresenta il Purgatorio come una Grande Montagna (XXVII canto), di 14 livelli spirituali: di due ripiani (IV
e V Canti), di sette cerchi: (X, XIII, XVI, XVIII, XX, XXIII, XXV-XXVII canti)
e di cinque canti del Paradiso Terrestre.
2 In Babele la forma dello
Ziggurat è legata alla creazione del mondo. Rispetto al loro punto di
vista “la nostra terra è la riflessione microcosmica del mondo supremo,
in cui il zodiaco è formato la Terra come l’ universo sopra il quale
è stato alzato l’ oceano celeste. Dunque, sette pianeti sono stati
passati attraverso lo zodiaco nella distanza diversa e per la diversa scadenza,
lo zodiaco si evidenzia come i sette circhi girati ognuno diminuito sopra ogni
altro. Queste zone parallele come sette gradini costituiscono la montagna
piramidale. Il settimo grado conduce al cielo supremo del dio Anu (Atone) (p.
14).
Bisogna sottolineare che questa
creazione dell’Universo viene ripetuta secondo Platone con le parole di Timio
nel trattato omonimo. L’ origine straordinaria si dimostra con la
possibilità rara di interpretare il “Timeo” dal punto di vista classico,
che fece Golochvatov, che si può interpretare dal punto di vista
contemporaneo dell’ inizio del XXI secolo anche. La prima domanda è (27
c - d) come comparve l’ Universo, nacque o era sempre stato? Secondo la
tradizione classica si può scegliere una sola risposta. Golokhvastov
segue Platone perciò sceglie la prima.
Nel rileggere il “Timeo” si possono assumere punti
di vista assai diversi. Lo si può considerare una sorta di museo
archeologico, contenente teorie che con l’uomo di oggi non hanno più
nulla a che vedere: e questo accade se si assumono i punti di vista della
storia delle scienze particolari. Oppure si può cercare in esso
presentimenti della moderna fisica, ossia dell’ interpretazione del cosmo
mediante la matematica. Oppure si può dare rilievo alla componente
“mitica”, cui Platone fa, sì, più volte richiamo, ma
interpretandola in modo del tutto particolare…
… è proprio su questi che il nostro filosofo concentra i suoi
veri interessi, considerando tali concetti-chiavi come incontrovertibili,
mentre presenta le singole dottrine di scienze naturali come “probabile” e
“verosimile”, e niente affatto di assoluta necessità. Una concezione,
questa, che, fino a ieri, poteva considerarsi del tutto obsoleta, mentre oggi,
al contrario, si presenta come sorprendentemente moderna. (Platone “Timeo” testo greco a fronte a cura di
Giovanni Reale, Introduzione “Fortuna,
La struttura del “Timeo, la cospicua ricchezza di contenuti di dottrine
metafisiche, cosmologiche, matematiche, scienze naturali, medicina e il
modo in cui questo scritto va riletto dall’uomo di oggi, concetti cardine e
significato del “Timeo” di Platone”, 1. (pp. 11-12).
Risconti Libri s.r. l., Milano 1994-97)
La teoria della Relatività
non è stata rifiutata da nessun ambiente fra molti ambienti di 11,1
dimensioni, in cui l’ una non riesce ad esistere senza altra. Sì, circa
a 13 miliardi di anni fa succede l’
esplosione di qualche “nulla” che viene preso dalle altre dimensioni e non
aveva “nulla” dei frutti dell’ esplosione sudetta. Questa esplosione è
da considerarsi la nascita del nostro spazio cosmico che genera
l’infinità di 3 dimensioni secondo la velocità, il tempo e lo
spazio, in cui all’ interno, tra le cui leggi condizionali il passato, il
presente e il futuro diventano illimitati e dipendenti dalla velocità di
qualche oggetto nello spazio. Secondo
la “Dotta ignoranza” di Nicolò Cusano (N.
Cusano, “Dotta Ignoranza”, a cura di Giovani Santinello, Rusconi, Milano 1988)
esiste nessuna misura né
massimale, né minimale in questo spazio perché tutte e due
appartengono solo a Dio inseparabile. Allora ogni punto corporeo separabile
deve essere il centro dell’ Universo, se il raggio infinito è la retta
(XIII Cap. 35). Secondo il suo insegnamento il mondo è finito, secondo
lo scopo, è infinito allo stesso tempo, rispetto a questa retta
condizionale. Il primo libro tratterà del maximum assolutum “che la fede
di tutte le nazioni crede esser Dio”. Il secondo libro tratterà di quel maximum
la cui unità è “contratta nella pluralità ” e sarà
l’universo. Nel terzo libro, infine, si parlerà di quel maximum “che
è insieme contratto e assoluto”, cioè di Cristo che è tale
in quanto uomo-Dio. (26) “Tutti coloro che ricercano giudicano ciò
che è incerto paragonandolo e proporzionandolo ad un presupposto che sia
cert. Ogni ricerca ha carattere comparativo ed impiega come mezzo la
proporzione. E quando l’oggetto della ricerca può esser paragonato
riducendolo al presupposto mediante una proporzione breve, allora
l’apprendimento è facile…” (I,1 § 2).
Poco dopo il Cusano insiste nel
dire che la conoscenza per proporzione deve impiegare la matematica, e ricorda
Pitagora per il quale il numero è costitutivo d’ogni cosa. S’intende che
il numero costituisce proporzioni non soltanto nell’ambito della quantità,
ma anche in ogni altro tipo di convenienza fra cose che, sostanzialmente o
accidentalmente, possono fra loro compararsi. Di qui due conseguenze.
“L’infinito, in quanto infinito, poiché sfugge ad ogni proporzione, ci
è ignoto” (I, 1, § 3). Ma anche nell’ambito del finito ogni conoscenza
precisa, o verità ultima ed assoluta, è impossibile. Infatti
conoscenza è proporzione, non si può conoscere se non relazionando una cosa all’altra; la
conoscenza d’una cosa è in relazione alla conoscenza che si abbia di
un’altra. Ed in ogni relazione si dà sempre un più ed un meno:
date due cose simili, se ne possono sempre pensare altre due più simili,
e così via all’infinito. Perciò la verità, che equivale
all’essenza d’una cosa, è irraggiungibile. (“I
FILOSOFI” Introduzione a Nicolo
Cusano di Giovanni Santinello (pp.26-28), Gius. Laterza & Figli Spa,
Roma-Bari, 1987)
Secondo la legge corrisposta
nessun concetto e nessuna dimensione può essere stremale, come il
termine di qualche fine ed anche di qualche inizio perché la fine
è massimale già e l’ inizio è da considerarsi il minimale.
Allora lo spazio cosmico è sempre senza inizio? In quelle 3 dimensioni
sì, come il tempo all’ interno del TEMPO è sempre! Ma nella
realtà di 11,1 dimensioni NO, di quello fa ricordare sovente l’ accademico russo
Kapizza minore Perché l’ esistenza stessa
di sempre è il negativo concetto MASSIMO che riesce a sussistere nel
mondo separabile e misurato come il negativo concetto minimale dell’ inizio
stesso (esplosione) anche da cui compare la radice relativa della
relatività di Einstein. Esiste
un solo essere corrisposto nel “Timeo”che è eterno e non comparsa
perché non esiste senza idea. È ciò che è stato
ottenuto e compreso con l’ intelletto. Tutto ciò che è sottoposto
alla sensazione, come molti culti religiosi legati solo alla stima dei nostri antenati
“sacrali” ecc., compare, declina e scompare
perché non esiste nella realtà (28 a). Ogni cosa comparente deve
avere la sua causa perché senza causa nessuno può comparire. Senza circostanza è stato
realizzato nessun ordine fisico, chimico, biologico, matematico, storico, ecc… Se il demiurgo, nella composizione di qualcosa,
contempla l’ essere eterno il futuro dell’ oggetto creato sarà bello
sempre. Se il demiurgo, facendo qualcosa, contempla qualche oggetto e lo
utilizza come l’ immagine primordiale, la sua opera avrà la
qualità cattiva: la creazione di Atone aveva uno scopo temporale che era la monarchia
assoluta che era contemplata prima della nascita dell’idea monoteistica e non generò
nessun frutto al suo popolo. La stessa idea rubata con Mosè non aveva
altro scopo che la fede e generò il primo monoteismo. La relazione a
Gesù in un primo tempo era fondata sul vantaggio ed aveva l’ unico scopo
di non rompere l’ amicizia degli ebrei e dell’ imperatore romano. Secondo le
tradizioni, l’inquisizione non aveva altro scopo se non quello di compiere le
tradizioni storiche solo dei loro antenati, come quello che contemplava il
demiurgo durante la loro creazione avvenuta dopo la conquista di Costantinopoli
nel 1204 (anno della fondazione della “santa inquisizione”), abbiamo solo
quello che abbiamo e niente più fra i monumenti letterari dell’
antichità, ecc..Il cosmo è bello
perché il demiurgo contemplava l’eterno. Il cosmo è creato
secondo l’ esempio unico ed immutabile. La classica capisce che questo pensiero
è l’ unità di tutto il visibile che non si sviluppa mai. L’ analisi della logica contemporanea dà l’
ambigua risposta anche. Se, la base di tutto l’ Universo è costituita
tre dimensioni in cinque dimensioni; quelle ultime sono determinate con la
simmetria all’ interno della quantità di 11,1 dimensioni immutabili,
secondo Capizza minore. Anche la velocità, il tempo e lo spazio sono
composti solo con l’ unione atomica di due segni contrapposti del Più e
del meno. All’ interno delle dimensioni del nostro Universo nessun altro segno
è possibile solo due segni contrapposti Più e meno (i protoni nei
nucleoni e gli elettroni girati ed invece). Nel nostro sistema solare, di
quello e non più, la base fondamentale è immutabile come tutto
nello spazio cosmico dalla scadenza dell’ esistenza della civilizzazione umana?
Ma! Non è mutabile solo l’ eterno ma tutto ciò che compare
è mortale e mutabile sempre. La civilizzazione umana ora sa che gli
astri celesti sono comparse. Se non sono eterne sono mutabili e mortali, come
le dimensioni non come i segni Più e meno, che corrisponde a questa
teoria che, verosimilmente, si comprende solo con gli antichi che non avevano
la preparazione specialistica per l’ analisi necessaria che, verosimilmente,
noi stessi non abbiamo ancora. Allo stesso tempo è la teoria falsa come
è la vera della creazione universale secondo le proprie leggi.
Dio desiderò che tutte le
cose diventassero come Egli Stesso. È giusto affinché tutte le cose rispondano alle leggi
naturali (matematiche, fisiche, chimiche, biologiche, logiche, storiche,
linguistiche, ecc.) del loro generale ambito temporale anche.
Egli regalò l’ intelletto
e l’ anima all’Universo (30 c - d). È il pensiero essenziale che dimostra l’ origine non terrena di
tutta la teoria. La vita non può essere solo quella organica e non
è limitata solo con le misure del Globo Terrestre così come l’
uomo non è lo scopo finale, come ci persuade la mitologia ebraica che
generò le radici dell’ inquisizione, dei terroristi islamici negli altri
popoli, ecc. che simbolizzano il “loro dio” nel ruolo del tiranno del creato
finito ed ubbidiente alla sua potenza temporale come la fede politeistica. Il
ruolo della vita organica nell’ Universo è avvicinato al minimo ma non
è minimo, scrive Giordano Bruno sulla base giustificata della scienza,
nella sua profezia “De l’ Infinito, Universo e Mondi”, molte idee di quella sono dimostrate dalla scienza e dai filosofi
indiani come Shri Auro Bindo, secondo la sudetta idea dell’ intelletto e dell’
anima (di creatura) dell’ Universo, di ogni astro e di ogni pianeta nell’
armonia cosmica. Timeo si domanda se
occorra parlare della moltitudine infinita dei mondi o dell’ unico Universo.
Qui vediamo il dubbio prima di affermare che l’ Universo è l’ unico.
Perché Platone in “Timeo” scrive così? Perché l’
infinità di Pitagora era osservata solo come l’infinità diabolica
della separazione al meno dell’infinità e l’ uomo non poteva immaginare
ancora l’ unione, non come la montagna, ma come il Più dell’
Infinità SENZA CONO. La mancanza ideologica dell’infinità,
secondo Platone, è stata sostenuta ed evidenziata nella “Rovina di
Atlantide” di Golokhvastov. Ma l’interesse non è andato scemando per questa teoria.
Perché? Secondo l’ affermazione di Giordano Bruno, l’ Universo è
infinito e immobile e non vi è nulla al di fuori di esso. È
davvero così, ma solo in 3 dimensioni, solo secondo la velocità,
lo spazio e il tempo.
Per rispondere a questa domanda
bisogna citare un frammento “Della Dotta ignoranza” di Nicolò Cusano,
dal XXIII capitolo:
71.
Perciò Parmenide, con una considerazione molto sottile, diceva che Dio
è “colui per il quale, qualunque ente esistente è tutto l’ essere
di ciò è”. Come dunque la sfera è la perfezione ultima
delle figure, quella figura di cui non vi è altra che sia maggiore,
così il massimo è di tutte le cose la perfezione più
perfetta, in maniera tale che ogni cosa imperfetta è in lui
perfettissima, come la linea infinita è sfera, la curvità (deviazione)
è rettitudine, la composizione è semplicità, la
diversità è l’ identità, l’ alterità (molteplicità)
è unità, e così via… (N. Cusano: “La dotta
ignoranza”, “Le congetture” a cura di G. Santinello, (p. 114),Risconti, Milano 1988) Da tre copie dei concetti contrapposti di Cusano:
la curvità-rettitudine, la diversità-identità e
l’alterità-unità compariscono tre concetti alternativi di Kant
che si incarnano con Paul Ricoeur nelle relazioni umani e che si interpretano,
verosimilmente, nella “Rovina di Atlantide” di Golokhvastov: La forza della morale della
comunicazione, fondamentalmente, si basa sull’aver fuso in una sola
problematica i tre imperativi kantiani: il principio di autonomia secondo la
categoria di unità (1) (i gemelli rappresentano due emisferi dell’unica
anima primordiale che dalla stessa nascita ed in precedenza è autonoma e
non obbedisce e non dipende dalle leggi oggettive del mondo), il principio del rispetto
secondo la categoria di pluralità (2) (il mondo è
molto contrasto perché così al di fuori della nostra comprensione
è composto da Dio che capisce e prevede meglio di tutti nell’universo.
Malgrado nessuna natura specifica il mondo fatto così obbliga a
rispettare i suoi ordini e nessuna sofferenza e nessun’idea geniale ha nessun
diritto per cambiarlo perché nessun essere creato di pluralità
potrà ottenere nessun massimo assoluto come nessun minimo), e il principio del regno dei
fini secondo la categoria di totalità (3) 1, 2, 3 (P. Ricoeur,
“Sé come un altro” a cura di D.Iannotta (pp. 310-311), Jaca
Book, Milano 1999)
(I destini
contrasti non possono essere spiegati con noi perché ogni fato della
provvidenza si compone sempre sulla base della totalità capita, prevista
e creata soltanto da Dio al migliore passaggio attraverso lo spazio, il tempo e
le nascite delle nuove anime). L’epoca di Atlantide doveva finire. Per
terminare la sua ultima corda nacquero l’ultimo sacerdote supremo di Ra e i
gemelli che, secondo la provvidenza totale di tutte le dimensioni, dovevano
condurre all’apocalisse per continuare lo sviluppo del Globo Terrestre
nell’Universo.
Secondo tutte le leggi e le
percezioni dei primi 3 concetti è giusto. Ma in 5 dimensioni al di fuori
degli spazi, il cui ambito è più complesso e più sviluppato
di tutti gli spazi, ogni retta del nostro Universo diventa il cerchio.
Ancora una volta è dimostrata la relativa ambiguità di questa
strana eredità storica della Creazione Universale che è stata
attribuita agli indiani, ai cinesi, ai persiani, ai greci, ecc. Quando è
stato dimostrato che il nostro Universo è potenzialmente finito come
allo stesso tempo infinito, compare l’idea che, in quanto — l’ Universo con la
sua interna infinità è da considerarsi finito, in tanto — il concetto
dell’ infinità è relativo e permette di presupporre l’ infinita
quantità degli Universi, al di fuori di ogni interna finitezza
relativa infinita anche in 3 dimensioni, che rappresentano le Particelle
Universi Neutrali più elementari in quell’ ambito sopraspaziale di
ogni Macro Universo condizionale di cui gli Universi Neutroni condizionali
non sono minimali come i macro universi non sono massimali perché all’
interno sono unite fino al Più dell’ infinità in 11,1 dimensioni
e sono separate fino al meno dell’ infinità secondo i neutroni universi
all’interno di ogni macro universo. I nostri Universi corrispondono al
loro sopraspazio condizionale ed ogni fra essi deve avere le loro
particelle neutrali, ma non minimali perché il Minimo e Massimo
appartengono solo a Dio.
Fondato così il metodo, il Cusano affronta
il primo argomento. Impiegando un linguaggio aritmetico, pitagorico dirà
poi, Dio massimo coincide col minimo appare come l’unità. È
l’unità cui nulla si oppone, ed è “tutto ciò che può
essere. Ma essa non può diventar numero” (I, 5, § 14). Il Cusano insiste
nel dire che l’unità di cui qui si parla
non è quella numerica; i numeri sono costruzioni della nostra
mente nell’origine gnoseologico, l’unità divina è ontologica e
l’unità numerica ne è soltanto il simbolo. (“I FILOSOFI” Introduzione a Nicolo Cusano di Giovanni Santinello, II le prime
formulazioni del sistema. 1) Argomento e metodo del “De dotca ignorantia” (p.
33). Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari, 1987)
Egli (Cusano) rifiuta tale concezione, per ammettere invece la
simultaneità della creazione di ogni parte dell’universo. Il concetto di
contrazione comporta che le parti, i singoli enti, non siano parti, ma un tutto
nel tutto. L’universo, sebbene non sia né sole né luna, è
tuttavia sole nel sole e luna nella luna”. Se l’unità dell’universo
è contratta nella molteplicità degli enti, ciò significa
che l’universo non è nulla senza gli enti che lo costituiscono. L’
attualità dell’universo è in ciascuno degli enti che esistono in
atto. Vi saranno gradi diversi di contrazione, cioè di limitazione, a
seconda della perfezione degli enti; ma ogni ente è, in maniera diversa
da tutti gli altri, tutto l’universo contratto nella caratteristica
modalità sua. Questo concetto viene espresso dal Cusano con esplicito
riferimento ad Anassagora: quod libet in quo libet. (“I FILOSOFI” Introduzione a Nicolo Cusano di Giovanni Santinello, II le prime
formulazioni del sistema. 5) L’universo e la sua unità (II, 5, § 117) (p.
45) . Gius. Laterza & Figli Spa,
Roma-Bari, 1987)
Le particelle, i neutroni, devono
essere neutrali per diventare le cause degli scopi di quei due segni: del segno
meno, che aspira a fermare tutti gli sviluppi soprattutto ed indirizzare la
materia sottoposta a distruggere tutto fino al meno dell’ infinità, e
del Segno Più dell’ Infinità, anche senza massimo, che salva la
materia composta o distrutta e la trasforma nell’ infinità positiva che
lotta contro la distruzione assoluta e permette le separazioni soltanto delle
megagalassie fino alle galassie, le galassie fino ai sistemi solari, i sistemi
solari fino ai pianeti, i pianeti e gli astri fino alle molecole, le molecole
fino agli atomi, gli atomi fino alle parti elementari, e le particelle: quelle
sono i neutroni all’ interno degli atomi come tutta la materia separate ed
unite allo stesso tempo con la legge divina neutrale fino alle megagalassie
all’interno di ogni neutrone (Universo) e così fino ai
neutroni(Universi) all’interno di ogni neutrone che anche sono stati separati fino al meno
condizionale dell’ infinità. E tutto quello che è separato aspira
ad unirsi, con la forza e con lo scopo del Divino Segno il Più dell’
infinità, fino al Più dell’ infinità materiale: dalle
particelle fino agli atomi, gli atomi fino alle molecole, le molecole ai
sistemi solari, fino alle galassie, fino alle megagalassie, aspirando dalle
megagalassie infinite al suo neutrone universo interno per unirsi negli ambiti
sopraspaziali, i sopraspazzi nelle macro sopraspazzi e così senza limiti
unendo sino all’ infinità, secondo la legge divina, come è stata
separata fino al meno dell’ infinità. In quella struttura il tempo
infinito genera il tempo finito per ogni velocità. 13 miliardi di anni
fa all’ interno di quella struttura infinita avvenne l’ esplosione del nostro
universo che diventa uno dei neutroni incommensurabili negli atomi infiniti del
sopraspazio soprauniversale, in cui il tempo passa tante volte più
lento, in quanto il sopraspazio è più grosso del nostro
neutrone-universo, che è solo un neutrone atomico, nel finito ed
infinito all’ interno di sé macroambito.
Nel passaggio dal primo al secondo momento,
cioè nel transferre concetti
riguardanti una figura geometrica finita ad una figura geometrica infinita,
avviene una contraddizione: il triangolo infinito, ad esempio, non ha
più tre lati, ma essi
costituiscono una sola linea infinita; dunque triangolo che non è
triangolo… Nell’ambito della quantità, avvenuto il trasferimento
all’infinito, si verifica una contraddizione che l’intelletto vede necessaria,
ma la ragione non può concepire:
“ciò che risulta impossibile nella quantità, vede che è
del tutto necessario” (I, 14, § 39). Questo vedere è un sapere di
non sapere, nel terzo momento, poi, l’infinito quantitativo diventa il simbolo
dell’infinito divino assoluto, ossia sciolto da ogni quantità. In questo
senso, dunque, l’esercizio della dianoia (dziània)
matematica porta alla visione nella tenebra della negazione, che è la
dotta ignoranza noetica… Il misticismo della dotta ignoranza non spegne la
rinuncia il desiderio di conoscere il mondo, ma anzi ne è l’incentivo.
Non si arriva all’ignoranza non approfondendo tutte le possibilità
dell’unica nostra conoscenza positiva valida, che è quella matematica e
mondana, anche se essa è sempre finita e relativa. (“I
FILOSOFI” Introduzione a Nicolo
Cusano di Giovanni Santinello, II le prime formulazioni del sistema. 1)
Argomento e metodo del “De dotca ignorantia” (p. 32). Gius. Laterza & Figli Spa,
Roma-Bari, 1987)
Le immagini di due coni aspirati
al cielo (su) e alla terra (giù) sono la scorretta comprensione della
teoria dell’ eredità del passato sconosciuto, o sono i codici, detti
agli analfabeti, che sono facilitati rispetto agli esseri, stati fra gli
animali e i futuri esseri ragionevoli nello sviluppo, abbiano capito molti migliaia
di anni fa solo la differenza fra su e giù, all’ unione e alla
separazione, al Dio e al diavolo.
Quando il fuoco interno e il
fuoco esterno sono insieme nelle buone relazioni essi si svuotano (46 a). Se il
foco esterno manca notte il foco interno è tagliato da noi: quando il
fuoco interno incontra qualche non confermato muta e si spegne (45 d) ma, solo
nello stato della tranquillità, si accende la luce interna nel costume
dei sogni, anche sulla base della nostra seconda memoria dell’ intelletto che
appena ci dirige sempre. Questo
dominio della seconda memoria dimostra che siamo ancora deboli senza telepatia
e concepiamo il fondamento logico del mondo solo mediante tutto quello che ci
sta intorno. Molto poco della terza memoria, che è percepito sulla base
della luce esterna di tutto circondato, diventa il frutto della bellezza divina
o della luce interna sudetta. Il tempo, le leggi delle tradizioni globali non
ci fanno percepire la realtà. Michel de Nostredame (Nostradamus) scrive
dello stato dell’ uomo che dipende dal tempo nella lettera al suo figlio Cesare
Nostradamus, secondo i frammenti 12-15 fatti dal dottore John Hogue:
... ayant
voulu taire et
délaisser pour cause
de l' injure, et non tant
seulement du temps
présent, mais aussi de
la plus grande part du futeure, de mettre
par éscrit, pource
que les régnes, sectes
et religions feront
changes si opposites,
voire au respect
du présent diamétralement, que
si je venois
à l' advenir sera ceux
de régne, secte,
religion, et foy
trouveroyent si mal
accordant à leur
fantasie auriculaire, qu' ils
viendroyent à damner ce
que par les siècles advenir on cognoîstra êstre veu et
apperceu. (… avendo voluto celare e rifiutarsi a causa dell’ ingiuriare (offendere),
e non solamente del tempo presente, ma anche (ingiuriare) la maggior parte del futuro, di mettere per
iscritto (di scrivere, di mettere in rilievo), perché i regni, le sette
e le religioni faranno cambiare sé opposti, vedere al rispetto del
presente diametralmente da quello che io venni all’ avvenire sarà questo
di regni, sette, religione, e la fede quelli che si troverebbero male
accordando alla loro fantasia orecchiabile, che essi verrebbero a dannare quello
che fra i secoli, l´avvenire, conosceranno essere visto ed accettato.) (Nostradamus the
complete propheties John Hogue: Nostradamus, Complete profezie John Hogue (pp. 34-35),
first published in Great britain in 1996 by Element Books Limited, Shaftesbury,
Dorset,ÔÀÈÐ
ÏÐÅÑÑ, Mosca 1999, ISBN
5-8183-0077-3, originali francesi, traduzione dall’ inglese in russo di I.
Gavrilova)
La
nostra realtà è sempre relativa. Platone meglio di tutti gli
altri filosofi fu in grado di conservare la parte della sua memoria della
bellezza divina. Ma anche egli non riesce a capire, al di fuori dei limiti del
suo tempo, e non può intendere la realtà di questa teoria della
creazione universale malgrado il suo talento logico sopranaturale. Anche il
nostro uomo contemporaneo, verosimilmente, non è in tanto sviluppato, in
quanto ha bisogno di capire ed analizzare l’ eredità storica della
teoria menzionata che è, senza dubbi, in quanto relativa, anche
implicita. Tre tipi che crearono l’ Universo secondo il “Timeo” di Platone sono
il Demiurgo (Dio Padre), l’ immagine eterna contemplata dal Demiurgo durante il
processo della creazione (Spirito Santo) e l’ Heidron libero da tutte le forme
prima (Dio Figlio) all’ interno della cui sostanza passa il processo della
Creazione Suprema che prima di creare la sostanza non aveva nessuna
qualità per avere in sé tutto possibile.
Queste proposizioni assiomatiche vengono presentate
nella assolutezza veritativa, e la “probabilità” dei discorsi
cosmologici e fisici che seguiranno verrà dedotta proprio dalla
verità incontrovertibile di tali proposizioni.
1) L’essere che è sempre (ossia l’essere
eterno) non è soggetto alla generazione e al divenire, in quanto
continuamente si genera e muta: esso viene colto dall’intelligenza e dal
ragionamento.
2) Il devinire non è mai un vero essere, in
quanto continuamente si genera e muta: esso viene colto dall’impressione
sensoriale e dall’opinione, che è ben distinta dalla ragione.
3) Tutto ciò che è soggetto al
processo del divenire richiede strutturalmente una causa che ne produca la
generazione. Questa causa è il Demiurgo o Artefice, causa efficiente
(produttrice delle cose che si generarono).
4) Il Demiurgo o Artefice, considerato in generale
nella sua funzione, produce sempre qualcosa, guardando ad alcunché come
a punto di riferimento, e prendendo questo come modello. Considerando il
problema in generale, si deve dire che l’Artefice potrebbe rifarsi a due
differenti tipi di modelli: a ciò che esiste sempre e allo stesso modo
(ossia all’essere cui si riferisce il punto assioma), oppure a qualcosa che
è soggetto a generazione (ossia a quel tipo di realtà cui si
è detto nel secondo assioma). Ma se l’Artefice prende come modello
l’essere eterno, ciò che produce è bello; se, invece, prende come
modello qualcosa di generato, ciò che produce non è bello. (Platone “Timeo” testo greco a fronte a
cura di Giovanni Reale, Introduzione
“Fortuna”, Il preludio teorico e i principi (pp. 12-13) Zanichelli Editore S. p. A., Bologna 1997)
sì fatta, che le genti lì malvage
commendan lei, ma non seguon la storia”.
Così
un sol calor di molte brage 19
Si fa sentir, come di molti amori
Usciva solo un suon di quella image.
la storia: il ricordo di
giustizia e di pietà che i beati spiriti del cielo di Giove avevano
lasciato in eredità agli uomini. Molti amori: le anime de’ giusti, affocati di amore
divino. “Qui descrive per esempio che, sì come di molte bragie si sente
solo uno calore, così di quella moltitudine d’anime si sentìa
solo una singolar parlatura” (Anonimo).
(“La Divina Commedia” p. 3 (p. 941); ristampa anastatica
dell’editore G.C. Sansoni, Firenze 1922,1988)
La modernizzazione filosofica di
Dante è utilizzata solo per trovare le sorgenti simboliche da cui
Golokhvastov attinge le sue idee e le sue immagini primordiali. Ogni
ricercatore esaminato Dante non deve modernizzarlo. “La storia” del frammento
soprascritto non è che “il ricordo di giustizia e di pietà che i
beati spiriti del cielo di Giove avevano lasciato in eredità agli
uomini”.
3. Nel poema la parola “ziggurat” è il nome
proprio. Lo Ziggurat divenne il
primo simbolo della fede degli Atlanti. Secondo il soggetto di Golokhvastov gli
atlanti credevano in un solo dio e le loro anime erano salve già con la
profezia di Atlasso quando alzarono sette torri, una sopra l’ altra, le cime
aspiravano al cielo che lì, al di fuori della vita, a metà fra
la terra e il cielo si incontrano sempre, che col cuore puro a cui libero
salgono le genti col sogno di Dio. E dal cielo, come alla sua casa, scende nel
mondo Dio beneficente. L’ inizio della narrazione epica del quarto
capitolo, che descrive la montagna sacra di Ziggurat, fa ricordare l’
espressione di tutto il XXVIII Canto del “Purgatorio” della “Divina commedia”.
Leggendo questo capitolo della “Rovina di Atlantide” lo fa ricordare attraverso
l’ incoscienza la foresta divina spessa e viva
come Dante, Vergilio e Stazio lasciarono la riva, prendendo la campagna
lento su per lo suol che d’ ogni parte auliva (4-6), per cui le fronde, tremolando pronte (docile al soffio del venticello), tutte quante piegavano a la parte (occidentale; dove al levare del sole il sacro
monte getta l’ ombra sua) u’ la prim’ ombra getta il santo monte. È molto difficile non sottolineare questa
reminiscenza delle alternanze delle immagine di Dante che si riflettono nell’
inizio del quarto capitolo della “Rovina di Atlantide” di Gheorghi
Golokhvastov. Ma dopo il suo sviluppo della narratività passa al
racconto di come gli uomini tutti i giorni e tutte le notte costruissero il
sacro fondamento, dal marmo di sette colori, al tempio di Ra per proibire i
sacrifici umani al contrario dell’ ultimo supremo sacerdote di Ra,
verosimilmente fino all’ ultima corda della provvidenza che si realizza con il
fato del personaggio essenziale dell’ epopea.
P. 36: Glifi — i segni
condizionali che simbolizzano le idee nelle scritture, nelle pitture, nelle
sculture e nelle architetture della Grecia Antica; i colori e i metalli di ogni
pianeta — l’ oro di Sole, l’ argento di Luna, il coloro giallo o il colore
verde di Venere, il blu di Giove, il colore rosso secondo il ferro di Marte, il
nero secondo il piombo di Saturno, Mercurio non acquista nessun colore o ha il
colore bianco. Glifo (g+l), sm. Archit. Solco concavo a spigolo vivo usato come elemento
ornamentale. – In paratic.: decorazione dei triglifi. Baldinuccci, 68: ‘Glifi,
triglifi’. Una sorta di membra degli ornamenti. Milizia, 330: ‘Diglifo’,
Ornamento lavorato in incavo da due parti, come doppio glifo. Carena, 1-40:
‘Glifo’, è un solco o cataletto verticale sfondato ad angolo retto nel
fregio dorico. Adoperasi d’ordinario nel numero dei più, perché
non suol porsi solo, ma si due nei di glifi e tre nei triglifi. Ling. Segno
geroglifico dell’antico alfabeto dei Maya. (“Grande
Dizionario della lingua italiana”, Unione tipografico-editrice Torinese.
9/V71964.)
Gli
Atlanti costruirono sette torri superbe, sette scale brusche e sette larghi
portoni che divennero l’ostacolo, per i mortali, alle altezze sante. Presso
le portine si inclinarono le chimere e le aquile(aguglie): (le statue di
loro); Fra le mura e le scale, fra gli emblemi dei misteri, essi
nascondevano i glifi condizionali, tutta la saggezza delle cognizioni scoperte
non a tutti: l’ essenza dei misteri, i miti bifronti e la verità di
teoremi facili sempre …Il concetto dei glifi concentra il mistero dell’
immortalità. L’ autore disegna la chiusura del tempio antico che
è stato nascosto l’ incapace di comprendere all’ uomo normale. Il
significato della scrittura sacrale fatta con i glifi cela il mistero sino al
termine.
P. 37: L’ oricalco — il
metallo sacrale nei tempi antichi, della cui dono scrive Platone. Il
lettore vede come vicino al tempio supremo, per le parole della leggenda,
come il primo sacerdote dello Ziggurat, Atlasso portò, per la
prima volta, al Padre dell’ Universo il suo inno nell’ ora romantica del
tramonto…
Il verbo fiammeggiato delle
preghiere delle anime convertite, la prima volta, si accese e si girò
per il Padre vissuto sul Disco seguendo l’ alternanza della Notte e del Giorno.
Il tripode pesante ricorda sino ad oggigiorno come, nell’ oscurità
grigia, del vecchio Atlasso si alzava la preghiera. E nel tempio
inferiore (è il tempio sottoterrestre dei morti messi nei sarcofagi)
condusse all’ Immortalità il suo ordine regio, all’ eternità,
diedi il trionfo all’ oricalco. Secondo il pensiero del profeta Atlasso, nessuno
fra gli altri troverà il cammino al tempio dei morti, e se lo trovasse
non capirebbe in alcun modo il significato dei simboli del disegno sul metallo.
I sacerdoti di Ra non disturberanno mai le tombe sacrali. L’ immagine
“oricalco” si incontra alcune volte nel
“Crizia” di Platone dal paragrafo (114 e), in cui il personaggio Crizia
interpreta la storia di Solone. Il muro esterno dell’ acropoli era stata
coperta con l’ oricalco nella “Rovina di Atlantide”. Alcune pareti del tempio
di Nettuno (verosimilmente di Ziggurat) avevano la copertura di questo metallo
brillante. Tutti i pavimenti del tempio consistevano nell’ oricalco. Anche il
suo soffitto di ossa elefantiaca era decorato col metallo menzionato. Le
stelle, in cui erano scritte le regole delle relazioni fra i re, erano in
oricalco. In seguito l’ oricalco si svalutò e divenne un metallo comune.
Anche il desiderio dell’ immortalità del sacerdote perde il suo prezzo
alla fine dell’ epopea. Questa immagine della memoria dell’ intelletto è
bene utilizzata nella descrizione del tempio, in cui si svolge l’essenziale
diffusione della memoria della bellezza divina e della peggiore memoria della
sensazione (legata alla sete dell’ immortalità) mediante la memoria
dell’ intelletto o della saggezza umana.
IV cap. p. 42: Nada – la voce
dello spirito del silenzio, descrive la scala della perfezione che ha sette
gradi e sette portoni. Nada, pron. Indef. Invar. Niente, nulla. Aretino
Vi-125: Ora il caso è questo, io andrò a trovare Aluigia, la quale
corromperia la castità, che
senza lei non si può far nada. Idem, Vi-172: Non mancherà nada.. – Con valore
avverb. Loredano, 5-182: Non potendo fuggire, erano costretti / per non morire a
maneggiar la spada, / onde riusciano bravi maledetti / coloro al fin che non
valevan nada…= Dallo spagn. Nada ‘nulla’. (“Grande
Dizionario della lingua italiana”, Unione tipografico-editrice Torinese .
9/V71964.)
Nella
“Divina commedia” di Dante Alighieri la città della saggezza gentile e
il castello di sette mura e sette porte sono stati descritti nel Limbo del IV
Canto dell’ Inferno (106-111), in cui stanno le anime di Elettra,
Ettore, Enea, Cesare con gli occhi grifagni, Cammilla, Pantasilea figlia
del Marte, Latino: re del Lazio e padre della Lavina, Lavina, Bruto: che ha
cacciato via l’ ultimo re Tarquinio, Lucrezia, Iulia, Marzia, Coniglia,
Socrate, Platone, Democrito, Diogenès, Anassagora, Tale,
Empedoclès, Eraclito, Zenone (di Elea o lo stoico di Cittico,
Dioscroride, Orfeo, Tulio Cicerone, Seneca, Euclide, Tolomeo, Ippocrate,
Avicenna, Galieno: medico di Pergamo, Averroìs (Ibn Roschid, filosofo di
Cordova (1126 – 1198)), ecc.:
Sette volte cerchiato d’ alte mura,
difeso intorno d’ un bel fiumicello.
Questo passiamo come terra dura; 109
per sette porte entrai non questi savi:
giungemmo in prato di fresca verdura.
nobile castello: simbolo della umana sapienza. È certificato di 7
mura, simbolo ciascuna di una
delle arti liberali (la grammatica, la dialettica, la retorica, l’aritmetica,
la geometria, la musica e l’astrologia). Al. intende il castello come simbolo della filosofia, e le mura delle sue
7 parti (la fisica, la metafisica, l’etica, la politica, l’economia, la
matematica, la sillogistica): per al. Ancora, il castello è simbolo
dell’ unione delle virtù morali (prudenza, giustizia, fortezza,
temperanza) con le speculative (intelligenza, scienza e sapienza). dura:
asciutta, secca. Alcuni scorgono in questo fiumicello il simbolo della
eloquenza). sette porte: le porte di ciascun muro. (“La Divina Commedia” p. 3 (p. 39); ristampa anastatica
dell’editore G.C. Sansoni, Firenze 1922,1988 )
Quei sette portoni mostrano che
chi conseguirà il quarto grado unirà in sé tutti i
sentimenti fisici e stato unito con lo spirito (“Il Libro delle Regole di Oro”,
Frammenti scelti; la prima parte: “La voce del silenzio” — traduzione E. P. B.
del 1889. Stampa del 1923. Tallin, Est.)
Quei
tre gradi e il quarto, la porta al Purgatorio nella “Divina Commedia”, tutto
è inserito anche nella “Rovina di Atlantide”, in cui sono stati
descritti sette gradi ogni col suo colore, secondo Dante sette peccati, e forse
essi alludono indirettamente al IX canto del Purgatorio (94 - 132)
della“Divina commedia”. Se la vetta dello Ziggurat era invece da considerarsi
come il fondo dell’Inferno della “Divina Commedia” in cui Dante scende
il servitore di Ra “sale” e quando Dante sale Golokhastov cade, ma Golokhvastov
non vuole mostrarlo direttamente. Ma l’allusione all’ antipode riflesso di
Dante esiste secondo le contraddizioni dell’ordine delle alternanze dei gradi e
dei colori. Se nella “Divina Commedia” lo scalgion primaio, marmo bianco
era sì pulito e terso,..(94-95) nella spiegazione della “Rovina di
Atlantide” in particolare è l’ultimo colore di Mercurio bianco. Il
secondo tinto (nero) più che perso, d’ una petrina ruvida
e arsiccia,…(97-98). Anche, nella “Rovina di Atlantide”, il secondo colore
di Saturno è nero ma dalla fine. Lo terzo (rosso), che di
sopra s’ammassiccia (si sovrappone assai pesantemente) porfido mi parea
fiammeggiante,… (100-101). Nella “Rovina di Atlantide”, il terzo coloro
dalla fine, come il primo tra gli ultimi tre gradi, è di Marte, anche
che è il rosso. Golokhvastov teoricamente imita le leggi universali
delle alternanze delle immagini della “Divina commedia” ma ordina,
filosoficamente come nel rispecchio in cui il destro diventa sinistro secondo
il servitore di Ra accecato; il suo desiderio dell’ immortalità
contraddice al fine di Dante.
Possono fare tre supposte:
1) Golokhvastov specialmente
riprende e contraddice la “Divina commedia” e a questa causa allude
implicitamente a quella nella sua spiegazione affinché solo gli specialisti
trovino il rapporto contrapposto che è il suo desiderio sacramentale?
2) Golokhvastov non lesse mai la
“Divina commedia”. E molti immagini simili e relative contraddizioni ordinate
non sono che coincidenze.
La famiglia Romanov dell’ ultimo
imperatore russo non sostenerebbe se i migliori intellettuali bianchi immigrati
conoscessero non meno di cinque – sei lingue straniere. La società della
famiglia dell’ ultimo zar-imperatore russo conosceva la classica europea quanto
la corte francese anche senza potere (a quella era sempre legata da
vincoli di amicizia). Quasi tutti i
rappresentanti dell’aristocrazia russa, e non legati alla famiglia Romanov,
leggevano tutta la letteratura classica in lingua originale: in greco, in
latino, in francese, in tedesco, in italiano e in inglese. Quei rappresentanti
dell’intelligenza non potevano comparire nella società aristocratica
senza conoscere le lingue menzionate. Se la stessa famiglia dell’imperatore
finanziò la prima pubblicazione della “Rovina di Antantide”, non
è da mettere in dubbi che Golokhvastov conoscesse la letteratura
classica europea, ma è ragionevole pensare che lesse la “Divina
commedia” (verosimilmente in lingua originale) tradotta in russo già
così come molti altri classici.
3) Golokhvastov non vuole che lo
sappiano; Egli lo mostra mediante immagini orientali contrapposte a Dante
affinché queste immagini filosofiche e le loro alternanze fossero
contraste. Golokhvastov desidera dimostrare mediante la spiegazione che l’
oggettiva memoria dell’ intelletto che sintetizza l’ eredità storica
è indipendente in tutte le epoche.
P. 43: Archat — santo nel
buddismo. I sacerdoti supremi di Ra sono da considerarsi gli achati, i
profeti del vissuto nel Disco. Diventavano i proprietari delle verità
immortali, che non esiste come è dimostrato prima secondo Cusano, i
rappresentanti della generazione dei sacerdoti. Contemplavano e conservavano i
misteri della terra e dei cieli, difendevano i deboli, erano i portatori delle
leggi, ed avevano anche le chiavi dei portoni dello Ziggurat. I re gli facevano
educare gli eredi al trono. Prima di diventare i servitori di Ra passavano, nel
silenzio, molti anni fra i deserti spirituali in cui diventavano i vecchi e i
grandi maghi. Rifiutavano la vita per ottenere il bene, lasciando sé
stessi nelle ricerche delle santità. E solo quando lo spirito vinceva se
stesso essi univano insieme lo spirito, l’ anima e la carne. Si separavano dal
mondo e, nelle sfere della luce, si fondevano con l’anima dell’Universo. L’
anima dell’ autore si vede nella vita precedente prima della reincarnazione
attuale, in cui egli stesso era uno di quei supremi sacerdoti. L’ universo si
scoprì più esteso Per la vita nuova, negli altri ambiti; Io
potessi essere diverso agli uomini nel loro mondo ondeggiato nelle buie
inferiori passioni. Ma noi achati consideravamo il debito ereditario come il
bene per gli uomini, di partecipare alla loro vita e, nella prigionia non
lunga, di servirli nel regno del peccato e delle sofferenze, per curare. E, per
la pace, dalla plebe peggiore la Crocifissione dello spirito sopportare, non
querelando. Al riguardo l’ immagine
poetica “Crocifissione dello spirito” dimostra che, malgrado le influenze
filosofiche dell’ oriente gentile del Buddismo, ecc., l’ anima di Golochvastov
è cristiana.
Il V Cap. l’ inizio della p. 44: Geminati
sono i corpi celesti della corrente meteorica o della pioggia dei meteoriti
che passa ogni anno dal 10 all’ 11
dicembre nella terza costellazione zodiacale dei Gemini. Questa immagine
filosofica sviluppa il soggetto della “Rovina di Atlantide” e conduce il
lettore sino alla culminazione finale. L’ essenziale concetto di questa
immagine si svolge nei V, VI e VII capitoli. I capitoli menzionati sono
accompagnati più degli altri dalla diffusione della seconda memoria e
della terza memoria della bellezza divina, in cui, senza dubbio, è
dominata la terza che veste la narrazione dell’ autore nei costumi magici.
L’alternanza delle sillabe lunghe e brevi, la metrica (quantità delle
sillabe) e le alternanze fisse delle strofe rimate mutano quando è stata
esposta la preghiera del sacerdote, gli inni degli altri personaggi, la canzone
della bambinaia, ecc.. Gli ordini poetici sono cambiati con lo sviluppo degli
eventi portando in sé la profezia della fine tragica. Nelle
costellazioni, in doppio, brillano i
Geminati, volando per il cielo nella pioggia di fochi. È la festa
più amata nel cerchio annuale che
incontra oggi il popolo di Atlantide. Siamo la vita e la morte di due
sorelle-gemini (che non sono il principe e la principessa che dovranno
simbolizzare la loro comparsa) nei misteri bivalenti dei vicini, dell’ unico
pensiero dei messaggeri senza idea, dell’ unico arbitrio dei creatori senza
volontà allo stesso tempo li rispettiamo come due grandi miracoli…
Così inizia il quinto capitolo della “Rovina di Atlantide”, in cui il
destino fatale di due gemelli, del sacerdote supremo e dell’ Atlantide si
svolge nei Geminati come nel simbolo essenziale della fatalità che
è stato espresso dalla memoria dell’ intelletto che così
sintetizza il concetto fatale dei Geminati splendenti. Il destino prescritto
prima della nascita dei gemelli si evidenzia con la descrizione della caduta
dei gemini nel cap. VI nelle pp. 48-51:
Su era messo il bollo della
scelta doppia dai primi giorni, in loro si concentravano le predizioni degli
astri ed esse si realizzavano per lo più in loro i segni delle profezie
conservate tra le scritture antiche dei sacerdoti predicati: è la
salvazione del mondo, nei pensieri amanti, usavo il destino dei bambini
gemelli. E nuovamente tentavo di prevedere i loro destini oggi, con i pensieri
guardando come l’ itinerario della loro vita serpeggi. Sono in fretta i
quinquennali — dalla loro nascita tre scadenze hanno passato.
Come scrisse Platone nel “Timeo”
la luce interna cessa di essere percepibile se scompare la luce esterna. Non
è possibile uscire dalla memoria dell’intelletto che è analizzato
e sintetizzato l’eredità del passato. Ogni ripetizione delle creature
è bruta secondo Platone. Nessun monumento della cultura umana comparve
senza influenza di qualche arte precedente. Prima della composizione delle Veda
che è da considerarsi il primo testo religioso si fonda sui testi
più antichi dei soggetti leggendari. Anche prima di Omero sussisteva la
mitologia e l’ attività poetica dei greci. Lo stesso fatto appartiene
all’“Eneide” di Virgilio e alla “Divina commedia” di Dante. Il loro aspetto ai
fonti è fondamentale. Se le fonti non fossero – nessun capolavoro
comparerebbe. Ma ogni originale, che non ripete nulla, genera il miracolo
quando costruisce il proprio ambito artistico mediante le creazioni geniali. Si
può presupporre che Golochvastov scelga le immagini e i pensieri
primordiali di Dante per installare nello sviluppo del suo soggetto originale
il contrario della composizione dantesca. I VII e VIII capitoli verosimilmente,
mediante l’ implicito nascosto dagli analfabeti e mostrato agli intellettuali
specialmente, sono posti in correlazione al VIII Canto e parzialmente al IX
Canto del “Paradiso” della “Divina commedia”.
e come in voce voce si discerne,
quand’ una è ferma e l’ altra va a riede;
vid’ io in essa luce altre
lucerne 19
muoversi in giro più e men correnti,
al modo, credo, di lor viste interne.
Di fredda nube non discerner
vènti, 22
o visibili o no, tanto festini,
che non paressero impediti e lenti
a chi avesse quei lumi divini 25
veduti a noi venir, lasciando il giro
prìa cominciato in li altri Serafini.”
Questo frammento poteva generare,
nell’ anima di Golokhvastov la doppia voce del destino che apparterrà a
due fiamme divine nate oggi dal principe e dalla principessa. Secondo la
filosofia di Golokhvastov le anime vivevano ed esistevano prima della nascita e
possono scendere molte volte dal paradiso. “Allorché di due voci che
cantavano insieme” nel paradiso non potranno essere separate l’ una dall’ altra
dopo la nascita. Anche nella vita del doppio destino è con la loro
unità inseparabile a che “l’ una tenga la nota e l’ altra e,
gorgheggiando, a che vada e venga sulle stesse note”. Sono scese da cui fra le
altre lucerne. Ambedue erano gli spiriti amorosi sempre e verosimilmente l’ unità delle loro visioni interne
diventò separata con la loro nascita. “Al modo, secondo la maggiore (del
futuro principe) e la minore (della futura principessa) intensità dei
guadi spirituali, da Dio concessa a ciascuna” anima separata con la vita
corporea per rimanere “quelle anime beate” sino alla morte naturale.
Ricordo la notte di Geminate. Illuminando l’ Isola
di Atlasso da paese a paese, (p. 49) splendevano i fuochi delle lampade notturne;
e al cielo in modo misterioso l’ Atlantide natale conduceva il linguaggio,
ricordando il passato remoto, parlando sempre di qualche vivo; allora, nell’
oscurità della memoria sacrale, era la caduta di due stelle sopra il
tetto regio che ho visto; Quelle due stelle fanno prevedere quel doppio
destino che resterà il mistero fino alla morte per essere vivi sempre
insieme. Il sacerdote non sa prevedere lo scopo della caduta di due stelle, di
quelle due fiamme sopra il tetto del re di Atlantide.
disposto cade a provveduto fine,
sì come cosa in suo segno diretta.
Se ciò non fosse, il ciel
che tu cammine 106
Producerebbe sì li suoi effetti,
che non sarebbero arti, ma ruine;
quantunque: tutto ciò
che; e intendi: “tutte le operazioni di quassù son disposte a fine
infallibile” (Tommasèo), come cosa scagliata corre a ferire il
bersaglio. sì: così, in tal maniera. arti: “cose fatte con
ordine e con ragione” (Buti). (2) (“La Divina Commedia” p. 3 (p. 827); ristampa anastatica
dell’editore G.C. Sansoni, Firenze 1922,1988 )
Ma l’
arco divino saetta ora per condannare gli atlanti quindici anni dopo. Il
sacerdote non percepisce la previdenza che la relazione incorretta ai gemelli
animerà le forze naturali senza coscienza. La pena divina consiste nella
cecità e nella sordità
alla perdizione delle catastrofi future. Se non fosse così il
mondo non avrebbe fatto tutte le “cose con l’ordine e con la ragione” che erano
previste e lasciate con il primo profeta Atlasso sino alla necessaria scadenza.
Ma quindici anni prima le cadute delle stelle sembrano tutte insomma le influenze
celesti sono disposte ad un fine preordinato da Dio,
come freccia diretta al suo bersaglio.
L’ arco divino saette gli influssi che ne discendono, segno il fine stabilito dalla
Provvidenza per regalare la
possibilità cambiare che non si cambia mai con la debolezza umana.
…e la nostra valle era brillante in festa a quel
mattino: la regina ha generato, due gemelli al re: l’ orgoglio al cuore del
padre è il figlio e la gloria agli occhi è la
figlia bella. Sono nati nella notte dei Testamenti! È chiaro che il
cielo, con la potenza profetica, prometteva la grande sorte ai bambini.
Nessuno
non sa perché la regina generò questi gemelli con il loro destino
doppio che promette allo stesso tempo la sorte della rovina e della salvazione di
tutte le anime degli atlanti.
Volge e contenta, fa essere virtute
Sua provedenza in questi corpi grandi.
E non pur le nature provedute 100
Sono in la Mente ch’ è da sé perfetta,
ma esse insieme con la lor salute:
Lo Ben: Iddio, che muove ed
allieta i cieli per i quali tu sali (scand, lat. Scandere), opera in modo che
la sua provvidenza divenga virtù influente da questi pianeti (corpi
grandi). E non pur: e non solamente la mente divina provvede (anche provvede la mente umana). quantunque: tutto ciò
che; e intendi: “tutte le operazioni di quassù son disposte a fine
infallibile” (Tommasèo), come cosa scagliata corre a ferire il bersaglio
(a ferire la terra per liberarla
dal’isola verde). (2) (“La Divina Commedia” p. 3 (p. 827); ristampa anastatica
dell’editore G.C. Sansoni, Firenze 1922,1988)
Dio
prevede non solo l’esistenza buona e corretta per il futuro ma anche l’“Iddio,
che muove ed allieta i cieli” descritti dal sacerdote maledetto nel XX cap. 15
anni dopo la nascita di ambedue, “in modo che la sua provvidenza divenga
virtù influente dai corpi grandi” del cosmo. “E non pur: e non
solamente la mente divina provvede”. Le fiamme delle loro anime sono nate
insieme con la salute nel palazzo, nei corpi dei figli del re stesso
perché solo il loro genere potrà ispirare il sacerdote
affinché egli desiderasse ad ucciderli per unirli alla catastrofe, per
ferirli come il bersaglio con la divina provvidenza in questi corpi celesti
virtù capace di influire sul mondo inferiore. Perciò essi sono nati nella famiglia regia e
in nessun’ altra. Per ottenere questo scopo Dio saettò in modo
così preciso. La prima volta, ricordo, li ho visti quando, secondo le
esigenze antiche della fede, sono arrivato alla sera del loro primo giorno per
pulire con la fumata …Il sacerdote era solo un uomo che sa prevedere, non
potrà mai capire tutto perché non è Dio. La voce
incosciente della bambinaia voleva salvare ambedue ed egli, che li amerà
come nessun altro, non li avrebbe uccisi se il destino avesse scelto la parte
migliore della doppia previdenza.
si ch’ io non posso dir se non che piano
giusto verrà di retro ai vostri danni.
E già la vita di quel lume
santo 7
Rivolta s’ era al Sol che la riempie,
come quel ben ch’ a ogni cosa è tanto.
Ahi, anime
ingannate e fatture empie, 10
che di sì fatto ben torcete i cori,
drizzando in vanità le vostre tempie!
pianto
giusto: cioè, i danni che vi furon recati, cagioneranno meritato
dolore a’ vostri nemici. E il vaticinio dantesco si avverò! la vita:
l’anima di Carlo Martello. Cfr. Par., XII, 127, ecc. Al sol: a Dio, che
la conforta (riempie) del suo benefico lume. tanto: bastevole. Jerem.,
XXIII, 24. fatture empie: cattive creature (tutta la società di Atlantide e non solo il condottiero). vostre
tempie: gli occhi vostri, gli sguardi. (2) (“La Divina Commedia” p. 3;
ristampa anastatica dell’editore G.C. Sansoni (p. 833), Firenze 1922,1988 )
Taci, sacerdote, e lascia
trascorrere quei quindici anni! Tu puoi e potrai non compiere ciò che ti
era prescritto molti millenni fa, ma tu, cieco, farai tutto ciò che
dovevi e dovrai fare il tono della profezia è tanto più
misterioso, quanto meno essa allude a circostanze ed eventi storici
determinabili con precisione. E
piangeranno tutti che vi faranno danni, moriranno il barbaro e il capo
insaziabile di tutte le galere e di tutti gli eserciti di Atlantide quando
rischieranno di rubare la principessa. Il fato terrà dietro da vicino a
torti (danni) da voi…; quasi necessaria conseguenza e naturale espiazione di
quelli. La vita del principe, come
della principessa, sarà più breve della vita del principe Carlo
Martello morto nel 1308, del figlio di Carlo Roberto re di Ungheria. La vita: l’anima, che è
per così dire il principio vitale del
lume che la sua vita di quel
lume santo si rivolga al Sole con la vittoria, “a Dio che la conforta del suo
benefico lume” che tu, sacerdote, compi il tuo sacrilegio avvicinandoti all’
“immortalità”, all’ apocalisse per voi, anime ingannate degli atlanti lussuriosi
che non credete in Dio che siate morti ingannati: “da’ beni mondati che sono
falsi”; fatture empie: creature perverse. “Impia creatura è quella che
non seguita lo suo creatore” per i
vostri “atti empi: cattive creature” perché aspirate in
vanità con i vostri cuori e con “le vostre tempie: i vostri
sguardi” pieni della speranza all’ amore al di fuori di questo mondo per
condannarvi e se stesso dopo. Il sacerdote cieco è arrivato la sera del
loro primo giorno per pulire con la fumata la salute dei gemelli figli regi.
Solo essi avranno, in futuro, la grande sorte del prezzo per le loro vite
condotte alla vittima fatale.
(Dal fine della p. 50) Ma no! Sopra il loro
letto, con la gloria beata, l’ anima del vecchio ha dominato in me il fiume
come nella tormenta. Ho ottenuto con lo spirito che con lo scopo supremo i
fuochi di due vite ha acceso il destino previsto vicino al tempio, al cuore di
Atslano, nella famiglia superiore del genere più antico alla scadenza
santa e piena di significati. La natura umana è composta in modo da
credere nel bene. Essa crede nella felicità nel momento del pericolo
soltanto sembra che vada bene. Essa ignora la previsione e tutti i segni se
sono stati rappresentati vaghi e non mostrano in concreto che non tutto va bene
come desidera. Dante affermava, come già si era detto prima, che se non
fossero questi fati così … non sarebbero arti, ma ruine. Sarebbero solo le rovine della memoria della
saggezza umana umano perché la maggioranza degli eventi, nella vita
umana, è negativa. Ma invece, l’ uomo non cessa di credere nel futuro
desiderato.
per te si veggia come vegg’ io, 88
grata m’ è più; e anco quest’ ho caro,
perché ’l discerni rimirando in Dio.
Fatto m’ hai lieto, e così
mi fa’ chiaro, 91
poi che, parlando, a dubitar m’ hai mosso,
com’ esser può di dolce seme amaro”.
Questo io a lui; e elli a me: “S’
io posso 94
Mostrarti un vero, a quel che tu dimandi
terra’ il viso come tieni ’l dosso.
e così: come con le
parole tue mi hai fatto lieto, ora ti piaccia di chiarirmi il dubbio in cui le
tue stesse parole mi han tratto: come, cioè, possa di buon padre (dolce
seme) venir cattivo (amaro) figliuolo. un vero: una
verità Intendi: se mi riesce di mostrarti una verità, a
ciò che tu ora ignori, volti le spalle (tieni ‘l dosso), portai
liberamente indirizzare i tuoi occhi (terra ‘ il viso) per modo che ti
sarà palese in ogni sua parte. (2) (“La Divina Commedia” p. 3 (p. 827); ristampa anastatica
dell’editore G.C. Sansoni, Firenze 1922,1988)
È capito che,
verosimilmente, se è stato letto con gli occhi di Golokhvastov, questo
frammento dantesco rappresenta la preghiera del sacerdote, la sua domanda e il
desiderio esplicito nella relazione ai bambini. Se sono state lette tutte le
strofe, ma non l’ultima, invece, dalla fine all’ inizio se è stata
composta la previsione di tutta la sua condotta i 15 anni dopo e la regola
delle relazioni: Io vedo come si veda te per(ché) io caro ho questo (può essere tesoro, la facoltà
carissima) anche; più è me (più
è per me) grata (prigioniera, della
prigione); Dio, in riguardo, discernilo (questo pericolo in me) perché chiaro fa/ccia/ me (mi fa/) così, lieto mi hai fatto
(mi hai fatto lieto e io no potrò
capire che farò), mosso, (terra) mi hai a dubitare (in sé), parlando, che poi (dopo) amaro (l’
uccisione violenta prima di diventare l’ androgino per provocare l’ apocalisse) di seme dolce (l’ infanzia e l’ adolescenza felici dei gemelli) può essere come se posso
io qui egli non trova nulla per la composizione del suo
soggetto simbolico secondo la moda dei poeti simbolisti della prima metà
del XX secolo. È giusto perché la “Divina commedia” non era
composta, nel 1321, agli sperimenti dei simbolisti russi del XX secolo. Ma si
può indovinare che il soggetto implicito della “Rovina di Atlantide” fu
composto seguendo moltissimi esempi simili ai suddetti simboli artistici
mediante l’informazione menzionata nella spiegazione dell’ autore e mediante la seconda memoria
implicita della “Divina commedia” di Dante Alighieri, il poetato (119) della
guerra civile di “Satiricon” di Petroneo, la “Consolazione della filosofia” e
molti altri capolavori in francese e in inglese. Si può supporre che la
composizione dei pronomi danteschi Questo io a lui; e elli a me: letti invece dalla fine all’ inizio era
interpretata /può essere come se potessi io/ nel relazionarmi a lui (all’ androgino, o all’ apocalisse) corrispondere alla relazione
che ha con me (a questa mia condotta): (?)“Se io scegliessi di rimanere mortale secondo la legge
naturale di Dio i gemelli, passando molte sofferenze come Dante, salverebbero
l’ Atlantide”(?) secondo l’ altra parte del destino doppio. Ma l’ uomo,
secondo Boezio, può cambiare ma non cambia nulla a causa della sua
ignoranza e la speranza di una fine felice. La verità è negata ai
protagonisti della “Rovina di Atlantide” come a tutti gli uomini secondo la
strofa dantesca Mostrarti un vero, a quel che tu dimandi letta invece dai simbolisti russi: Domandi tu perché, a quel (Perché bisogna mostrare la verità di
quella fine tragica?) un vero, mostrarti (mostrare il tuo scopo orribile per rovinare l’ isola
del sacrilegio totale?).
L’ ultima strofa che non è
stata messa su questo esperimento simbolico di Golokhvastov può essere
stata interpretata come terra’ il dosso ai infelici bambini durante il processo tormentato
della loro eutanasia come tieni a tutti i due prima di
quello il viso. Per le regole dell’
indovinare implicito questa interpretazione filosofica potesse essere il
mistero della caduta di quelle due stelle sopra il tetto del palazzo regio
durante la nascita dei gemelli.
Äâóõ çâ¸çä ïàäó÷èõ íàä êðîâëåé äâîðöà;
Cêàòèëèñü çâ¸çäû, êàê äâà áëèçíåöà,
Èç ñôåð áëàæåíñòâà â èçãíàíüå ïàäåíüÿ,
Ïîòóõëè âìåñòå, ñãîðåâ áåç ñëåäà,
Íî æèçíüþ íîâîé çàæãëèñü äëÿ âõîæäåíüÿ
Íà ïðàçäíèê Æèçíè è Ñìåðòè – ñþäà.
Äâå ñìåðòè â íåáå, à çäåñü äâà ðîæäåíüÿ, –
Äâîéíàÿ çàâÿçü íà÷àë è êîíöîâ
 ÿâëåíüè ìèðó äåòåé-áèçíåöîâ:
Èõ ïóòü íà÷åðòàí ðóêîé Ïðîâèäåíüÿ.
Ho compreso il simbolo della visione notturna di
due stelle cadute sopra il tetto del palazzo: (p. 51) ruotavano le stelle, come due gemelli dalle
sfere della beatitudine all’ esulare della caduta, si sono spenti insieme,
bruciandosi senza traccia, ma con la vita nuova si sono accesi per entrare
nella festa della Vita e della Morte. Ci sono due morti nel cielo, e per due
nascite, — è il doppio legame degli inizi e delle fini alla comparsa,
nel mondo, di due bambini gemelli: il loro cammino è disegnato con la
mano della previsione…
Ancora una volta è stata
ripresa l’ allusione a che l’ uomo percepisce solo il desiderato ed inventa
moltissime spiegazioni per capire l’ incomprensibile.
simil farebbe sempre a’ generanti,
se non vincesse il proveder divino.
Or quel che t’era dietro
t’è davanti: 136
ma perché sappi che di te mi giova,
un corollario voglio che t’ ammanti.
Sempre natura se fortuna trova 139
Discorde a sé, com’ ogni altra semente
Fuor di sua region, fa mala prova.
Natura generata: la natura de’ figliuoli. — Or: ora sai
ciò che poc’ anzi ignoravi. — t’ammanti: ti accresca sapienza. — Sempre:
come il seme, che deposto in terreno ingrato (fuor di sua region) dà
frutti cattivi, così la natura, se fortuna non la seconda. (2) (“La Divina Commedia” p. 3 (p. 829); ristampa anastatica
dell’editore G.C. Sansoni, Firenze 1922,1988 )
“Natura generata: la natura de’
figlioli” dovrebbe condurli secondo l’ itinerario dei figlioli regi se non
fossero l’ essere unico e inseparabile, se nascessero in due altre famiglie e a
quindici anni si incontrassero la natura avrebbe il suo cammino.
Ma il preveder divino diceva all’ altro. “Or: ora sai ciò
che poc’ anzi ignoravi.” Adesso il sacerdote supremo di Ra sa che due stelle cadute
sono morte ma egli comincia a capire ciò che poco tempo fa ignorava. “di
te mi giova: ti accresca sapienza”, sacerdote di Ra, è il doppio legame degli inizi
e delle fini e non invece, come mostra il testo di Golokhvastov, non c’
è legame delle fini e degli inizi, ma solo c’è degli inizi e
delle fini. “Sempre: come il seme, che deposto in terreno ingrato (fuor
di sua region) dà frutti cattivi, così la natura, se fortuna
non la seconda.” Sempre il seme che cade nel campo di altri per la natura, non
ha continuità. Se queste due parti dell’unica anima cadessero in due
altre famiglie riuscirebbero ad unirsi secondo la legge della natura. Ma Dio li
ha inviati non per l’ amore del cammino desiderabile. Dio li ha separati e pose
nell’ unica famiglia che non si siano mai uniti in questi corpi e in questa
vita e che l’ Atlantide, secondo Gheorghi Golokhvastov, cessasse la sua
esistenza. (L’ ultima quartina del VI cap.) E con la volontà del
cielo, ai miei occhi oggi è fatto vedere il Bambino, sì lo
riconosco alla fine degli anni, nel figlio umano, il Re dei Re e la mattina
dell’ immortalità. L’ autore mostra in particolare che l’ uomo amato
dovrà sottoporre il suo amore al segno del destino perché ama e
vuole la felicità dei suoi amati, che l’ incoscienza nascosta dirige
tutta l’ umanità indifferentemente ma l’ umanità crede al destino
felice.
P. 54: segno
di Gorus (sole). Qui il sacerdote prevede ciò che dovrà
succedere. Ma la previsione e la salvazione, sotto il segno di Gorus, non
cambiano nulla.
Tremava il fuoco dei purgatori delle lampade,
baciando il marmo col paraggio d’ oro; Penetrato con la luce il fumo inanimato
soffiava; nei pretori freddi si concentrava l’ oscurità. Si fumava l’
anice, le ombre si approfondivano nelle colonne e negli archi. Come il vaso
sopra essi è stata pesata la cupola di lapislazzuli; il cui soffitto,
come il cielo notturno, ha colmato il mosaico degli astri celesti conosciuti.
Attraverso la cornice l’ anello zodiacale, come la
cintura chiara, splendeva nell’ oscurità, come se vivesse nelle nuvole
vive del fumo trasferente, ove vedo le cariatide, biancheggiavano sulle pareti
bianche; le (cariatide) sottoposte
portavano la cupola nelle mani. E tutto, in cui c’è il genio e lo
spirito di Atlantide, con quello che le anime umane suonano nella vita, in
quella sale rotonda era stato conservato lo Ziggurat.
Mi piaceva, nella sale muta e vuota, cancellando,
con la volontà, i confini dei tempi, leggere del passato nelle leggende
antiche oppure guardando a prolungo sul papiro di comporre i disegni dei
destini lontani.
Il sacerdote di Ra è stato
rappresentato nell’ immagine generativa dei saggi medioevali che desideravano a
vedere il futuro e che credevano nelle loro predizioni sbagliando sempre.
poscia conchiuse: “Dunque essere diverse
convien di vostri effetti le radici:
per ch’ un nasce Salone e altro
Serse, 124
altro Melchisedech e altro quello
che, volando per l’aere, il figlio perse.
esser diverse: se al vostro
viver civile si convengono diversi offici, è altresì necessario
che diversi e vari siano i principi donde l’uomo attinge le sue attitudini:
così avviene che altro nasca disposto allo studio delle leggi, altri
alle armi e alle grandi imprese, altri si senta portato alle cose di chiesa;
altri o alle industrie. Così il mondo potè avere un Solone
(convivio, II, 11) legislatore di Atene (638-558 A. C.); un Serse, re guerriero
di Persia (Purg., XXVIII, 71, De Mon., II, 9); un Melchesedech re e sacerdote di Gerusalemme
(Gen, XIV, 18) e un uomo ingegnoso quale fu Dedalo, padre di Icaro (Inf., XVII,
109). (2) (“La Divina Commedia” p. 3 (p. 829); ristampa anastatica
dell’editore G.C. Sansoni, Firenze 1922,1988)
L’analisi
filosofica, come molte immagini della “Rovina di Atlantide” che riflettono le
immagini di alcuni frammenti della “Divina commedia”, conduce alla deduzione
che la loro comprensione contraddetta divenga una delle essenziali regoli dell’
ermeneutica che ci aiuta capire perché Golokhvastov scelga questo
itinerario e non un altro. Benché possano comparire le obiezioni che
tutti gli esempi menzionati non sono che le contingenze nate sotto le
percezioni simili della memoria dell’ eredità intellettuale di tutta l’
umanità. Ma verosimilmente che questa deduzione sia stata prevista dall’
autore della “Rovina di Atlantide” per suscitare il futuro interesse al suo
poema; “quini o quinci: da questa legge può seguire che un
fratello, come fu di Esaù e di Giacobbe (Iacob) non
somigli nell’ indole sua all’ altro, sebbene siano nati gemelli.” (Cfr. Cen.,
XXV, 21). Al contrario di queste due immagini i gemelli regi della “Rovina di
Atlantide” sono rappresentati come il fratello e la sorella all’ interno di
sé simili, e diversi come l’ uomo e la donna. Gli effetti delle loro
radici innamorati l’ una dell’ altra si differenziano come la maschile e la
femminile e non come i diversi caratteri di Esaù e di Giacobbe ma il
principe e la principessa sono a metta strada fra la santità e il
peccato contro natura nel loro santo amore irraggiungibile. Il soggetto della
“Rovina di Atlantide” è stato contrapposto a uno e mezzo dei versi
danteschi: e altro quello che, volando per
l’aere, il figlio perse. Il
padre sarà battuto sotto la lava vulcanica e si perderà sul fondo
del mare e, i figli si trasformeranno nell’ unico figlio che volerà per
l’ aere nell’ immagine dell’ Androgino. Può essere la comparsa di Salone
prima di tutto concentrò Golokhvastov in questo frammento. E
verosimilmente dopo questo interesse, che non generò l’ effetto
aspettato, provocò il giovane Golokhvastov all’ esperimento supposto che
divenne una delle basi della composizione della “Rovina di Atlantide” nel gioco
dell’ immaginazione dell’ autore.
E quella notte, come nell’ attimo del risveglio,
ero colmato con lo spirito e con il dono della nuova visione, ho cominciato a
leggere l’ oroscopo dei gemelli. Si alzava il sole della doppia vocazione e
intorno tutto era pieno della gioia al chiaro mattino dei sentieri dei bambini.
La basculla ondulava. Alla fine del bilancio il
vaso fu inclinato di due vite alla fortuna, al bene profeto si componevano i
cifri, la stazionarietà degli astri prometteva la felicità.
Su si incontrarono le desideranti stelle, gli
indici della felicità si univano giù: in modo impeccabile
maturavano due infanzie, come quando le grappe decoravano il sarmento ancora
preparano il suo succo all’ affilatoio… Ma l’ ombra del cammino oscurò i
gemelli.
sì come riso qui; ma giù s’ abbuia
l’ ombra di fuor, come la mente è trista.
io vede tutto, e tuo veder s’
inluia”, 73
diss’ io, “beato spirto, sì che nulla
voglia di sé a te puot’ esser fuia.
Dunque la voce tua, che ’l ciel
trastulla 76
sempre col canto di quei fuochi pii
che di sei ali fatt’ han la coculla,
perché non satisface a’
miei disii? 79
già non attendere’ io tua dimanda,
s’ io m’ intuissi, come tu t’ inmii.”
Il
sacerdote prova gioia pensando di avvicinarsi a Dio, ed al migliore futuro dei
gemelli. Per letiziar: ordina e intendi: come in terra per mostrar gioia gli
uomini sorridono,” perché il sacerdote ignorante prima era felice,
“così nel cielo le anime risplendono;” questo segno è stato
evidenziato, nella “Rovina di Atlantide”, al contrario del pensiero dantesco,
solo all’ inizio, all’ infanzia del principe e della principessa su si
incontrano le desideranti stelle, “giù nell’ inferno invece le ombre
tanto più appaion fosche, quanto più internam. son triste”.
Gli indici della felicità dei gemelli si univano giù. Questo
significava che la loro felicità naturale sarà contro natura,
contro Dio e condurrà alla tristezza fosca dell’ inferno. Ma giù
s’ abbuia la loro ombra al di fuori di tutti corpi. Al contrario della gioia
ignorante la mente è triste perché indovina e capisce, dall’
incoscienza, la fatalità di ambedue che si concepisce confusamente. Il
sacerdote vede tutto e tuo veder “s’ inluia:
si trasfonde in lui,” dovrà trasformarsi nell’ immortalità,
mediante l’ Androgino, “nella sua cioè Dio, sì che “nessuna
volontà può esser fuia, o ladra (Inf., XII, 77) di
sé medesima a te” CASINI.
L’ interpretazione di questo
pensiero del critico G. L. Passerini dal 1922 è stata espressa con due
affermazioni implicite: 1) Il sacerdote con l’ anima dell’ autore
rivelerà che egli, fra quindici anni, diverrà immortale come Dio
e al contrario di Dio. 2) Nessuna volontà ruberà questo pensiero
di Dante, allo stesso tempo Golochvastov, che nella vita precedente prima di
questa reincarnazione fu l’ultimo sacerdote supremo di Ra, rischiò di
rubarlo, invertendolo così, prima che qualcuno lo vedesse, nessuno fra i
lirici e i realisti anche fra i loro critici della letteratura russa, i quali
da tutto il XX secolo ebbero, hanno ed avranno paura sempre di tutti i talenti
naturali.
Quando sono nati i gemelli beato
è lo spirito del sacerdote di Ra perché non vuole ancora nulla
perché non vuole di sé ad essere ladro, e non diventare
“immortale come Dio”, a non uccidere i gemelli, l’ Atlantide e sé
medesimo. Il cielo trastulla sempre col canto di quei fuochi pii affinché le stelle mostrino la
verità a lui che è vestito nella cocolla, che uccide in sé
tutti sentimenti corporei e la giovinezza, che è entrato sulla quadriga
nel portone di Atslano come il vincitore di tutto l’ umano, che rappresenta il
simbolo del dio Ra che si cinge di sei ali, che domanderà a Dio all’ ora
dell’ apocalisse: «…perché non satisface a’ miei disii (desi, desideri)? di me, dell’ uccisore di tutta l’isola, del
mentitore di se stesso quando, in uno solo essere cieco e indifferente e
perciò verosimilmente infernale, ognuno dei gemelli uccisi dovesse dire:
“m’ intuassi: mi trasfondesi in te, conoscendo così il tuo intimo pensiero, come
tu ti trasfondi in me e conosci il mio”.
Qualche
altro dei suoi antenati non dimentichi mai questo segno celeste che le
costellazioni dei destini dei gemelli e di nessun altro saranno rapportati al
segno della minaccia tramite la pioggia sulfurea soffocante, in cui
brucerà la lava e bolliranno i mari. Tutto questo avverrà tre
quinquenni dopo. Egli doveva avere
l’esperienza che tali previsioni arrivassero implicitamente molto tempo prima.
Così è offerta la possibilità per evitare gli eventi futuri.
VIII
Canto
al fondamento che natura pone,
seguendo lui, avria buona la gente.
Ma
voi torcete a la religione 145
Tal che fia nato a cingersi la spada,
e fate re di tal ch’ è da sermone:
onde la
traccia vostra è fuor di strada. 148
al fondamento: alle naturali inclinazioni che
ciascun uomo reca seco fin dalla nascita. avrìa: avrebbe
cittadini buoni e utili al civile consorzio. Torcete: piegate, volgete
al sacerdozio (a la religione) chi era nato per trattare le armi; e fate
re chi sarebbe invece stato bene sul pulpito a predicare. — Qui si allude a
Roberto, uno dei figliuoli di Carlo II d’ Angiò, al quale succedette nel
regno il 1309 e morì l’anno 1343. Il Villani, XII, 10, fra molte altre
lodi che ne fa, lo dice “grandissimo maestro in teologia e sommo filosofo”; ma
par che queste vitrù che allo storico de’ Neri piacquero non trovasser
grazia appresso il Poeta di parte bianca. la traccia: il cammino vostro
è fuora della via diritta. (2) (“La Divina Commedia” p. 3;
ristampa anastatica dell’editore G.C. Sansoni (p. 831); Firenze 1922,1988)
Se il
mondo degli Atlanti ponesse mente al fondamento della castità sessuale e
morale che natura pone, seguendo il testamento degli antenati saggi, sarebbe meglio
che la gente e la natura divina non inviasse a tale orribile destino i gemelli
e, mediante le metamorfosi, non gli collegasse ai peccati dell’ isola verde.
Tale che sia il carattere dell’ ultimo sacerdote di Ra per cingere la spada sul
posto del capo delle galere e di tutto l’ esercito. Quello sarà in
peggio di Roberto avaro, uno dei figli di Carlo II d’ Angiò. Se il
servitore di Ra fosse il sacerdote del re! perché egli, che adesso
è diventato incapace di una comprensione corretta della previdenza, non coltiverebbe il sacrilegio e non
permetterebbe di conquistare, con gli ubriachi nudi, il Tempio della
Cognizione. Questa conquista in una delle sere della memoria dei morti, in
futuro, sarà la dimostrazione del termine avvenuto. Tutto il diciannovesimo
capitolo sarà dedicato alla descrizione delle sofferenze del sacerdote
di Ra che vedrà come quel condottiero, che nel XVIII capitolo
sarà l’ iniziatore dell’ orgia fra le donne e il peticantropo nel ruolo
dell’ uomo-animale, dell’ orgia fra il centauro selvaggio e la donna nel ruolo
della vittima dell’ orgia di tutti gli uomini nel vapore del sangue, il capo
dell’esercito condurrà per spogliarsi nel Tempio delle Cognizioni, rompendo
duramente i costumi della proibizione dai misteri primordiali che erano sacrali
prima, i frammenti delle conoscenze stanno nel potere dei profani solo dei
vantaggi inferiori, degli inganni corrotti che perseguitano lo scopo dell’ uopo
falso. Che re permetterebbe che il sacrilegio fosse dominato nel suo regno
il più potente e più ricco di tutto il mondo? Questo re non
doveva essere anche tal ch’ è da sermone. Se la generosità del re Carlo II
Angiò evidenzia il suo tratto positivo, invece, la generosità
infinita dell’ultimo re di Atlantide sarà da considerarsi come il tatto,
al massimo, negativo. Nessuno fosse nell’esercito di questo re che sostituisse
il traditore invertito? Al contrario della composizione dantesca solo il
figlio regio, a quindici anni, saprà sostituirlo e condannarlo
combattendo in mare. Allo stesso tempo questo re è degno di regnare se
generò tale figlio eroe. Ma perché nacque il figlio eroe? Per
condannare i tutti permessi sopradescritti onde
la traccia vostra è fuor di strada con il suo amore fatale tramite l’ incoscienza, in
cui “il suo cammino è al di fuori della diritta via” che cosa fu
mostrato, quindici anni fa, al sacerdote indegno quando sopra il nodo fatale
piangeva la Vergine Celeste.
Ma era il chiaro esodo finale, attraverso il foco e
l’ inondazione, alle anime chiarite…
I tutto s’ è diffuso. Negli occhi stanchi s’
è spenta la gerba (l’
angolo) dei raggi mattini e nella cenere grigia delle speranze arse s’
è oscurato l’ oroscopo fatale dei bambini.
L’ ultimo sacerdote indegno di Ra
non potette vedere l’ entità della predestinazione di quei tre
quinquenni che gli danno la possibilità di evitare il fatale futuro e
cambiarlo. Ma egli non è Atlasso che verosimilmente non capì l’
orribile predestinazione del segreto ed aspettava la comparsa del desiderio
dell’ immortalità che condurrà l’ultimo sacerdote del suo popolo
all’ apocalisse. L’ indegno sacerdote di Ra dopo nacque solo per provocare l’
apocalisse celato il suo nome. La stessa tradizione poteva avere la sorgente
nel mezzo del quinto capitolo del libro di Cassirer (“Linguaggio e mito” Al problema dei titoli
degli dei di Cassirer, Leipzig. Berlin, 1927, 38)
Quindici anni prima il sacerdote prevede la
conseguenza del proprio atto ma percepisce l’ apocalisse, in particolare,
così come l’ atto di un altro volto sconosciuto. Atlasso non
desiderò di essere immortale. Egli indovinò verosimilmente che
significato porta in sé l’ apertura di questo mistero. Affinché
egli non rompesse l’ ultimo gradino alla scopertura pericolosa e portasse il
suo mistero al tempio dei morti sul suo scheletro?
e ciò esser non
può, se li ’ntelletti 109
che muovon queste stelle non son manchi,
e manco il Primo, che non li ha perfetti.
Vuo’ tu che questo ver più
ti s’ imbianchi?” 112
E io: “Non già; ché impossibil veggio
Che la natura, in quel ch’ è uopo, stanchi”.
Ond’ elli ancora: “Or dì:
sarebbe il peggio 115
Per l’ uomo in terra, se non fosse cive?
“Sì”, ripos’ io; “e qui ragion non scheggio.”
“E può elli esser, se
giù non si vive 118
diversamente per diversi offici?
Non, se ’l maestro vostro ben vi scrive”.
li ‘ntelletti: le
intelligenze che muovono le sfere. Cfr. Par., II, 127. manco: manchevole ;
se non è imperfetto, Iddio, primo motore (il Primo), che li ha creati
perfetti. Stanchi: “venga meno alle cose
necessarie” (Buti). — cive:
socievole. — E può: e vi potrebb’ esser civil consorzio
senza varietà di arti e di offici? — maestro: Aristotele. (2) (“La Divina Commedia” p. 3 (p.831); ristampa anastatica
dell’editore G.C. Sansoni, Firenze 1922,1988)
Il sacerdote pensa se fosse
predestinata la fine fatale ai gemelli con i fuochi celesti “li ’ntelletti:
le intelligenze che muovono le sfere” se essi minacciassero davvero con tale
chiaro esodo finale, attraverso il foco e l’ inondazione, alle anime chiarite, alla sua coscienza umana sarebbe “manco:
manchevole”, cioè imperfetto, “il Primo motore che li ha creati
perfetti”. Perciò egli permette a se stesso di credere al migliore.
Verosimilmente, la composizione di Golokhvastov aspira a riflettere la
composizione dantesca in cui la mano destra diventa sinistra, ed invece, egli
stesso o Dio domanda all’ ultimo sacerdote di Ra: Vuo’ tu che questo ver più
ti s’ imbianchi?” La sua incoscienza umana
risponde: “Non già; ché impossibil veggio Che la natura, in quel ch’
è uopo, stanchi”. Non
già. Sono stanco morto, vedo che sarà sempre impossibile di
vederlo affinché il mio uopo non stanchi la natura. Ma la natura e l’
uopo di lui non corrisponderanno alla volontà del destino perché
la terra non stanchi più agli Atlanti peccati. E Dio ridomanda la suo
incoscienza: sarebbe il peggio per l’ uomo in terra, se non fosse cive? No! Egli medesimo maledirà gli uomini per il
loro sacrilegio nel Tempio delle Cognizioni. Ma sarebbe meglio per l’ uomo in
tutta la terra se gli atlanti fossero meno simili agli altri uomini “e qui ragion non scheggio.” Egli è concorde con questa ragione. Egli
è reale e nessun altro fra questi peccatori sarà l’ uccisore di
tutti ed è giusto che egli non voglia rimanere lo scheggio immortale di
Atlantide dopo l’ apocalisse. Il maestro sbaglia sostenendo che l’ ombra della
terra cade solo sotto la Venere. Essa cade in tutti i posti. Non sta nel centro
dell’ universo, come il sacerdote non sarà immortale come Dio. La terra
è piccola o grande più o meno di tutti gli altri pianeti. Come
nel paragone a tutti gli altri atlanti poco si differenzia fra loro l’ultimo
sacerdote di Ra. A questa causa egli è nato come lo scheggio finale
dell’ Atlantide per compiere il suo ultimo atto. Ma prima riceve la previdenza
di tutto il descritto per smentire l’ ultimo dubbio in merito a Dio. Ma la sua
natura sotto il coperto sottile resterà, 15 anni dopo, simile alla
natura di tutti loro ed egli dimenticherà Dio per ottenere il suo
desiderio doppio che condurrà alla fatalità tutta la
civilizzazione di atlanti.
Questa maniera originale di
comporre il soggetto e di sviluppare gli eventi diventa la causa principale
dell’ assenza del desiderio di studiare la “Rovina di Atlantide” nell’ ambito
della filologia russa. Comporre le analisi banali dei lirici simili è da
considerarsi più vantaggioso. Rivalutare la storia della letteratura
russa è molto scomodo. Nessuno si incontra paragonabile di tanto
originale. Molti esempi tratti dalla “Divina commedia” sono compilati secondo
l’ ordine contrario alla composizione dantesca, andando dalla fine all’ inizio.
Golokhvastov credeva che, nella vita trascorsa, la sua anima era questo
sacerdote. Perciò cercava le fonti mistiche per il soggetto del suo
capolavoro, trovandoli nella “Divina commedia”, il cui significato storico,
è quello della sua “Rovina di Atlantide”. Tuttavia egli non imitò
Dante. I suoi contemporanei, poeti lirici primitivi, affinché non lo
indovinassero perché questa maniera simbolica, contrapposta alla “Divina
commedia” si evidenzia essa stessa implicitamente.
Noi abbiamo tre unità
simboliche A, B, C di tre trocaici simbolici: 1)A(16-28)/VIII/
B (103-108) /VIII/, C(97-102)/VIII/, 2)A(4-12)/IX B(133-141)/VIII/,C(121-127)/VIII/
e 3) A(70-81)/IX/ B(142-148)/VIII/, C(109-120)/VIII/
che corrispondono alle sorgenti dantesche da cui, secondo questo ordine
artistico, Golokhvastov compone il soggetto della “Rovina di Atlantide”,
costruito in modo sottile (implicit) che si dedica verosimilmente ai suoi
successori letterari in futuro.
Il suo schema si evidenzia
mediante A (16-28), ma
dopo B (103-108) e C (97-102) solo del VIII canto. Perché
la prima A (16-28) non è dal IX canto e si spiega nel
paragrafo seguente. Dopo l’ ordine dello schema passa avanti al IX canto all’
inizio non alla fine A(4-12) per obbligare a muoversi dalla fine
all’ inizio nel VIII canto: B(133-141),C (121-127), dopo si
utilizzano due frammenti danteschi, da cui compone il soggetto della “Rovina di
Atlantide”. L’ autore ritorna nuovamente già alla metà del IX
canto del “Paradiso” A(70-81) da cui per la terza volta
Golokhvastov va in dietro al VIII canto, in cui lo stesso movimento passa dalla
fine all’ inizio, B(142-148), C(109-120). Questa alternanza
simbolica degli inizi delle sue idee corrisponde alla composizione classica
dell’ esametro: /1) [—] dall’ inizio alla fine, [V V] dalla fine
all’ inizio/ (16-28) [ — ] (103-108), (97-102) [V V];
in cui è lo schema menzionato /1) [—] è dall’ inizio alla fine
((A4-21) <A(della seguente sillaba lunga: 70-81),
che si evidenzia nel IX canto, in cui il movimento passa dall’ inizio alla
fine, solo nel IX canto, che corrisponde alla relazione fra la prima sillaba
lunga A(16-28) a 1) tutta la strofa, 2) al primo trocaico e 3)
alla legge fra le sillabe lunghe/ A (16-28)/VIII/ < A(4-12)
< A(70-81) /. Invece il movimento delle sillabe
brevi va dalla fine all’ inizio tre volte/
B (103-108) /VIII/> C (97-102)/VIII/
B(133-141)/VIII/ > C (121-127)/VIII/
B(142-148)/VIII/> C(109-120)/VIII/
Secondo la stessa legge si
compongono le relazioni fra le sillabe lunghe e brevi di due trocaici seguenti
A(4-12) [—] >B(133-141)>C(121-127)[VV]
A(70-81)
[—]>B(142-148)>C(109-120)[VV]
La
metrica di tutta la “Rovina di Atlantide” è basata sull’ endecasillabo
nelle strofe in cui l’ ultimo accento cade sulla sillaba prima dell’ ultima
sillaba dell’ ultima parola. La stessa legge corrisponde dopo al decasillabo
dove l’ ultimo accento cade sull’ ultima sillaba dell’ ultima parola. L’
alternanza delle sillabe lunghe e brevi corrisponde all’ esametro in cui la
seconda lettera breve è sempre accentata come ogni quarta sillaba di
ogni strofa, e come ogni settima. La successiva sillaba accentata è
sempre la decima. La prima A(16-28) simbolizza la prima sillaba e
non appartiene in particolare al IX
canto dantesco perché la prima sillaba di ogni strofa della “Rovina di
Atlantide” è lunga e non è mai accentata come le sillabe dell’
origine simbolica del movimento dalla fine all’inizio.
Il VIII capitolo p. 55:
«Â ñêðèæàëÿõ íåáà,
— òâåðäèë ÿ, — íåìûñëèì
Îáìàí ñâåòèë; è
ïðàâäèâû ñëîâà
Ïðèìåò ñâÿùåííûõ:
êàê ìûñëü Áîæåñòâà,
Ìû èõ ÷èòàåì, òîëêóåì
è ÷èñëèì.
È áóäåò ó÷àñòü äåòåé
òàêîâà,
Êàêîþ ÿ â ãîðîñêîïå
çëîâåùåì
Ÿ ïðî÷¸ë, åñëè ÿ
áåç áîðüáû,
Ñî÷òó çàêîíîì óãðîçû
ñóäüáû.
Ñóäüáà ìîãó÷à, êîãäà
ìû òðåïåùåì
Ïðè ïåðâîì çíàêå
íåâçãîä, êàê ðàáû;
Ÿ èòîãè òîãäà
íåïðåëîæíû,
Êàê ì¸ðòâûé ëèñò íà
òåêó÷åé âîäå.
Íî ñìåëûé ñïîð è
áîðüáà ñ íåé âîçìîæíû:
Íå ñàì ëè êàæäûé èç
íàñ, êàê êóçíåö,
Ñåáå êó¸ò èëè æðåáèé
íè÷òîæíûé,
Èëü â ÷àñ óäà÷è ïîáåäû
âåíåö…»
“Nelle scritture del
cielo, ripetevo io, la menzogna degli astri è impossibile; e le parole
veridiche dei segni sacrali: come il pensiero della Divinità, li
leggiamo, interpretiamo e calcoliamo. E il futuro dei bambini sarebbe analogo a
quello che ho letto nell’oroscopo terribile se, senza lotto, io lo considerassi
la legge del destino. Il destino è potente, se noi tremiamo al primo
segno della sventura, come degli schiavi. I suoi importi sono allora fatali
come mostra la foglia sull’acqua che scorre. Ma il discorso coraggioso con esso
(col destino) e il lotto sono possibili: non ognuno, se stesso, di noi si
fucina come fabbro o la sorte miserabile o la corona della vittoria nell’ora
della fortuna…”
Disegno di A. N. Avinov: Nascita dei gemelli
Tutte le alternanze delle sillabe
lunghe e brevi corrispondono alle alternanze delle leggi delle alternanze dei
frammenti danteschi da cui erano presi le implicite immagini primordiali del
soggetto per aumentare il significato simbolico e verosimilmente “profetico”
della “Rovina di Atlantide” per attirare l’attenzione dei suoi futuri
ricercatori. Tale significato dovevano portare in sé i concetti della
memoria della saggezza umana: “Ahat” e “Segno Gorus”.
Il IX capitolo: p. 59: I giardini celesti del Cerne
ad Atslano secondo il libro“Le Livre De l’ Atlantide” di Michel Mansi (Paris
1900) composta sulla base delle ricerche archeologiche in Cusco di Perù
e secondo le descrizioni di Alonzo Martino.
Il XV cap. p. 87: Dalla secolarizzazione fino al
sacrilegio. Qua vediamo che fra gli atlanti domina l’inizio demonico e la
memoria della sensazione vince la memoria della sintesi dell’eredità
umana. La prima cancella ed inverte la memoria divina. Questa vittoria diviene
la causa principale della fine tragica nascosta nel mistero dell’Androgino.
Fra le case che si alzano vicino, dove l’una è più lussuosa e
fastosa dell’ altra, si trova il grande palazzo con la facciata maestosa dalle
pietre nere, bianche e rosse. Ancora una volta riecheggiano “i tre scaglioni di color diversi (v.77) sui quali posa la porta del
Purgatorio” della “Divina commedia” (La D. C. di D. Al., Sansoni
Editore 1922, 1988, p. 463). Il
palazzo dove si potevano purgare le anime brilla con i fuochi lungo il canale
dormito. Qui il capo dei reggimenti atlanti e delle galere dà ad
Atslano l’esempio aperto del Peccato di livello mai visto. Rumoreggia la folla
degli ospiti parlanti; Già è svanita la loro solennità nel
cerchio selvaggio col vino ubriacato e con le passioni. Qua regna il sonno
degli uomini infelici e spaventosi come la notte, veri come occhi di cigni.
Insolente, il sonno fece la nostra festa risoluzione al nuovo combattimento
contro il valore del Creatore, e le forze del male, alla lotta contro Dio, essi
all’ unanimità si unirono nella fermezza del palazzo. L’autore
mostra l’inizio della dimenticanza della memoria della saggezza umana nel sonno
dei peccati. I figli del vizio, gli esseri ciechi! Essi non credono
né nell’ora della pena, né nell’ immortalità; la loro
onestà è sorda alle testimonianze della verità; le
confessioni dei cieli gli tacevano. All’ interno delle consolazioni del peccato
i folli cercano la dimenticanza del cuore, la gloria legata al breve attimo.
Nulla esiste e nulla avviene
senza causa. Gli eventi descritti dall’ultimo sacerdote di Ra spiegano la
nascita dei gemelli e lo scopo dell’ incoscienza all’ immortalità
attraverso l’uccisione di entrambi sarà l’ultimo passo verso l’
apocalisse previsto e nascosto da Dio fino al suo tempo. Il desiderio dell’
immortalità nasce dalla mancanza di perfezione nell’Atlantide e per
correggerla alla fine ne fa cessare l’esistenza. L’isola Atlantide
scomparirà perché lo provocano i vizi degli uomini imperfetti per
dare l’ avvio alla nuova civilizzazione: È innegabile
che un tal bene esista e che sia per così dire come la fonte di ogni
bene; tutto ciò infatti che viene detto imperfetto, è
evidentemente tale [10] per diminuzione del perfetto. Ne consegue che, se in un
qualsiasi genere di cose sembri esservi alcunché di imperfetto, debba
ivi trovarsi necessariamente anche un qualche cosa di perfetto; ed in effetti,
tolta la perfezione, non può neanche immaginarsi da dove sia venuto fuori
quel che è imperfetto. La natura delle cose non trae il suo inizio da
realtà [15] sminuzzate e incompiute, ma, procedendo da ciò che
è integro e perfetto, digrada a queste estreme e svigorite conseguenze… (Boezio “Consolazione della
filosofia” (“Consolatio philosophiae”), III, 10, 9-16)
…Boezio abbia voluto comporre un
prosimetro di contenuto filosofico, alla maniera di Marziano Capella, uno
scrittore che egli certamente conosceva, e su questa interpretazione del genere
letterario della “Consolatio” insistono soprattutto gli studiosi più
recenti; a nostro parere, tuttavia, si
dovrebbe tenere in maggiore considerazione, accanto alla caratteristica della
alternanza di prosa e versi, la struttura dialogica dell’opera, con la quale
Boezio, da platonico qual era, ha voluto sicuramente imitare gli scritti del
suo maestro: il prosimetro, infatti, non è un genere letterario ben
definito, e questa varietà ben si inserisce nella tendenza artistica
della letteratura tardoantica, che in età classica erano tenuti ben
distinti/ I carmi che Boezio inserisce nel corso della sua trattazione hanno,
forse ancor picche in altre opere di contenuto analogo… (p. 23) Il carme che, come si
è detto, è un inno a Dio, ne celebra le lodi, e si colloca, come
ultimo e splendido esempio, nella lunga tradizione letteraria greca e latina
degli inni alla divinità, che risaliva fino ad Omero. Il cristiano
Boezio si è rivolto a Dio scrivendo la sua preghiera nelle forme della
cultura pagana, della quale era imbevuto: e non solo in questo carme, del
resto, ma nell’architettura del suo pensiero,… Niente delle nebbie di Marziano,
però, è passato nella limpida poesia di Boezio, il quale ha
saputo concentrare in trenta versi la dottrina platonica del “Timeo”, insieme a
spunti di esegesi neoplatonica, tratti da Proclo e altri filosofi dell’ epoca…
ma viene meglio definita, in seguita,
secondo gli sviluppi che il neoplatonismo ha dato alla dottrina del Timeo (36 b
sgg.)… (p. 40) La medesima esigenza del ‘ritorno’ (epistrophé)
è presente nell’anima umana, arricchita dal conforto e dal sostegno che
l’intelletto le conferisce. Dall’anima del mondo provengono poi le anime dei
singoli esseri viventi, cioè degli uomini e degli animali tutti, le
quali sono dotate di un ‘carro aereo’,
cioè di un veicolo materiale, sì, ma leggerissimo, con il quale
esse possano attraversare le regioni del mondo terreno. Poiché, dunque,
tutte le anime aspirano a questo ritorno al Dio che le ha create, ora Boezio
per bocca della Filosofia invoca: da,
Pater, augustam menti conscendere sedem. Solo a Dio, infatti, noi dobbiamo
tener fisso lo sguardo, ché Dio è il nostro principio, la guida,
la strada e il fine ultimo. (“La consolazione della
filosofia” di Severino Boezio a cura di Claudio Moreschini (p. 41), Unione Tipografico-Editrice
Torinese.)
La mancanza del perfetto
all’interno della stessa fondazione della società d’Atlantide conduce al
termine quando l’uomo dimentica il perfetto principale. Questo periodo arriva
quando si perde la comprensione interna del nesso di ogni perfetto al perfetto
primordiale che succede alla fine dell’epoca dell’ esistenza di Atlantide di
Golokhvastov.
Il XVI cap. p. 92: culti di
Lingàm e Ioni in sanscrito — di Fallo e di Kteis in greco che erano
stati coltivati dalla Cina fino all’ Italia: grazie agli dei: Cuan, Jin, Siva,
Osiris, Dionigi, Vaal, Pano, Priapo; Culti indiani determinati il principio
maschile e il principio femminile; Solanaceae o Mandragora — culti delle pinte
di droga nell’ antichità. Linga (limgàm), sm.
Relig. Emblema di carattere fallico, consistente in una pietra cilindrica,
talora sola, talora posata su un basamento (yoni, organo femminile), nel qual
caso significa l’unione degli organi della generazione; emblema di Siva,
è anche il distintivo della setta, per molti aspetti contraria alla
tradizione ortodossa indù, dei Lingayàt o Viràsaiva,
fondata nel secolo XII. — In senso generico: membro virile. Tramater
(s. v.): ‘Lingam’: gl’indiani dànno questo nome ad un simulacro del
loro Dio Issora, che si può benissimo paragonare al Priapo e all’
Ittifallo degli antichi. Essi lo considerano come simbolo della fecondazione,
immagine della vita e della morte. Papini, 27-1120: La mia vita fu inutile
tutta e sempre, ch’io fui poco più di un lingam e di un ventre. (“Grande
Dizionario della lingua italiana”, Unione tipografico-editrice Torinese .
9/V71964.)
Prima di avvicinare il lettore
alla descrizione del culto antico del fallo Golokhvastov unisce la comprensione
invertita dell’ epicureismo, i rituali dei buddisti alla festa di Siva [Sciva] (dio induistico di
fallo) e allo stesso tempo sottolinea le immagini che provocano l’apocalisse ed
inoltre l’ autore aggiunge i simboli dei satanisti alla messa spaventosa degli
ultimi atlanti.
Passa l’uffizio gentile. E nel
vaso rotondo, con due servitori all’ ora di mezza notte il profeta senza Dio
incontra Istàr, è l’ estasi sulla faccia strapazzata e magra, i
ricci densi si vedono sopra la fronte scura; come il becco rapace è il naso
curvo; sulle labbra vermiglie e sentimentali trema il malo sorriso. La regola
di sacrilegio come la chiamata è tessuta, per il lutto, sulle sagrestie.
Lo zolfo col respiro delle uova guastata fuma. Nella mano magra il mago falso stringe l’ attrezzo di vittime il triplo coltello,… Il lettore vede l’inizio della barbarizzazione
dell’Impero Romano al suo tramonto. Egli riconosce i capi selvaggi
dell’esercito che superano gli ultimi imperatori fissi dell’ Età potente
ancora che devono riflettere le loro immagini nella miscredenza del condottiero
di Atlantide. La sfumatura, il naso dell’uccello predatore ricorda i caratteri
degli ultimi condottieri di Roma Antica.
Sul muro è sospesa la ghirlanda a serpente,
lo strappo dell’ erba è dal prugnolo col duro fogliame il purpureo delle
bacche sul marmo nero, come il sangue, brilla. Sulla volta, in alto, regnano, come il sangue, gli acuti
angoli della stella di sei estremità in corallo. Al centro del loro
tempio è l’ alto palco; sul quale in metallo colorato sta l’ idolo fuso
della statura umana, la sorgente della vita nella prefigurazione del fallo. Con
l’ ornamento delle figure grossolane ed ignominiose la coltre del palco
è ricamata intenzionalmente. Il fuoco del braciere d’altare arde appena.
Turbina e sale sino alle nuvole il fumo della mandragora e l’idolo cupo
è affumicato. La seconda parte della pagina è legata
ai culti di Siva nell’immagine di Fallo e alla divinazione del serpente in
Egitto due mila anni prima dell’India in cui ambedue hanno la sorgente, verosimilmente,
dall’ultimo periodo dell’esistenza di Atlantide. Verosimilmente l’ultima epoca
di Roma Antica e la sua influenza sul Medioevo europeo presentano l’
affinità con le ultime immagini sacrali del Regno di Atlantide e i culti
incoscienti dei popoli orientali che riflettevano in sé la memoria
dimenticata della saggezza umana.
P.
94: Belladonna — Mandragora;
E le vergini hanno fretta con la canzone, come alla
cena, di coronarsi con la ghirlanda di prugnola; e all’ onestà dell’
idolo il mago dal palco le annaffia dal sangue della pecora sacrificata. La sete delle sofferenze è diabolica per
piacere le vergini dimostrano la miscredenza attraverso la sete del dolore
masochistica e perché piacevole. Il dolore si coltiva come il simbolo
dell’inferno e della miscredenza. In precedenza la memoria della sensazione
vuole cancellare i frammenti della memoria divina attraverso il sacrilegio
coltivato della memoria della falsa saggezza umana. Egli gettò le
ebre sul carbone nella caldaia; con l’ onda navigò l’ odore della
Belladonna e tutti entrarono, come gli uccelli, nella febbre della danza… L’odore
inebriante della belladonna utilizza la distruzione della memoria divina per
vincere la memoria laica della falsa saggezza umana.
P.95: E brilla la libido negli
occhi splendenti: “Girate!…Serpeggiate!” Non l’agglomerazione infuriata degli
spiriti sotterrane sulle ali nere, alzando porta la polvere presa? “Lingam!..
Girate!”, Stringenti guai; la gente
straccia i vestiti dai pezzi; Afferrano i rami e col fischio si colpiscono dalla prugnola. Dalle ulcere i
ruscelli del sangue caldo versano, e sotto la pioggia scocciata delle punture
si inebriano gli uomini, girando come le trottole. Gli uomini ubriachi
senza memoria della saggezza umana dimenticano la vergogna. Senza vergogna essi
non svestono la roba. Essi la stracciano perché essa è lordata
già col sangue dalle zarine della prugnola. Se la prugnola di Cristo
dimostra che egli è Dio salvatore la loro prugnola simbolizza la
trasformazione della folla degli atlanti negli animali infernali contrari ai
primi uomini e agli animali terreni. Nuovamente dal vaso d’altare il pseudomago annaffia tutti di sangue in modo
rabbioso e danza egli stesso insanguinato e nudo, girando con la tempesta nella
febbre soffocante:“Confluite e vi fondete! Egli gridò il comando felice,
e la rabbia dell’ anima punzecchiò come il tiro…
P. 96: Sikèr —qui si
trova la bevanda inebriante. Sikkari (sikari), sm. Invar. Guida
indiana. Salgari, 23-75: Se ciò può farti felice, io ti
offro alla mia corte un appartamento, i miei elefanti ed i miei ‘sikkari’.
Idem, 30-12: Yanez, appena veduta innanzi a sé la pagoda, come abbiamo
detto, si era avanzato subito in silenzio alla testa di cento ‘rajaputi’ e dei
suoi fedelissimi ‘sikar’.
Adattamento dell’hindi sikàri. (“Grande
Dizionario della lingua italiana”, Unione tipografico-editrice Torinese .
9/V71964.) Il
fine del XVI capitolo ricorda il 15 capitolo del “Satiricon” dove è
descritta la cena nella casa di Trimalchione.
Saziando in abbondanza, come i
barbari di carne, ubriacando con i vini tracannati, seguono gli uomini pigri
per la danza delle schiave sotto il canto rauco delle ocarine. Gli altri
conducono le donne nude quasi, e subito sulle peli delle pantere la libido
cieca, più inebriante delle sikere è intessuta per il serpente… e
desta la delizia della bestia nei corpi… Tristemente appassiscono i fiori sulle
tavole.
Il
XVIII cap. p 102: Descrizione della colonna dello scaldabagno è
legata al culto di fallo di Ermete. Il piatto di marmo da cui sgorga la
sorgente si contrappone al condottiero dei reggimenti d’ Atlantide. La sua
barba come il piccolo triangolo con l’ inferiore angolo acuto, il sorriso e i
lunghi ricci fino alle spalle sono percepiti come il primo pericolo. Ma questo
pericolo sarà la cagione per rafforzare il pericolo reale dell’ amore
che condurrà gli atlanti peccatori all’ apocalisse attraverso l’
eutanasia dei gemelli e la nascita dell’ androgino.
P. 103: Peticantropus
— il primato, nello sviluppo fra l’uomo e la scimmia, trovato sull’ isola Java. P. 102 Rumoreggia il carro. Le enormi e pesanti ruote
scricchiolano. Come cavalli nel collare, mettendosi
nei tiri delle cinghie, passando avanti ed appoggiandosi anche alle rase, tre
neri portano (p. 103) la
gabbia grossa. Dietro la griglia fitta e forte, che è intessuta con le
croci, si tiene afferrandosi fortemente alle verghe, nell’angolo si
condensò il colosso, il pitecantropo mezzo scimmia, era il prigioniero
spaventoso, grosso e cattivo, tutto il corpo era coperto del duro pelame come
l’animale in piedi dalla foresta; scendeva la ciocca dei pelli bruni e scuri
come il grappolo peloso dal petto muscoloso; la grossa mandibola, il naso
piatto, i tratti facevano l’immagine bestiale della fronte declive e tagliata
come dalla falce; e lo splendore degli occhi caduti dietro profondamente biglia
con l’ acciaio senza vita, nascondeva la paura permanente d’ animale e con
curiosità stupida propria di tutte le bestie… l’allegria, gli scherzi
sono e l’ esplosione del riso... Gli uomini discutono dell’ animale senza
vergogna, provvisoriamente dimenticando le coppe e le donne.
Suonano le lire. La ballerina entrò. Ella, nascondendosi sotto lo
strato spesso, restò immobile in piedi vicino alla gabbia dell’ispirato.
Intorno ci fu un riso sordo. E subito dopo tutto si calmò. La
sensibilità pugnò la pinza nei cuori; segretamente bollì
il desiderio nei corpi come tritume putrefatto: con l’emozione gli ospiti
aspettano lo spettacolo mai visto. La composizione e la maniera della rappresentazione dei vizi invertiti
conducono alla sua sorgente, verosimile, che può nascondersi soltanto
nei versi successivi dal “Bellum civile” del “Satyricon” di Petronio:
(Ecco così sono le altre
sventure e i danni per ferire la pace) / Ed ecco nuova strage viene a strazar
la pace
Queritur in silvis auro fera, et ultimas Hamon
(Acquistano per molto d’oro i
predatori e crudelmente in Ammone)/ snidata dalle selve è la fiera
predace
Afrorum excutitur, ne disit belva dente
(Africano ha fretta per cogliersi
il mostro prezioso di denti) / dell’ Ammone africano, cruda belva pregiata
ad motres pretiosa; fames premit advena classes,
(per fare le morti, straniero
famelico, trasloca) / per dente che da morte; una mandria affamata
trigis et
aurata gradiens vectatur in aula,
(la tigre che marcia piedi nella
gabbia aurea) / recan le navi: ed ora la tigre si satolla
ut bibat humanum popolo plaudente cruorem.
(domani berrà, tra il
plauso popolare di folla, il sangue umano) / di sangue uman nel circo, tra il
plauso della folla.
Heu, pudet effari perituraque prodere fata,
(Ahi, è il pudore di
pronunciare il disonore fatto a gente)/ Ahi, vergogna! Dei fati svelar la
decadenza!
Persarum ritu male pubescentibus annis
(Il rito persiano, per gli anni
non maturati ancora)/ Sol sulla soglia d’una sciagurata adolescenza,
surripuere viros, exsectaque viscera ferro
(sono i sopraragazzi agli uomini,
gli castra la carne col ferro) / col ferro, all’uso perso, il maschio si snatura
in venerem fregere, atque ut fuga mobilis aevi
(alla delizia d’amore per fregare
anche la fuga dell’età mobile)/ e si nega all’amore; e mentre la premura
circumscripta mora properantes differat annos,
(La circoscritta mora in fretta
trattene gli anni)/ cerchi arrestar del tempo perché più lento
muova,
quaerit se natura nec inventit. Omnibus ergo
(ricerca se stessa la natura e
non si trova. Perché a tutti)/ la natura sé stessa ricerca e non
si trova
scorta placent fractique enervi corpore gressus
(corrotti piacciono i soavi col
gesto anche del corpo snervato anche)/ Piaccion dello snervato efebo i molli
gesti,
et laxi
crines et tot nova nomina vestis,
(e con i lunghi capelli e chiama, con tutto
l’appello dei nuovi vesti,)/ e i crini disciolti, ed ogni nuova moda di vesti
quaeque virum quaerunt.
(che all’uomo suscita (cerca). /che l’uom invita.
Il
traduttore di “Satyricon” in italiano Ugo Dottore dà la caratteristica
successiva al “Bellum civile”: Questo poemetto sulla guerra civile, povero
d’invenzioni e spesso volutamente sciato, ha fatto pensare a una specie di
parodia della Farsalia di Lucano, con cui ha molte affinità di espressione se
non di costanza chiaramente né felicemente, ed è probabile che
Petroneo abbia inteso solo dare una caricatura dell’epica di maniera, di
imitazione virgiliana:caricatura, del resto, alquanto pallida. (Petroneo “Satyricon”: editr.
Proprietà letteraria riservata 1953, 1981 RCS Rizzoli Libri S.p.A.,
Milano)
Roma Antica: la strada centrale del Foro
La
tigre nella gabbia è sostituita dal peticantropo nella «Rovina di
Atlantide» per suscitare l’estasi della folla. L’interesse romano ai ragazzi
è scarso dalla fine della prima metà del XX secolo. Golokhvastov
lo sostituisce con l’interesse per il sesso fra la donna e l’animale. Al
contrario del “Satyricon”, che è
la caricatura, la “Rovina di Atlantide” è l’epopea tragica che
composta nello stile del medioevo
temprano. Lo sviluppo degli eventi della “Rovina di Atlantide” è pieno
di eresie gentili che la riconducono all’ antichità cristiana del IV
secolo. La serietà e il desiderio affinché Dio condoni i vizi,
caratterizzano già la tendenza medioevale. Come le opere scritte nello
stile medioevale essa è piena di immagini della santità delle
croci e delle trinità che si evidenziano nelle immagini dell’Anco, delle
croci dell’uccisione dei gemelli regi, nella trinità della parole
sacrale “AUM”, nell’ipostasi triplice dell’amore, nell’unità di tre
confluenze dei gemelli, ecc. Lo stile medioevale della “Rovina di Atlantide”
è verosimilmente la ragione principale per cui l’opera non divenne
popolare né riconosciuta dalla critica né nel tempo della sua
prima edizione, né nell’epoca postsovietica.
Il XIX cap. p 107: Simbolicamente
la notte della memoria dei morti si trasforma nella notte dell’orgia selvaggia
della cieca felicità prima dell’ invasione nel tempio di Ra e l’ultimo sacerdote maledirà il popolo
d’ Atlantide nell’incoscienza.
Il XIX cap.: p. 109: Due
scuole di Budda esistono intitolate”Insegnamento del Cuore” e “Insegnamento
dell’ Occhio”in Cina e in Tibet. Il primo esoterico sale dal cuore. Il secondo,
anche esoterico, è il frutto della mentalità per differenziare la
tendenza razionalistica delle scienze. Quello non concepisce nulla al di fuori
della logica del fatto ed al di fuori dell’ intelletto, al contrario della
prima tendenza del cuore. La prima crede nel principio sopranaturale conosciuto
non solo mediante l’intelletto. Golokhvastov mostra come i testamenti della
fede divennero dimenticati e la Saggezza del Cuore è sostituita dall’
insegnamento cieco e spente dell’ occhio
delle scienze senza fede.
P. 115: Sambuca o Sabbka — lo
strumento musicale più antico nella storia umana simile all’ arpa
triangolare di quattro note. Sambuca (ant. Sambuca), sf. (plur. Ant.. anche
–ce). Mus. Antico strumento musicale siriano a corde con suono analogo a quello
della lira greca (ma considerato meno nobile) e di forma simile a quella
dell’arpa. (“Grande Dizionario della lingua italiana”, Unione
tipografico-editrice Torinese . 9/V71964.)
La ghirlanda scivolata dall’ onda
all’ onda preconizza la realizzazione autentica dei desideri; la ghirlanda
impotente caduta sul fondo a sempre porta via il tesoro delle speranze,
profetando il guaio. Aspetta l’afflizione? Chiama la felicità?
Però al cuore sbagliato non si può credere. Così era e in
precedenza e così sarà lungo tempo, così sarà
sempre. L’ umanità non sa
che è scritto nella Provvidenza. Gli adolescenti consegnano la scoperta
del futuro misterioso alla corrente del fiume che aveva la possibilità
magica della previsione perché il cuore umano sarà sempre
allontanato dall’analisi diretta delle circostanze reali è perché
non si poteva credere al cuore, al migliore frutto della memoria della
sensazione, che contrasta la memoria della saggezza umana senza pietà.
La seconda memoria diventa la vittima della volontà divina della
Provvidenza. La volontà divina vede tutto e giudica più oggettivamente
in un modo che sarà sempre inattendibile da parte del cuore umano. Gli
adolescenti utilizzano la forza del feticismo e di prevedere la decisione della
volontà costante.
In un luogo le corde della sambuca cantano con
l’appello dell’amore tremendo: le coppie degli amanti, allontanati dalle gioie
scivolano sulle vie dove le chiare sfumature giocano sulla sabbia gialla sotto
l’ombra. Allora la principessa
triste pensa soltanto del fratello. Vuole sapere il loro destino. La sua
ghirlanda navigava molto tempo e nella metà del fiume all’improvviso s’
è fermata girando.
P. 117: La principessa vede
nella sofferenza beata che tutto il fulgore dei raggi si riunisce nella
ghirlanda, la Santa Faccia del sole si riflette nel fiume col suo giro. I
raggi si concentrarono nel cerchio della ghirlanda come nella vittima cieca
innocente affinché la principessa sappia il suo ruolo e quello del suo
fratello che avranno un grande significato. Quello del loro futuro sconosciuto
suscita il sogno della memoria della sensazione, e del cuore.
Sembrava che il segno predicesse
la felicità! Ma non era lungo il mandato felice, e la ghirlanda
annegò nella carezza della luce calda. La principessa
lesse la sentenza severa nella risposta indifferente e pesante. Tutto prediceva
l’assenza del loro futuro che era destinato nella provvidenza iniziale prima
della nascita dei gemelli che dovranno giocare il ruolo delle vittime
apocalittiche. Ma il cuore continua a credere nella felicità quando la
memoria della saggezza umana e la memoria della sensazione devono sacrificarsi
per la memoria divina.
Il XXI cap. p. 121: G.
R. Tabouis, nel suo libro “The Private Life of Tutankhamon” (N. Y.,
1929) dice che il mistero della notte matrimoniale del faraone è l’ “ora
dell’ eternità”, secondo “études Egyptiennes” di Maspereau, in cui è
stato scritto: “il mio cuore si ferma quando si compie il desiderabile e quando
sto nei tuoi abbracci, o, padrone del mio corpo. Come è bella la
mia ora dell’ eternità”. Lo stesso significato ha, nel poema,
l’espressione dell’ “attimo dell’ eternità”, mediante quel concetto in
Attlantide la notte matrimoniale fu nascosto, la MEMORIA umana, nell’ unione d’
amore ottiene mediante l’ incoscienza, il sogno dell’ androgismo che regala l’
attimo dell’ immortalità agli amanti.
Le fidanzate vogliono piacere
al principe al compimento di 15 anni per avere l’onore di passare con lui il
magico attimo dell’ eternità. La principessa lo sa. Il fratello deve
giocare il ruolo del bambino come la prima prova per non permettere di unire la
memoria della sensazione, la memoria tradizionale della saggezza umana e la
memoria divina al di fuori dell’ unità inseparabile dei gemelli
nell’amore falso.
Il XXIII cap.: p. 128 Androfagi
— è il popolo che è stato notato da Erodoto. Gli androfagi
abitavano nel paese occidentale vicino al settennio dalle correnti
settentrionali dei fiumi il Dnepr e la Volga sulla carta delle migrazioni dei
popoli, secondo Erodoto. I commenti notano che quelle terre erano deserti. La
seconda volta per provare la forza dell’ amore dei gemelli Dio gli invia
l’ambasciatore perfido degli androfagi affinché il barbaro e il capo dei
reggimenti rapissero la principessa, affinché il principe la salvasse
prima della terza prova ultima della morte. I gemelli aspireravano all’unico
scopo poco tempo prima della seconda prova.
Il XXIV cap.: p. 132: 1. Soma
— la bevanda inebriante secondo gli inni delle Rig-Veda, “indra” ecc. (International Theological Library. George Foot
Moore: History of Religions. Religion of the Veda. New York, 1920); Fra i libri polverosi nel Tempio della Conoscenza il
sacerdote supremo trovò una pergamena antica e scura mangiata dai vermi.
Essa era coperto dai manoscritti colorati. L’ inchiostro era fioco e
l’ornamento era perso il colore. Ma
il suo senso nascosto dei segni misteriosi era, come la voce suprema dall’
oscurità dei secoli, la chiarezza della verità che era come il
fuoco nella bevanda della Santa Soma. questa sorgente della conoscenza
dell’ immortalità esisteva come la Somma per la natura bilaterale dell’
umanità.
“Æèâóùèì — ìèð! À ìèðó íàïèñàíüå,
Êàê çàïîâåäü, êàê âåðíàÿ ñêðèæàëü
Òåõ âå÷íûõ òàéí, ê êîòîðûì ïðèêàñàíüå
Äëÿ ñìåðòíîãî è ñ÷àñòüå è ïå÷àëü,
Â÷åðà, â ìîé ñðîê ìîëèòâû åæåäíåâíîé
Ìîëèëñÿ ÿ, câåòëî
ñèíåëà äàëü,
Íî òðèæäû ãðîì ïðîø¸ë â ëàçóðè ãíåâíî,
Íàñêðûëñÿ íåáà öàðñòâåííûé ÷åðòîã
È òðèæäû ãîëîñ çâàë ìåíÿ íàïåâíî,
Êàê áóäòî
çâîíêî êëèêàë äàëüíèé ðîã:
“Î÷íèñü!
Âîñïðÿíü! Âíèìàé!” È àòìû âçîðîì
Óâèäåë ÿ,
÷òî â Ëèêå Ñîëíöà — Áîã…
Ai vivi
pace! Ma al mondo la Scrittura! Come il testamento, come il manoscritto sacrale
dei misteri ai quali il tocco è e la felicità e la tristezza al
mortale …Tre volte il tuono ha passato nell’ azzurro sdegno, s’ è aperto
il regno celeste e tre volte la Voce mi ha massaggiato cantabilmente come mi
chiamava il corno sonoro: “Ritorna in te! Alzati! Ed ascolta!” E ho visto le
atme dallo sguardo che, nel rostro del sole, è il Signore…
Ð. 133 Le
visioni della bellezza non di qua, si ricordavano come le riflessioni del
tesoro invisibile negli abissi del vuoto…
Òîãäà-òî
ìíå, íå â ÿâü è íå âî ñíå,
À â ãð¸çå
ñëàäîñòíîé ìåæ ñíîì è áäåíüåì,
Íà ëîòîñå
ÿâèëñÿ â âûøèíå
Ñàì
ñâåòëûé Áîã íåæèçíåííûì âèäåíüåì!
È ÿ,
ïðîçðåâ, ïîñòèã áåññìåðòüÿ ñóòü.
Íî
ñêðûëîñü âñ¸… Ñòðåìèòåëüíûì ïàäåíüåì
Äëÿ äóõà
áûë â íàø ìèð âîçâðàòíûé ïóòü.
Allora per me, lo Stesso Dio
lucido, mai visto in vita, è venuto nell’ altezza non nella
realtà e non nel sonno ma attraverso la previsione dolce fra il sogno e
l’ attualità sul lotos! Ed io, divenendo non cieco, ho conosciuto
l’essenza dell’ immortalità. Ma ha scomparso tutto… Con la caduta impetuosa allo spirito era, al
nostro mondo, il ritorno. Così Golokhvastov descrive la
sincerità divina che, nella storia successiva dell’ umanità, si
presentava ai profeti in modo simile a quando l’immagine di Dio sarebbe
divenuta comune a tute le anime. Questo pensiero è, abbastanza
precisamente, formulato con Boezio nella “Consolatione della filosofia”.
È concezione comune degli animi
umani che Dio, autore di tutte le cose, sia buono; ed invero, poiché NON
V’ è NULLA CHE POSSA ESSER PENSATO MIGLIORE di DIO, dubiterà
forse alcuno che sia buono quel di cui nulla è migliore? Ma la ragione
dimostra in tal modo che Dio è buono, [25] da convincerci che in lui
inibita pure il bene perfetto… il bene perfetto è vera beatitudine:
pertanto la vera beatitudine è necessariamente nel sommo Dio… (Boezio “Consolazione della filosofia”,
III, 10, 21-25.., 30-31)
Dio creatore, rimanendo immoto, è il motore dell’universo, e
tutto lo governa con leggi eterne e razionali; tale governo del mondo è
ispirato esclusivamente dalla bontà e si manifesta mediante un
ininterrotto rapporto armonioso delle singole parti tra di loro, rese vitali
dalla presenza dell’anima cosmica, che tutte le pervade. Quest’anima, che
è all’interno del mondo, è da intendersi alla maniera
platonica come principio eterno di vita
e di moto (cfr. il passo, fondamentalmente per tutta l’esegesi neoplatonica, di
Phaedr. 245 c sgg.)… (“La
consolazione della filosofia” di Severino Boezio a cura di Claudio Moreschini (p. 41), Unione Tipografico-Editrice
Torinese.) Se l’ordine universale è realizzato nella
forma che ne è percepita soltanto da noi non significa che la
realizzazione imperfetta non ha l’altro scopo falso per perfezionare qualche
più importante di noi. Se Dio è il perfetto assoluto nessun altro
può fare alcunché meglio di Dio. Chi pensa diversamente sbaglia
sempre. L’ultimo sacerdote supremo di Ra comincia a pensare che egli potrebbe
fare meglio di Dio dopo della visione della sincerità divina. Se la sua
anima fosse più vicina a Dio egli rifiuterebbe il mistero dell’
immortalità come Atlasso ed in precedenza, secondo la provvidenza
suprema, non sarebbe nato alla fine dell’ esistenza di Atlantide. Ma l’anima
dell’ultimo sacerdote, da Dio, era più lontana dell’anima di Atlasso
perché questa è stata scelta da Dio affinché quella
diventi l’educatore dei bambini e quindici anni dopo per crollare alla prova
della sincerità divina dopo della lettura del santo manoscritto. Essa
desiderò fare meglio di Dio, pensando che essa stessa è il
perfetto assoluto. Perché il sacerdote diviene la vittima cieca non di
Dio però-- di se stesso come è formulato nella Provvidenza ed
incarnato e realizzato automaticamente con la volontà divina del
destino.
Non devi supporre che quel Padre di tutte le cose abbia ricevuto dall’
esterno quel sommo bene di cui viene detto pieno, né che lo possieda per
natura, [40] ma in modo tale da pensare che sia diversa la sostanza di Dio che
la possiede e della felicità che ne è posseduta. Infatti, se tu
ritieni che l’ abbia ricevuto dall’ esterno, potresti considerare più
eccellente chi l’ ha ricevuto; ma noi giustamente riconosciamo che Dio è
senza confronto eminente sopra tutte le cose. Se poi il sommo bene inerisse in
Dio per natura, ma fosse da Lui [45] concettualmente diverso, dal momento che
parliamo di Dio che è dominatore di tutte le cose, si immagini chi ne
è capace chi abbia congiunto insieme queste diverse realtà.
Infine, se qualcosa è diverso da una qualsiasi altra, da cui per
definizione è diverso; pertanto, quel che è diverso per propria
natura dal sommo bene, non è il sommo bene; ma è mostruoso pensare
questo di Colui [50] del quale sappiamo nulla esser più eccellente. E in
verità di alcuna cosa non potrà mai esser migliore del suo
principio; vorrei perciò concludere con un’ affermazione verissima, che
quel che è principio di tutte le cose è anche per sua stessa
sostanza il sommo bene.” “Giustissimo!” esclamai.“Ma abbiamo riconosciuto che il
sommo bene è la [55] felicità.” “E’ così risposi. “Dunque
si deve necessariamente ammettere che Dio è la felicità stessa.” (Boezio “Consolazione della filosofia”, III, 10,
36-56)
… solo Dio costruisce il vero e massimo bene… In sostanza, come si
può dimostrare che il summum bonum, che costruisce il telos della vita umana,
è Dio?… (p. 41)… Da
nessuna parte, finora, era stato detto che esiste un fons bonorum, e questo
perché l’origine di tutti i beni è Dio,.. Orbene, nella
discussione precedente era pur sempre emerso che nella felicità
consisteva il sommo bene degli uomini, anche se gli altri beni terreni
apparivano soltanto come beni parziali e non si identificavano totalmente con
essa né la procuravano in modo assoluto… Poiché non possono
esistere due realtà somme, se ne deve concludere che, anche per l’uomo,
e non solo considerato ontologicamente
in sé, Dio si confronta e si presenta come summum bonum e quindi si identifica con la
felicità. Infatti, prosegue Boezio, gli uomini, partecipando a tale
felicità, che si identifica con il sommo bene, diventato, in un certo
senso, partecipi di Dio: una affermazione, questa, densa di significato, che porta
alle estreme conseguenze la riflessione sul concetto di partecipazione, che era
stato tipico della scuola platonica e a cui si era interessato anche Agostino.
Studi aspetti neoplatonici di questa dottrina boeziana hanno insistito in modo
particolare Courcelle ( “La consolation etc. cit., pp. 170-172), che osserva
che, comunque, è Plotino, non Agostino, a sottolineare l’identificazione
fra dio e il bene (Enn. I, 4), e Chadwick (op. cit., pp. 297-298), che vede
spunti di questa dottrina anche nelle opere logiche di Boezio stesso (cfr. de
interpr. Sec. 42, 3-6;
opusc. III, 93). Cfr. inoltre August., de vera redig., 32, 60. (p.
42) (“La consolazione della filosofia” di Severino Boezio a cura di Claudio
Moreschini, Unione Tipografico-Editrice Torinese.)
Le tragedie di tutte le anime umane e la loro
fatalità, come quella dell’isola verde di Atlantide, sono caratterizzate
con l’assenza collerica della comprensione della realtà: qualsiasi cosa
riceve una porzione del bene e lo conosce peggio della sorgente di Tutto il
Bene dalla quale, sempre è minore rispetto al Tutto, riceve in qualche
tempo e in qualche spazio. Il nostro peccato universale è questa assenza
collerica della comprensione che qualche parte di tutto è sempre minore
dell’ insieme. Come tutti noi l’ultimo sacerdote non potette reggere alla prova
più difficile di tutte le altre.
P. 133: La teosofia
contemporanea è fondata sullo gnosticismo e sul culto orfico. Essi
riflettono l’ insegnamento religioso e filosofico dell’ India. La teosofia di
tutte le grandi religioni è concentrata nella Divinità che
è, nella sua entità, infinita e perfetta al di fuori della
comprensione umana, del ragionamento e della conoscenza che è sempre
impossibile da conseguire al nostro stato quotidiano e allo stato della
profezia. Dio disegnò il circolo delle creazioni, al cui interno
creò il cosmo separò sé e la creazione. All’ interno dei
limiti è evidente quello che potremmo conoscere di Lui. Dio, che si
realizza negli atti delle creazioni, è conosciuto sotto il nome di Logos
o Fohat, che è la Divinità o il Fuoco. Come la Trinità
cristiana, il Logos si svela agli uomini in tre ipostasi, e ci sembra separato,
ma è, nella realtà, l’ unico. Queste tre ipostasi si chiamano l’
Attività, la Saggezza e la Volontà innalzate da tre potenze. L’
Attività crea la materia, la saggezza regalata alla materia, la forma e
la Volontà che animano la materia formata. La Volontà costituisce
il processo dell’ evoluzione. L’ energia della Volontà è sempre
la Monade, il lustro subito, lo splendor divino, la parte del Fuoco Divino e
del Logos-Fohat.
Golokhvastov sottolinea che il
profeta Atlasso era impotente ad alzare il sogno con le ali di aquila
come Dante Alighieri era alzato con l’ aquila (aguglia) nel sonno: come folgor discendesse, e me
rapisse suso al foco (Purg.,
IX, 25-26). Invece, la sincerità divina sulla pergamena diviene chiarore
improvviso all’ultimo sacerdote di Ra che è accecata dalla stessa
Provvidenza, non come il lustro rapido dal XXIX canto del “Purgatorio” della
“Divina Commedia”, che lo accecò in senso contrario rispetto a Dante. Di
quel lustro rapido (chiarore improvviso), che nella vita si spegne con la
stessa rapidità con cui si accende, di quel miracolo scrive Dante
Alighieri nel Paradiso terrestre dalla strofa 16 fino all’ultima del XXIX canto
del Purgatorio:
Ed ecco un lustro subito
trascorse
da tutte parti per la gran foresta,
tal, che di balenar mi mise in forse.
Ma perché ‘l balenar, come (appena) vien, resta (cessa),
e quel, durando, più splendeva,
nel mio pensar dicea: “Che cosa è questa?”
E una melodia dolce correva
Per l’aere luminoso; onde buon zelo (giusto amore)
Mi fe’ risplender (rimproverare) l’ ardimente d’ Eva, (il
desiderio di essere disubbidiente)
che fa dove ubidia la terra e il
cielo…ecc.
mi rendei : tornai a camminare in direzione di levante. Frate:
fratello (Purg., IV, 127). un lustro: un chiarore improvviso (subito).
Tal che: tale, che mi fece, a un fratto, credere che balenasse. (“La Divina Commedia” p. 3(p. 683);ristampa anastatica dell’editore
G.C. Sansoni, Firenze 1922,1988)
Come
Eva, il sacerdote di Ra, dimorante nel paradiso terrestre di Atlantide,
desidera più di quello che ha e farà il peccato più grave
di Eva e dovrà pagare per la realizzazione del suo desiderio dopo della
lettura del manoscritto accecante..
Il sommo,
dell’Attività, della Saggezza e della Volontà è,
secondo Golochvastov, il Logos stesso, la Parola-Verbo.
Il
XXVI cap.: pp. 144-146: 1. L’essenza interna dell’ inno all’ AUM è
stata descritta nell’ articolo speciale di Iliàscenko, stampato dopo la
spiegazione alla fine del libro. 2. I significati simbolici dell’ AUM
corrispondono alla Divinità e sono stati presi dalle Upanisad.
Nel tempio sotterraneo fra i
sarcofagi dei supremi sacerdoti anteriori il protagonista dell’ opera
iniziò la sua preghiera dedicata al suono AUM l’essenza del cosmo, la
triplice della divinità per avvicinarsi all’Essere Divino: Nel
linguaggio è il misterioso e davvero l’ unico, il meraviglioso suono, la
madre di tutti i suoni! Tutto è legato alla sua natura … … Se lo scopo
della conoscenza della Divinità è
unico o bino nella trinità del suono, come di tre note la corda tesa dell’ arco,
come da due fini, all’ unica curvatura dell’ arco, è l’ anima, la
freccia di penna. È la ripetizione come in precedenza, nuovamente anche
ancora, la parola che conduce all’ altezza, di tutte le preghiere, in essa sta
la lode antica; in essa, tra tutti gli inni, è il fuoco maestoso, tutto
il Testamento dei pensieri santi e rigorosi, in essa è Lui stesso senza
morte, senza nascita, i tre nell’ uno a cui si intitola Aum…l’ inconcepibile
all’ anima quando tace la mente umana è davvero l’ Aum… ecc.
Il XXVII cap. p. 147. … Le
rovine irsute e grigie erano sospese come le ciocche canute. La polvere ricopre
senza mercé la lapide del trono; la ruggine strisciante corrompe gli
attrezzi. La cella respirava con la stagnazione morta. Io entrai, tenendo la
fiaccola in alto. E nella trepidazione debole del suo fuoco intorno a me dall’
oscurità mi guardò qualcuno col sorriso immobile e povero degli
zigomi: Lo spirito della cella portava in se stesso il pericolo. L’ultimo
sacerdote lo ha presente ma è accecato dal desiderio di scoprire il
mistero. Così vuole il destino.
La colonna vertebrale dello scheletro giaceva in
ginocchio nella cenere, e il cranio terribile stava cola nello splendore della
luce, guardano dalle sfere oculari splendenti e vuote. Il corpo in ginocchio dell’uomo che era degno del
tempio sotterraneo. Questo fatto doveva spaventare l’ultimo sacerdote supremo
prima di scoprire il mistero doveva meravigliare e spaventare vedendolo.
P. 148: Chi è
l’otturato? Chi conosceva il cammino proibito e nella cella stretta della gola
della roccia ed incontrò la morte? Chi è dimenticato nell’
oscurità dei tempi vicino ai sarcofagi e privato della sepoltura? Perché
preferiva a morire così da percorrere l’itinerario proibito all’
immortalità?
“Tu sei questo profeta, le tue parole bruciavano il
cuore con l’estasi come i carboni? Non tu, compiendo la rinuncia, hai nascosto,
nella carne della terra natale, il mistero dell’ immortalità per
lasciare, nella tomba silenziosa e scura, la paura sacrale e il lotto dei
dubbi?”
Egli
capisce di avvicinarsi all’ immagine miracolosa di Atl+asso che era da
considerarsi indegno all’ esistenza immortale o doveva esistere l’ altra
ragione per realizzarlo quando bisognerebbe condannare l’ umanità? O per
lasciare la soluzione del mistero a qualunque individuo più DEGNO della
scoperta? Perché? Per giudicare l’ umanità?
E qua, dove hai passato gli anni nel silenzio solo
con la tua Grande Visione, la tua Miracolosa Immagine non viva, eterna, come il
pensiero, è invisibile? Mi minaccia il tuo cranio giallo, tacendo,
ugualmente nascondi le parole del Testamento, le chiavi dell’essere? O sei
contento con l’arrivato? O vuoi sussurrare senza suoni di quello che è
ora come sempre inseparabile dalla stessa morte?… E così mi faccia il
segno ed affida il mistero!” L’ anima
IMMORTALE di Atlasso doveva aspettarlo ed essere felice al suo arrivo?
Inclinandomi beato toccai la testa dello scheletro.
E la luce della fiaccola cade sull’amuleto, nascosto nella polvere, splendente
dalla catenella.
P. 148: La descrizione dell’
amuleto interpreta i disegni e le statue in cui la divinità indiana di
molte facce e di molte mani è stata evidenziata nell’ unità del
principio maschile e del principio femminile. Essa è stata esposta nel
momento dell’ abbraccio d’ amore di se stesso con molti mani.
La perfezione divina allora
abbraccerà sé e nessun altro. Qui si celava la chiave alla
soluzione dell’ enigma perché l’Androgino perfetto e chiuso nella sua
completezza e nella sua felicità sarà indifferente alla penna
degli uomini nell’ apocalisse.
P. 149: Attorno al torso di
Dio si trovano le mani incommensurabili che giacciono con lo splendore, come i
raggi del sole, e tengono gli archi della vendetta e le spade della vittoria.
Duplicandosi, triplicandosi, si moltiplicano i rostri nell’ Unica Faccia del
Signore dei signori…
Le mani che tengono gli archi
della vendetta dovevano raffreddare ciascuno ma non colui che era accecato
dalla volontà della Provvidenza.
P. 149: Il contenuto della
scrittura sull’ amuleto è la libera interpretazione di due citazioni
attribuite a Clemente Alessandrino (XII -2)”… Il Signore stesso, interrogato:
Quando verrà il Suo regno?,
disse: “Quando due si
trasformeranno in uno, quando l’esterno sarà come l’ interno, e quando
il maschile con la femminile sarà né maschile, né
femminile”. — Secondo il Vangelo degli Egiziani, risponde Clemente Alessandrino
alla domanda di Solomea da quanto a lungo domina il potere della morte? Il
Signore esclamò: “Fino al tempo, in cui voi, donne sarete generate dai
figli; Io venni per distruggere l’ affare di moglie”. E alla domanda: “Quando
questo succederà?” il Salvatore parlò: “Quando voi romperete i
costumi della vergogna, quando due saranno uno, e il maschile con la femminile
sarà né maschile, né femminile” (G. R. S. Mead: “Thrice
Great Hermes.” Vol. 1 page 153, 1906, London.)
Clemente Alessandrino Apostolico
si identica a Clemente Alessandrino del II secolo D.C. morto prima del 215 D. C.
scrittore e pensatore fatto il suo fine di sintetizzare ampiamente la cultura
ellenica e la fede cristiana diventa il predecessore del pensiero temprano
bizantino. (S. S. Avèrintsev: “Poetica della temprana letteratura
bizantina” (p. 325) , Mosca, Coda 1997) La
sua idea parla che quando cesserà la circolazione quotidiana
verrà l’ apocalisse degli immortali.
E l’infaticabile Chronos, nell’eterna
corrente, gravido, scorre, partorendo
se stesso; e le orse gemelle
nei loro slanci; veloci
sorvegliano il di Atlante.
Nato da te, nel turbine celeste
Intessi la natura delle cose;
intorno a te la luce,
intorno la cieca notte scintillante,
intorno la folla indistinta degli astri,
continua intorno a danzare.
La lettura del contesto in cui Clemente inserisce la citazione dei due
frammenti, chiarisce che le due immagini non sono affatto assimilabili l’una
all’altra: la differenza sta nelle due concezioni del tempo espresse nelle
figure di Chronos e di Aion (Eon)…
Nel primo dei due frammenti anapestici riposati, Clemente cita il passaggio
dal “Peritoo” sul tempo-Chronos, che instancabilmente “partorisce se stesso”,
come prefigurazione di un’allegoria istoriata sulla sacra arca di Mosè,
dove viene rappresentato il moto dei Cherubini intorno al polo che non subisce
moto, immagine di Aion (Eon), l’Eterno. Così il contesto di Clemente che
introduce la citazione:
Le figure rappresentate sulla
sacra arca rivelano le cose del mondo intelleggibile che è velato e al
più precluso. Proprio quelle figure d’oro, ciascuna con sei ali (come, sull’amuleto di Atlasso il dio seduto ha
sei mani trasformate nell’ eternità), rappresentano sia le due orse —
come vogliono alcuni — sia, come pare preferibile, i due emisferi (due gemelli separati). Il nome di Cherubini vuole
significare un’ampia conoscenza: entrambi hanno dodici ali, e significano,
mediante il cerchio dello zodiaco, e il tempo che scorre con esso, il mondo
sensibile. Credo che così dice anche la tragedia che ragiona sulla
natura delle cose… (Clemente, Stremata V 35). Agli angeli dalle sei ali dorate dei testi sacri
corrisponde nei versi tragici, il moto incessante di Chronos che si trasmette
alle due Orse “alate, veloci” (1)(come il
principe e la principessa che prendono la decisione di morire subito attirati
alle croci di vittime con le ali come due Orse, due emisferi che non possono
essere separati e pieni di se stessi conducono all’Apocalisse), ovvero ai due emisferi,
allegorie del mondo intelligibile, che ruotano intorno all’ immobilità
assiale di Aion (2) (così l’unità di entrambi è
rappresentata nell’androgino con l’anima immobile ed indifferente al mondo
materiale). Nota Clemente che “il polo di atlante impassibile può essere anche
la sfera delle stelle fisse, o forse è meglio intenderlo come l’
Eternità immobile”.
Il tempo-Chronos è dunque figura del tempo che non può
fermarsi (come non si può evitare la
fine profetizzata di Atlantide come non si può fermare l’ultimo sacerdote
accecato) e instancabilmente si autoriproduce: il moto di Chronos acquista
evidenza per contrasto con la fissità immutevole dell’asse attorno a cui
girano le Orse. Atlante sarebbe dunque, già alla fine del V secolo,
figura dell’axis mundi. (3) 1, 2, 3 (“ATENE ASSOLUTA” Crizia dalla tragedia alla
storia. Monica Centenni. Saggi di antichità e tradizione classica.
Capitolo I, II “Timeo” e “Crizia” Collana diretta da Lorenzo Braccasi,
Francesca Ghedini e Alessandra Coppola (pp. 131-135).
Federa editrice, Padova, 1997)
L’idea si interpreta
dall’intaglio della scrittura sull’amuleto dell’eroe apostolico, lo stesso
Clemente Alessandrino, che predice la fine del mondo alla regina Solomea in
Egitto:“Quando riuscirete, voi, Figli Divini, a calpestare le veste della vergogna
nelle ceneri, come l’ autunno calpesta il tappeto delle foglie; quando non
carne e non donna madre regaleranno la nascita ai vostri figli; quando i due
saranno l’uno, come nel grano, come nel cerchio confluito da due emisferi;
quando tutto sarà all’interno come all’ esterno l’ unico; quando non
femminile e non maschile divenendo maschile e femminile si fondarono senza
tracce, allora soltanto la vita brillerà vittoriosamente e la Morte
perderà i diritti violenti.”
L’ultimo sacerdote di Ra doveva
presentire il pericolo. Lo avvertì nel capitolo successivo ma non
potette cambiare nulla perché la vittima di due emisferi nel ruolo
dell’Androgino doveva compiere tutto ciò che era formulato dalla
provvidenza posto che il sacerdote era un peccatore come tutti gli atlanti.
Boezio caratterizza più
concretamente i concetti della provvidenza e del destino e determina i loro
legami che si evidenziano nel nostro mondo in modo che aiutassero a capire
molti atti simbolici dei protagonisti della “Rovina di Atalantide”.
L’ origine di tutte le cose, l’evoluzione delle
nature in divenire, [20] e tutto ciò che in qualche modo si muove,
traggono le loro cause, l’ordine e le forme dall’ immutabilità della
mente divina. Essa, raccolta nella roccaforte della sua semplicità,
determina la molteplice modalità in cui gli eventi si svolgono. Questa
modalità, quando la si considera nella purezza stessa dell’intelligenza
divina, viene detta provvidenza; quando invece [25] la si riferisce agli esseri
che muove e dispone, è stata chiamata fato dagli antichi.
(Boezio “Consolazione della filosofia, IV, 6, 20-89)
L’opera si presenta come un dialogo, nel corso del quale la Filosofia,
apparsa improvvisamente allo scrittore come in una visione, gli mostra che le
sciagure che lo hanno colpito, inserendosi, come quelle di tutti gli altri
uomini, anzi, come qualunque fatto umano, in una realtà retta e
governata dalla Provvidenza divina per il meglio, a ben considerare non
richiedono commiserazione, ma una personale e convinta adesione al volere di
tale Provvidenza…. (1)
La Provvidenza predispone tutto ciò che esiste
e non esiste nella realtà. Il fato consiste nel governo della
Provvidenza delle cose materiali e del destino (fato) di tutti i personaggi
reali. La loro diversità apparirà evidente
a chi penetri con la mente la loro reciproca capacità operativa; la
provvidenza infatti quella stessa
ragione divina, riposa nel sommo Sovrano di tutte le cose, che tutto dispone;
mentre il fato è l’ assetto inerente alle cose mutevoli, [30] per mezzo
del quale la provvidenza inserisce ogni cosa nel proprio ordine. Per
spiegare l’esistenza del bene e del male si deve passare all’esame delle due
forze, apparentemente contrastanti, che regolano le vicende di tutti: la
provvidenza e il fato… (2)
La provvidenza ha le anime di Atlasso, dei gemelli,
dell’ultimo sacerdote, ecc.., prima dell’incarnazione di tutti e di ciascuno.
Il fato è come il mezzo mediante il quale la provvidenza fa nascere
ciascuno nel proprio tempo per avere il destino che è già scritto. La
provvidenza pertanto abbraccia egualmente tutte le cose, benché diverse,
benché infinite; il fato invece muove le singole cose secondo che sono
distribuite nei diversi luoghi, nelle diverse forme e nei diversi tempi. La
provvidenza e il fatto sono esattamente due facce della medesima realtà:
la prima è la razionalità, fondata in Dio, che tutto ordina in
modo conforme alla semplicità e alla immobilità del suo essere
stesso; il fato è il medesimo ordine, considerato, però, dal
punto di vista del mondo; esso significa il molteplice intrecciarsi di tutte le
cose che divengono e si muovono: tutto quello che è sottoposto al fato
è sottoposto anche alla provvidenza, perché il primo è
subordinato alla seconda. Provvidenza e fato dispongono la vita dell’uomo,
perché Dio conosce in anticipo il bene e il male. (3).1, 2, 3 (“La consolazione della
filosofia” di Severino Boezio a cura di Claudio Moreschini, Unione
Tipografico-Editrice Torinese.) Nella
provvidenza esistono tutte le variazioni dei fati. Esiste il destino in cui gli
atlanti non divennero assai miscredenti ed invertiti. Si presuppone il destino
in cui i gemelli risorgono nell’unico uomo corporeo, anche c’è il
destino del fato presupposto che potesse realizzarsi dove essi nascono nelle
famiglie diverse per incontrarsi nella vita quotidiana e per non incontrarsi
mai. Anche il sacerdote potesse nascere nelle epoche diverse appartenuto agli scopi numerosi come potesse
cambiare la sua scelta tra la conseguenza l’ immortalità e la saggezza
per lasciare il mistero pericoloso come fece Atlasso. Se egli rifiutasse di
ottenere l’ immortalità attraverso il suicidio che farebbe l’assenza
della possibilità della sopravivenza della prima società umana? E
questa variazione delle decisioni è evidenziato all’interno della stessa
provvidenza come del tutto imprevisto. Così
il dispiegarsi dell’ ordine temporale raccolto in unità dinanzi allo
sguardo della mente divina [35] è provvidenza, mentre il medesimo
complesso, distribuito secondo la successione temporale, viene
chiamato fato. Il fato
dà la possibilità della scelta agli esseri ragionevoli. Tuttavia
vince la linea principale della provvidenza al contrario della
possibilità della scelta quasi mai realizzata perché Dio non
sbagliava mai quando regalava ogni incarnazione perciò Atlasso
rifiutò il mistero dell’ immortalità e salvò il mondo ma
l’ultimo sacerdote non lo fece al contrario della possibilità che gli
suggerivano esplicitamente i fattori dell’apocalisse.
“Pur essendo essi diversi, sono tra di sé
interdipendenti; l’ ordine del fato deriva infatti dalla semplicità
della provvidenza. E come l’artefice dapprima concepisce nella mente la forma
dell’opera che vuole realizzare e dopo [40] la porta a compimento, sviluppando
in diversi momenti di tempo quel che aveva unitariamente contemplato dentro di
sé, così Dio mediante la provvidenza dispone in maniera singolare
e immutabile quel che deve essere fato, e dopo mediante il fato sovrintende
all’attuazione nella molteplicità e nel tempo delle cose che aveva
preordinato. Pertanto, sia che il fato si compia [45] per
l’ opera di spiriti divini al servizio della provvidenza,… (1) Il fato
si manifesta mediante tutto ciò che è previsto e contraddetto. La
provvidenza predispone comunque tutto, indipendentemente da come contraddice la
possibilità della scelta, per condurre la società d’Atlantide
alla fine della sussistenza. Golokhvastov verifica questa teoria filosofica di
Boezio in modo pittoresco e con una maestria. La provocavano due stelle cadute
sopra il tetto del palazzo regio, canzone della bambinaia che vuole salvare i
gemelli dal destino terribile del loro fato e l’obbliga a cadere senza
coscienza dal rito prima della loro vittima, il contrasto fra i desideri
dell’ultimo sacerdote nel giorno della nascita dei gemelli e dopo: la scoperta
del mistero dell’ immortalità nel tempio sotterraneo, la sete
insaziabile del condottiero perfido e lussurioso che lo induce a rapire la
principessa con l’ambasciatore dal regno barbarico, ecc..
“Ne
consegue che tutte le cose sottoposte al fato sono pure soggette alla
provvidenza, alla quale è soggetto lo stesso fato. [55] Però
alcune delle cose che soggiacciono alla provvidenza trascendono il corso del
fato, e sono quelle che, stabilmente fisse vicino alla prima Divinità,
si collocano al di fuori dell’ordine inerente alla mutevolezza del fato… [69] (2) L’immagine dell’ inseparabilità dell’unica
anima dei gemelli è molto vicina alla prima Divinità con la
memoria della migliore sensazione
malgrado la sete corporea proibita dalla natura. Essa si colloca al di
fuori delle leggi interne ed esterne anche al cambiamento del destino del fato
e preferisce che la morte violata sostituisca la mutevolezza l’unità
inseparabile della loro anima che utilizza la provvidenza come il fato
inevitabile. Come dunque il ragionamento sta all’intuizione,
[70] ciò che viene generato a ciò che è, il tempo all’
eternità, la circonferenza al centro, così il corso mutevole del
fato sta all’ immobile semplicità della provvidenza. (3) 1, 2, 3 (Boezio “Consolazione della filosofia, IV, 6,
20-89)
L’infanzia, il passaggio
all’adolescenza che svela il loro amore nato prima della loro incarnazione, la
comprensione dell’assenza della possibilità di vivere insieme, l’arrivo
della principessa all’ultimo sacerdote e la loro eutanasia dopo il consiglio di
essere l’unica anima, la perdita del sangue sulle croci attraverso le
sofferenze infernali con i timbri della dimenticanza, della cecità,
della sordità e l’indifferenza a questo mondo e l’unificazione
nell’Androgino Cieco, Sordo e Indifferente, avuto tutte le caratteristiche
della loro esistenza vicina alla prima Divinità non sono che le ruote
interne dell’ assi. Essi diventano meno mobili e più vicini all’asse
ideale che era stato creato ed inviato da Dio sulla terra per
concludere ciò che era previsto e lasciato sullo
scheletro di Atlasso sino alla scadenza inevitabile. Golokhvastov fa la domanda
automaticamente: L’asse immobile, cieco, sordo, indifferente è divino? E
la Divinità è immobile e perfetta in se stessa?
Il XXVIII cap. p. 150: O
maledizione dell’ inamabilità primordiale degli uomini, io la sentivo
soltanto con l’ anima triste, come la
luce attraverso la pellicola delle palpebre calate; per l’afflizione ostile
all’ essenza della creazione io cercavo inutilmente la soluzione salubre e il
titanio e pigmeo uomo mi sembrava lo sbaglio miracoloso del mondo.
Il sacerdote supremo di Ra
presentiva che l’ uomo è l’ errore. Egli come tutto si individualizza e
si separa dal mondo comune pensando che egli stesso non gli apparteneva. Ma non
era così. Attraverso l’idealizzazione di se stesso la provvidenza
realizzava tutto ciò che aveva previsto il primo profeta Atlasso.
Verosimilmente, Atlasso riusciva a non isolarsi dal mondo. È
perché egli rifiutò la sua immortalità presentendo il pericolo
della violazione delle leggi universali, posto che nessun uomo è
perfetto e capace per fare questo. Il sacerdote supremo di Ra non capiva che
ciascun’ immortale non verrà mai Dio che si vede dopo la morte
perché la sua vita eterna lo legherà all’imperfezione di questo
mondo alla dipendenza dal suo stesso nome, dalla percezione imperfetta dell’
umanità, dall’ impossibilità di decidere i conflitti umani. E se
l’apocalisse non si provocasse l’immortale
si alzerebbe soltanto sopra l’ umanità miserabile e non attingerebbe la
verità del Paradiso Divino. Soltanto la debolezza e la mortalità
alzano l’uomo sopra gli angeli. Tutto il XXVIII capitolo è dedicato alla
comprensione di come l’uomo imperfetto non deve essere spostato, allontanato
dalle sue mancanze e compatto alla perfezione falsa fermato lo sviluppo divino
attraverso l’ immortalità fatale.
Il XXXI cap. p. 161: Cinotaphe
è la tomba vuota o qualche monumento. Un mausoleo canuto di sette
angoli stava fra le querce eterne vicino ad Atslano sulla pianura. Molto tempo
fa il mausoleo era da considerarsi il mistero antico. Col passare dei secoli le
colonne diventavano più pesanti e vetuste una è caduta sotto la
pesantezza del tempo. Le colonne si sono inclinate.
Nell’ intaglio del lavoro abile e sottile sulla
pietra dura scorre la Cinotafe: sono i disegni dell’ essere, dei combattimenti
e della caccia: qua col collo lungo è la giraffa graziosa che scappa,
salvando sé in modo ridicolo, dalla nuvola delle freccie volanti; qua
è il lotto degli Atlanti minacciati ai nemici, e il capo dei reggimenti,
sopra il mucchio dei corpi uccisi, sta in piedi vittoriosamente bello e
audace;… La descrizione de mausoleo
fa ricordare gli ornamenti delle rovine dei monumenti della Grecia Antica.
P. 162: Lì è pittata
la festa della mietitura e le preghiere al dio Ra. Albeggiava. Si
scioglieva la nebbia dell’alba.… Sotto il sicuro passo tremava la terra,
e con i rintocchi minacciosi delle arme i reggimenti arrivavano da tutti i
lati, sollevando la polvere. Vicino alla tomba oggi, è fissata la
riunione dell’ esercito per mostrare all’ ambasciatore l’ appoggio del regno,
la forza di Atlantide nella bellezza e nella gloria della potenza militare…
Gli atlanti organizzano la parata per mostrare la potenza del loro esercito
agli stranieri che sono sempre da considerarsi i nemici così come nella
Roma Antica, da cui Golokhvastov trae le ponti per la costruzione del soggetto.
P.163: … E il re, ammirato
dagli uomini, stava in piedi nella quadriga, nell’armatura splendente, con il
casco leggero, l’incarnazione viva della potenza tranquilla è pronta
alla guerra. Egli andava sicuro lungo i reggimenti. Soltanto il picchio delle
ruote violava il silenzio. La quadriga si fermò a piè di collina:
Il regnante fece il segno con la mano. Come l’imperatore romano il re
d’Atlantide passò lungo i reggimenti sulla quadriga.
P. 163: Cinocefali — la
tribù degli uomini con le teste dei cani descritte da Erodoto. I
soldati simili ai cani sentivano le tacce del nemico con il loro fiuto.
P. 164: Tra le grida del
reggimento, a capo della legione, sopra la foresta delle lance alzato sul
quadro, portano l’erede del trono col trionfo. L’inondato dal Sole, uno nell’
altezza, nave il principe: oggi la prima volta come il figlio regio per il
testamento dei secoli. Col combattente egli entrò nelle file della
guerra che furono coperte dalla fama dei reggimenti vittoriosi. Ora la
provvidenza vuole provare per la seconda volta come è preparato il
principe prima della vittima sacrale per divenire l’emisfero dell’Androgino e
per punire il popolo per la caduta dell’onestà e dello spirito come era
previsto in relazione alla fine dell’esistenza dell’isola verde di Atlantide.
È molto difficile
paragonare il principe al diciottenne Ottavio quando i repubblicani uccisero
Cesare. È più probabile che l’immagine successiva del
giovanissimo condottiero stanco dai giochi politici si riflette nel “Trionfo”
di Orazio, verosimilmente, affinché essa sia divenuta il prototipo del
principe prima della composizione della “Rovina di Atlantide”.
heu! nimis longo // satiate
ludo, /se stancasti dai // giochi tropo lunghi
quem juvat clamor // galeaeque
leves/ suscitano già // l’elmo e il lotto,
acer
et Marsi // peditis cruentum /sotto Marte sei, //fante sul
nemico
voltus
in hostem. / Insanguinato.
(Tu, che ahi del troppo lungo
ludo
clamori ami e politi elmi e la
dura
faccia del Marso fante sul nemico
insanguinato)
Perché, a quanto pare, Golokhvastov
trasforma l’immagine ritratta da Orazio nella stanchezza dal gioco inutile
dell’infanzia dei gemelli regi senza futuro. Verosimilmente lo condottiero
precedente coperto di sangue è la sorgente iniziale della caduta della
nave dell’ambasciatore dal regno barbarico nel combattimento marino?
Il principe ha tutto chiaro, senza alcuna
confusione. Già non è ragazzo, il cui riso felice suonava nei
Giardini delle Piacevolezze. Non è adulto scampato alle carezze nelle
seduzioni delle fidanzate.
Il principe indirizzò lo
sguardo alla montagna ed inviò il saluto alla sorella.
Per caso il condottiero precedente visse questo
vivo movimento. Il peccato, abbassando la fronte, il geloso capì il suo
significato. Nel mistero il capo di ieri
e l’ambasciatore affermarono il desiderio istantaneo di rapire la principessa
che nacque allo stesso tempo nelle anime nere di entrambi. Essi lo
realizzeranno nel capitolo successivo affinché il principe dimostri la
sua fedeltà nel XXXIII capitolo per divenire degno all’emisfero
dell’Androgino Sacrale. Perché i due dovevano soffrire come non mai e la
seconda prova deve aumentare la forza divina dell’amore fra due emisferi
dell’unica anima separata dopo la loro nascita.
Verosimilmente il poema
successivo di Orazio divenne una delle prime opere che costruirono il soggetto
della “Rovina di Atlantide” mediante la riflessione sul passaggio in cui la
mano destra è sinistra e dove scendono e perdono nella sorgente, mentre
nella “Rovina di Atlantide” salgono e vincono ed anzi.
O
navis, referent in mare//te novi (O
nave, ti riporteranno in alto mare)
fluctus! O quid agis? Fortiter
//occupa (nuovi flutti? Che fai? Imbocca)
portum. Nonne
//vides ut (il porto e
stavvi salda! Non vedi)
nudum remigi//o
latus (com’
è nudo di remi il tuo fianco,)
et
malus celeri saucius //Africo
(e già
incrinato è l’albero)
antemneque
gemant ac sine//funibus (dall’Africo
veloce? Gemono le antenne,)
vix durare //carinae (priva di funi la
chiglia non regge)
possint omperi//osius (alla soverchia forza
dell’onde.)
aequor?
non tibi sunt integra// linea (Non hai intatte le vele,)
non di, quos iterum pressa
vo//ces malo.(non hai Dei che tu possa invocare)
Quamvis Ponti//ca
pinus, (se sarai ancora
stretta dal pericolo.)
silvae filia
//nobilis. (E,
benché tu sia pino del Ponto,
figlia
di un bosco nobile,)
Jactes et genus et nomen
i//nutile, (se metti avanti discendenza e nome, ti sarà
inutile)
nil pictis timidus navica
//puppibus (che vuoi, che un
navigante impaurito)
fidit. Tu, ni//si
ventis (si
affidi agli dei dipinti)
debes ludimbri//um,
cave. (sulla poppa? Sta in
guardia, se non vuoi
cadere
in ludibrio dei venti!)
Nuper sollicitum quae
mihi //taedium,(Tu, per l’innanzi a me
fastidio ansioso,)
nunc desiderium curvaque//
non levis. (ora amore e
inquietudine profonda,)
Iinterfusa// nitentes (evita le alte
distese)
Vites aequora //Cycladas. (fluctuanti fra le branche Cicladi.)
Documenti: “L’allegoria, che ci chiama inversio, consiste in fare
intendere un senso differente del senso letterario… Così tutto questo
passaggio di Orazio dove dicono “navire” per “repubblica”, “flota” e “Tempeste”
per “guerre civili”, “porto” per “pace e concordia” (Quintilion, “Innstitution
Oratoire”, VIII, 6, 44.)
“Io sono distrutto per la mischia dei
venti; là l’ onda che rotola viene tanto di qua, e tanto di là;
noi allo stesso tempo alla metà di flotta, noi siamo andati via con la
nostra nera vela dondolati violamene per la grande tempesta; l’acqua, nella
sentina, copre le piedi dell’albero, la vola è rotta; essa pende in
grande straccio; e i cavi si demoliscono.” Alceo, fr. 54 (Trad. Th. Reinach).
Per capirlo: tutta l’oda è
allegorica. Si può spiegare il
senso allegorico di ogni dettaglio. 1. Fortiter occupa —
rientra decisamente in… 2. Ut — come. 3. Malus et — al verso 10, malo:
attenzione alla quantità. 4. Funibus: si dice di cavoche inserrono e
proteggono il guscio (carinae: plurale poetico per carina, cf. puppibus
al verso del navire. 5.
imperiosius — “più imperioso (come d’abitudine)”. 6. Di (integri): gli dei protettori
sculturati. 7. Quos — ut
eos. 8. Le foreste di pigne dei bordi del Ponte Euxin fornivano per la costruzione
delle navi un legno rinomato. 9. Nobilis si rapporta a selve. 10. Iutile
— qualifica gli dei sostantivi precedenti.
12. Timidus — divenuto spaventato. 13. Cave, nisi… debes —
“prende, conserva, o allora ed ecco bisogno…”. 14. Interfusa regge
Cyclades. — Il mare delle Cicladi, ingombrato da isole, da scogli e da
correnti, era assai pericoloso. 5
Nitentes — “brillanti” (dal fulmine del marmo al sole). 16. Vites: si
spiega così il cambiamento dei modi (cf. v. 2 e 16) (“Les Carmina d’Horace” Odes
et épodes. Presentés
par A. Debidour (professeur de Première Supérieure au
Lycée Condorcet. Classiques ROMA
sous la direction de Gy Michaud Agrégé de l’Université
Docteur ès lettres (pp.
51-52). Librairie «Hachette», 1938.)
Secondo il poema di Golokhvastov,
l’immagine condizionale del fratello conduce alla contraddizione di Orazio. La
contraddizione del fratello è il condottiero precedente. Si può
paragonare il messaggio di Orazio all’immagine ribaltata del fratello e
l’immagine reale del condottiero e dell’ambasciatore barbaro che scappano con
la principessa rapita. L’immagine del loro destino sulla nave, dal Ponte
verosimilmente, è molto simile all’immagine del navigatore impotente di
Orazio. L’albero è incrinato, gemono le antenne e la chiglia della nave
dell’ambasciatore barbarico non può reggere alla soverchia forza delle
onde. I bordi dipinti del pino delle terre barbariche non salveranno i ladroni
della principessa. Si può supporre che entrambi esprimono il loro
ludibrio al giovane principe in precedenza: benché tu sia pino del
Ponte figlia di un bosco nobile. Si
può ritenere che essi pensavano che il principe di 15 anni è come
la figlia di un bosco nobile. Invece, al contrario del poema di Orazio il fato
dell’opera di Golokhvastov obbliga il fratello ad aspirare al mare mosso fra le
Cicladi per salvare la sorella come il secondo emisfero dell’anima.
Verosimilmente, prima della nascita della “Rovina di Atlantide”
nell’immaginazione di Golokhvastov, la comparsa dell’immagine del fratello
emisfero dell’Androgino nasce come contrario dell’ immagine del giovane del
poema antico di Quinto Orazio Flacco. Verosimilmente, la comparsa della sua
immagine si disgiunse (slego) dal desiderio di seguire e allo stesso tempo
contraddire la “Divina commedia” di Dante. Si può supporre tuttavia che
il poema di Orazio divenne la sorgente anche per la riflessione contraddetta
della memoria generale della saggezza umana propria.
Il XXXIV cap. p. 177: Il
sacerdote supremo di Ra ricerca il giorno alla festa del Matrimonio spirituale
fra i cerchi del Sole di Ishtar e della Luna prima di confluire i due gemelli
nell’unico miracolo affinché la vergine fidanzata passi sola tutta la
notte dimostrando la propria purezza preparata alla vittima.
P. 178: Secondo i dogmi antichi
della memoria della saggezza umana l’ultimo sacerdote supremo ricercava il
collegamento all’anima mondiale da otto settimane. Esigeva tutto il giorno il
rito della purificazione e leggeva tutta la notte le preghiere prima della
Festa di Matrimonio. Egli vestiva il costume dei poveri, mettendo la cenere
sulla testa. Andava lungo le cale di sette salite in piedi per alzarsi
all’ottava, apriva sette porti fino al tempio di Ziggurat. Quando apriva
l’ultima serratura l’oriente s’è acceso con l’alba splendente. Egli
presentiva dall’incoscienza che la realizzazione del suo desiderio sarebbe
stata il delitto spirituale. La luce entrò nel tempio tremendo.
P. 179: 1. Esiste il
mosaico dei pesci beventi che decorava gli edifici delle città distrutte
dell’America Latina (Copan in Honduras), Luwis Spence lo intitola “Plan and
Fish Motif” sulla base delle ricerche due di suoi altri collegi ricercatori.
Egli presuppone che sia il disegno degli atlanti (Lewis Spence. The The problem of Atlantis: Central American
Archaeology, page 138 and plate X, 1).
L’ornamento dei pesci degli
animali rapaci conduce al simbolo nascosto del leone.
3. La bocca aperta di leone con
la lingua pesata in cui l’emblema erotico di ioni è la bocca e la lingua
gioca il ruolo del Lingam (fallo). Essi si incontrano all’ interno di molte
sinagoghe fino ai nostri giorni secondo l’ affermazione di B. Z. Goldberg,
l’autore del libro “The Sacred Fire”. L’autore unisce i monumenti latinoamericani e la
descrizione delle chiese caloriche di barocco.
4. Cherubini — l’immagine
simbolica del Vecchio Testamento. Sono del secondo rango al di sotto del
cerchio dei serafini. Hanno quattro ipostasi dell’ uomo, del leone, del vitello
e dell’ aquila che diventarono gli attributi dei quattro vangelisti. Secondo le
analisi del libro di B. Z. Goldberg The Sared Fire — The Story of Sex in
Religion: Book III, Charter I, Love in the Synagoue, page 224. — Garden City,
N. Y. 1930 le immagini dei cherubini rappresentano la sintesi della genesi
maschile e femminile, anche il Cherubino Tetramorfo è unito in sé
e non furono solo quelle quattro nature la coincidenza misteriosa di Lingam e
di Ioni.
Cherubino (letter. E disus. Cherubo, chèrubo), sm. Natura angelica o spirito celeste che fa
parte del secondo ordine della più alta e più nobile delle tre
gerarchie angeliche, a cui si attribuisce pienezza di scienza. — Finche: essere
intercessore presso Dio, di forma umana e alato, che è a protezione
dell’ingresso del paradiso oppure copre l’arca santa o sta davanti al
Santissimo (nell’Antico Testamento). Iacopone, 69-127: l’om che iogne tanto en suso, co li
cherubini ha puso: / ben po’ viver gloriuso, ché vede Deo per veretate.
Dante, Conv., II-v-6: Sopra questi (i sei ordini delle prime due
gerarchie) sono le Potestati e li Cherubini, e sopra tutti sono li Serafini: e
questi fanno la terza gerarchia. Idem, Par., 28-99: Io sentiva osannar di coro in coro: /…/ e quella che vedea i pensier
dubi / nella mia mente, disse: “I cerchi primi / t’hanno mostrati serafi e
Cherubi”. (“Grande Dizionario
della lingua italiana”, Unione tipografico-editrice Torinese . 9/V71964.) La bocca
aperta, che simbolizza la sorgente vitale si armonizzava col Cherubino di sei
ali. Vicino al palco dei misteri primordiali, come i vecchi con le
tortuosità scure delle rughe, stanno due croci di tre fini.
Nei gambi, come fantasma si oscurava l’una, l’altra
immobile e buia è vicino al capezzale; come se ambedue crescessero dalla
terra. Si possono riscontrare due linee
opposte fra il significato delle immagini gentili della “Rovina di Atlantide”
che provocavano la discesa nell’abisso infernale e invece garantivano l’ascesa
al Paradiso. Questo confronto dimostra ancora una volta la riflessione speciale
della contraddizione della “Divina Commedia” nella “Rovina di Atlantide” in cui
Dante sale Golokhvastov scende e invece.
Nella “Divina commedia” quei
sacri animali sono citati nei versi successivi
sì come luce luce in ciel
seconda, 91
vennero appresso lor quattro animali,
cornati ciascun di verde fonda.
Ognuno era pennuto di sei ali; 94
le penne piene d’ occhi: e li occhi d’ Argo,
se fosser vivi, sarebber cotali.
(91- 96 del XXIX canto del “Purgatorio”)
91. sì come… seconda: come,
nel rotare del cielo, una costellazione segue ad un’altra e ne occupa il posto.
92. quattro animali: i
Vangeli; secondo il simbolo tradizionalmente adottato. Per la loro figura,
Dante stesso rimanda alla visione di Ezech., I, 4-14 (cfr. pure Dan., 7,
2-7), ma segue anche qui più da vicino la descrizione di Apoc.,
4, 6-8. 93. verde fronda: è
simbolo di speranza, secondo il Lana: con la buona novella si apre all’uomo
redento dalla colpa originale la speranza della salvezza. I
più intendono: fronde d’ alloro sempre verdi, vive perennemente come
la dottrina evangelica; ma rompono in tal modo il parallelismo dei simboli, coi
vv. 84, 148. 94. sei ali: “quia alte volaverunt” (Benvenuto). Le sei ali
erano il segno distintivo dei serafini (cfr. Isai., 6, 2); e il simbolo
biblico era variamente interpretato. Qui potrebbe significare che “per ogni
dimensione la Scrittura… si estende in altezza, in larghezza e in profonditade”
(Lana). 95. piene d’occhi: “quia omnia acute viderunt” (Benvenuto). Qui
è probabile che Dante avesse presente l’interpretazione di san Girolamo;
Argo: l’occhiuto guardiano di Io, ingannato e ucciso da Mercurio (cfr.
Ovideo, Metam., I, 622-723). 96. cotali: altrettanto vivi e penetranti. (1) (“La
Divina Commedia a cura di Natalino Sapegno. Riccardo Ricciardi (p. 729).
Editore –Milano-Napoli 1954.)
sì come: come in cielo una stella (luce) succede a
un’altra stella, occupandone il luogo. — quattro animali: simbolo de’
quattro Vangeli; e sec. Al., de’
Vangelisti; ma Luca e Giovanni appariscono più tardi (vv. 136 e segg.),
sebbene in altra veste. La verde fronda denota l’ eternità delle
dottrine cristiane, e le occhiute penne “Io ‘ntendo delle cose passate et
avvenire” An. Fior. — Argo: cfr. Purg., XXXII, 65. L’onniveggente fg. Di
Agenore, custode d’Io (Metam., I, 625). (2) (“La Divina Commedia” p. 3 (p. 683); ristampa anastatica
dell’editore G.C. Sansoni, Firenze 1922,1988)
Il
numero quattro in questo caso è sacro. Ogni animale ha il proprio
significato filosofico di quattro Evangelisti. L’agno
corrisponde all’ apostolo Marco, il leone esprime
lo spirito di Luca, il toro è il simbolo di Matteo e l’aquila quello di
Giovanni. Ma gli animali simbolizzano solo le anime e gli affari degli apostoli
ma non sono gli apostoli stessi. L’ aquila è il simbolo di san Luca, ma
non lo stesso san Luca, ecc., e questo perché le anime degli apostoli si
trovano nei supremi cieli del Paradiso con Gesù.
Il XXXV cap. p. 182: La
descrizione del tempio si concentra nel cristallo diamantato, nell’unità
del maschile e del femminile e conduce al discorso per persuadere il desiderio
dell’ immortalità deciderebbe il problema dell’ influenza
delle magie dannose; Perché, ogni notte con la seduzione affascinata, se
il cristallo fosse torbido il dono di vita si perderebbe nella luce contagiosa,
però sopra la vita è debole la malattia. L’ autore torna
nuovamente alla descrizione dell’ alba affinché il sacerdote si persuada
che la scoperta del mistero avrà la sua validità, anche se lo
spirito interno del tempio lo contraddice.
Disegno di A. N. Avinov: Anco e fluidi
P. 183: 3. Anco — Crux
ansata, una delle leggi più antiche dell’ Egitto che simbolizzano
l’unità maschile che serviva da emblema della generazione e della vita
eterna. Prima della discrizione dell’Anco l’autore aspira al cristallo
torbido della temporalità e del peccato.
P. 184: 4 L’ “aspirazione” —
è il “dito indice” secondo i commenti ebraici simbolizza il tetrogramma
del nome orribile di Gegova ed è composta dalle lettere iod-hei-bau-hei,
in cui “iod” rappresenta l’ ideogramma
di Lingam e la lettera “hei” porta il significato di Ioni che simbolizza l’
armonia della Divinità. Allo steso tempo la “hei” significa
l’aspirazione e la lettera “iod” simbolizza il “dito indice”. Non
sarà mai possibile capire Dio positivamente, come affermava
Nicolò Cusano nella sua “Dotta Ignoranza”: solo la pronuncia simbolica
di quattro lettere illeggibili ci aiuta ad immaginare, ma solo negativamente,
l’ immensità del Creatore e la sua potenza assoluta ovunque.
L’ aspirazione desta il raggio viaggiante nell’
attimo sacro della santa alt zza, toccando il punto splendente dello scudo,
come il dito indice della palma di Ra. Il sacerdote vuole persuadersi affinché tutti i
dubbi lo fermino in precedenza dell’autorealizzazione del destino.
Ra è inclinato nel disco solare così
che la pietra santa viene gettata sul Palco del Testamento. Unisce il
Matrimonio: immediatamente dal cristallo torbido dalla patina per la parola
nera si ne va la luce. L’ Anco vittorioso scintilla come il Diamante, ma lo splendore
della fama eterna fa la gioia della luce all’ occhio visto nuovamente. Il fato che la luce se ne vada dal Diamante
spaventa il sacerdote che si vede nell’allusione che mostra ancora una volta
che sarebbe celato il pericolo nel mistero della vittima. Egli caccia ancora i
dubiti una volta tuttavia per assolvere al suo cieco ruolo nello spettacolo
crudele della vita.
Io stavo in potere ai sonni
profetici, nello stato beato dei pensieri provocanti; la luce della provvidenza
è accecata e mi deste nuovamente la conoscenza dei fondamenti
dimenticati, eterni nella loro essenza vera. L’illusione inebriante gioca nel suo caso lo stesso
ruolo che l’entusiasmo delle folle giocava nel 1935 per i grandi politici della
metà del XX secolo. Verosimilmente, Golokhvastov faceva alcuni paralleli
(molto lontani) fra essi e il ruolo dell’ultimo sacerdote supremo di Ra.
P. 184: 5. I Fluidi —
sono le emanazioni: fini della potenza e dell’ energia. Fluido, agg. (superl.
Fluidissimo). Che ha limitata consistenza e densità, scorrevole (una
sostanza per lo più allo stato liquido e gassoso). Galileo, 3-4-136: Non val
l’argomentare dalle stelle solidissime ai cieli tenui e fluidi, e la terra
stessa per la sua durezza è aspra e montuosa, e l’acqua sferica
perfettamente, rimosse le cause esterne e accidentali. (“Grande
Dizionario della lingua italiana”, Unione tipografico-editrice Torinese .
9/V71964.)
6. Sefiròt — uno dei 10 messaggi di Dio
contemplava, secondo Cabala, l’universo. Il sogno del sacerdote accecato comincia ad
avvicinarlo al feticismo, all’animazione degli oggetti inanimati. Così
si sottolinea la fatalità del paganesimo ed implicitamente il suo
spirito aspira al nuovo futuro senza Atlantide, che si incarnerà nella
prima religione monoteistica del Vecchio Testamento.
L’accesso della beatitudine è aperto agli
uomini: l’ anello splendente genera i Fluidi della vita dei due sessi al
respiro della Pietra... Essi sono l’ unità e il vivo sefirot (i futuri
10 messaggi, l’universo). Chi gli darà l’incarnazione, farà i
figli di Atlantide immortali.
Così il desiderio sbagliato dell’ultimo sacerdote supremo e la vendetta
dai peccati confluiscono.
Il XXXVIII cap. p. 196: La
tradizione matrimoniale della vergine con la divinità è descritta
in questo capitolo e nel seguente. Il matrimonio cerimoniale col toro (col toro animale: capitoli XII e XIII)
simbolizza l’ unità mondiale. Il viaggio delle vergini verso lo Ziggurat
corrisponde al rituale sumero dello smentire delle vergini mediante il passaggio
fra sette portine su alternativi livelli del tempio. L’ origine di questo
rituale mistico è legato alle comprensioni cosmogoniche dei babilonesi
antichi. L’ inferno o il mondo dei morti
fu concepito come la caverna enorme nel cuore della terra. Al contrario dei
sette gradi del cielo planetario e delle sette zone dei suoli, l’ itinerario
attraverso la città infernale passava fra sette portoni all’ interno di
sette mura concentriche. Un poema dell’ Oriente Antico ci descrive la discesa,
alla Curnagea, all’ inferno, della dea della fruttificazione Istàr.
Istar è da considerarsi la figlia del dio della Luna Nannar. Se gli
ultimi passaggi sono state intesi correttamente, ella si indirizzò al
“paese oscuro da cui non esiste uscita”, per liberare il suo amante perduto, il
giovane Tamuz. Vicino al portale esterno Ishtar pretese che il portinaio le
permettesse di accedere, avendo minacciato di rompere il portone e di condurre,
sulla terra, i morti“ più numerosi dei vivi”. La dea dell’inferno Erikigàl
ordina di far passare l’ ospite secondo le leggi antiche. Il portinaio apre
ogni portone, ma prima la spoglia e prende di volta in volta qualche porzione
del suo vestito: 1) la tiara grande della testa, 2) i pendenti degli orecchi,
3) la collana del collo, 4) le decorazioni del petto, 5) la cintura con le
pietre del mago, 6) le decorazioni delle branche e delle gambe, 7) la roba.
Secondo l’ abbandono di ogni cerchio, al ritorno dalla Curnagea, le resero
tutta la sua proprietà. Tamuz supplicò Erishkigal col suo flauto.
Ella le permette di abbandonare il regno dei morti e ordina che il “demone
della pesta” la benefichi con l’ acqua della vita. (Gorge Foot Moore: History
of Religions. Babilonia, page 229 – 230.) Secondo questo ordine dei cerchi
del regno gentile dei morti, con la vetta all’ ingiù, la memoria
dell’intelletto di Dante costruisce i suoi sette cerchi infernali.
La principessa sta vicino alle
mura di Ziggurat alla soglia del primo portone: “Addio, sogni dell’amore, senza
ritorno. Scusa, principe, fratello amato!…Di rosso splende il tramonto, e la
vicinanza della notte è terribile. Sulle torri tremano le tracce rosse.
E lì, dove si alza la salita ripida delle scale condotte al cielo di
sera si sdraia la fresca oscurità, scivolando. E le ombre girano come lo
sciame dei misteri delle profezie che non si può comprendere col
pensiero. La memoria della
sensualità meno peccata che ci sia si avvicina alla memoria divina e
suggerisce all’anima che il destino conduce all’abisso attraverso il male
tramonto splendente e rossiccio. Ma la memoria della saggezza umana la persuade
che si possa entrare nel mistero senza pensiero.
Oggi notte sotto il velo dell’ oscurità,
scendendo dal cielo alla sua incarnazione, Dio si sdraierà a lei nel
mistero. Si placano i suoni dei dubbi. E con la fede nel Miracolo ella non ha
il passato caro. Intonando la preghiera di passione ella alzò le mani
con impeto verso il cielo remoto. La
coscienza verifica la vittima e sostituisce la morte violata dal matrimonio con
Dio.
P. 198: I
sacerdoti minori versano le iride ai piedi della principessa come simboli della
pace. I ciechi cantori cantano del sole. Sotto le grida del popolo il vecchio
eremita conduce la principessa alle soglie del cerimoniale gentile
affinché la principessa salga al
tempio passando attraverso sette portoni secondo sette gradini del cielo
planetario come Istar si era calata nel regno dei morti vicino ad ogni portone
lasciando una parte dei suoi vestiti e delle sue decorazioni. I partecipanti al
rito svestono la principessa con in sottofondo la lettura delle preghiere che
diverranno, secondo Golokhvastov, la sorgente delle tradizioni degli americani
precolombiani e dei popoli orientali antichi, divenendo la cieca memoria della
saggezza umana.
P. 198: 3. Reseda —
è l’ emblema della soavità; la fumata suscita l’ umore degli
amanti.
Reseda (rèseda), sf. Bot. Pianta erbacea della famiglia Resedacee,
alta fino a 40 cm, con fiori giallo-verdastri è diffusa nei climi
temperati; è coltivata anche a scopo ornamentale e per l’odore dei
fiori. (“Grande Dizionario della lingua italiana”,
Unione tipografico-editrice Torinese . 9/V71964.)
Nel fumo garofano il portone è decorato con la
Reseda dove il giovane sacerdote che non ha mai visto donne prende i suoi
orecchini e la sua collana. Dopo due sacerdoti accompagnano la principessa nel
cammino santo verso il terzo portone.
4. Rosa — è l’ emblema
dell’ amore; la fumata che conduce all’ umore religioso. Le rose
simbolizzano l’amore vicino al terzo portone sulle piastre fredde. L’anice
alletta l’ anima che non conosceva ancora i miracoli degli amati. Il giovane
sacerdote non conosceva le seduzioni ma ora il corpo della principessa
risvegliava in lui i barlumi di un sentimento che cacciò via con la
preghiera. Qui in modo particolare l’ autore provoca specialmente il dominio
della memoria della sensazione sopra la memoria divina quando ambedue
resteranno sempre i servitori della memoria della saggezza umana che doveva
fallare sotto l’inno dei ciechi.
P. 199: Giglio — è l’
emblema della purezza; la fumata della lavanda suscita il disprezzo del
sentimentalismo. Vicino al quarto portone incontra la ghirlanda dei gigli
di cristallo.
Il cap. XXXIX p. 200: Lotos —
è l’ emblema della castità; il fumo suscita dalla mirra. Il
colore della mela — è l’ emblema del peccato primordiale. Dai vasi
di alabastro fuma la lavanda e il fanciullo indifferente, che è stato
all’interno del mistero del rito, denuda il petto della principessa. Il popolo
è scomparso.
P. 205: I fiori del melo sono
l’emblema della verginità. La ghirlanda dei fiori del melo
terminavano il viaggio spaventoso della principessa. All’ interno del tempio l’
aspettava il sacerdote supremo.
Il XL cap. p. 206 L’ Osmos (greco) — è la specie del processo
chimico e fisico durante la diffusione di due fluidi che aspirano a penetrare
l’ uno all’ interno dell’ altro attraverso molti ostacoli. Osmosi, sf. Fis. Fenomeno
consistente nel movimento di diffusione di due liquidi miscibili, di diversa
concentrazione, attraverso un setto poroso o una membrana separatoria,
semipermeabile o permeabile ai due mezzi (e può essere provocato, oltre
che dalla differenza di concentrazione, anche da cause termiche). Lesione,
1044: ‘Osmosi’: trasmissione reciproca dei due liquidi attraverso ad umana
membrana che li divide. (“Grande Dizionario della lingua italiana”,
Unione tipografico-editrice Torinese . 9/V71964.)
La
memoria sensibile e la memoria della saggezza umana non vincessero ancora la
voce della memoria divina. Per due volte la terza memoria mostrò il
pericolo tramite la perdita della coscienza della vecchia bambinaia e tramite
il dubbio interno dell’anima dell’ultimo sacerdote supremo: L’
immortalità tornerà alla natura umana dall’ armonia precedente
colmando il cosmonella loro confluenza il misterioso osmos della natura
maschile con la natura femminile.
Io avvenivo la genesi dell’
universo nuovo; esperivo i germogli della vita fiorente!…La tenacia del
pensiero e la vigilanza lunga suonavano nelle tempie dall’ afflusso del sangue…
Ed io iniziai a pregare nella sofferenza silenziosa, nell’ impeto muto per
cacciare via il reggimento turbato dai neri dubbi con il sentimento terribile
della tristezza pezzata, con
l’ansia, con la nuova rottura dell’ anima. L’unità delle anime
separate dalla natura lo vinceva dall’ interno.
Il XLI cap. p. 211: 1. Le
strofe 15-27 prima mostrano uno dei casi in cui il mago utilizza il significato
della parola “AUM”. Il sacerdote incontra il principe nel dormitorio. Egli
si prepara al suicidio. Navigai tre volte dall’ unico suono tre lettre in
due sillabe della santa Parola, perdendo la forma corporea che aveva all’
interno di sé la forza dell’Universo.
2. “… allora sarai, discepolo, il
viandante più forte dei venti, sopra le onde volanti, che non toccano la
copertura dei mari…” — così recita il “Libro delle Regole d’ Oro”, di
cui il traduttore commenta le righe 89-93 del capitolo IV e spiega che la parola “Kechara”è stata tradotta come
il “Vago Celeste” o l’ “andato per il cielo”. Nel capitolo VI “Adhyaya
Inaneshvari” commenta che il corpo dell’ giogo diventa la creazione del vento,
corrisponde alla “nuvola, dai cui membri divengono i rami”, dopo il giogo
contempla le cose sulle altre rive dei mari e delle stelle; egli ode e
comprende la lingua dei Devi e conosce che succede nella coscienza. Il vecchio arrestò il filo avvelenato della
spada del principe con la volontà del suo spirito, con l’ arte di ioga,
con il dominio sopra il pensiero e sopra il sentimento. Il nostro lenzuolo
funebre e stretto temporaneamente divenne invisibile come il Viaggiatore
Celeste, non apparteneva all’ esistenza, come lo spirito… Dallo stato
spirituale il sacerdote entrò nell’ essere corporeo e subito
derivò la punta avvelenata prima di entrare nel corpo. La caduta del
filo sulla piastra suonò nella sala. Noi tacevamo vicino al trono. Il
sacerdote era tranquillo quando tentava di correre al volo con lo sguardo del
principe. Allora la memoria divina vincesse la prima memoria e la seconda prima
della pena inevitabile.
P.
214: 4. Il significato della parola “Androgino” e il concetto dell’
“androginismo”erano ignoti al lettore di massa. Anche il grande dizionario del
inglese “Webster’s New International Dictionary, 1934” non presenta la loro
spiegazione precisa e si limita alle spiegazioni successive: “I. Androgyne — 1)
Hermaphrodite; 2) A Eunuch; An Effeminate Man; 3) A Virile or Mascoline Woman. II. Androgynous — uniting both sexes in one or
having characteristics of both; being in nature both male and female;
hermaphroditic. III. Androgyny — Hermaphrodism. Effeminati”. Al tempo stesso il concetto dell’
androginismo è più alto e più ampio dell’ anomalia fisica
dell’ ermafrodismo. La perfetta caratteristica dell’ androgino e dell’
androginità si riscontra nel lavoro del prof. Nicolài
Berdiàiev: “l’ Essenza dell’ Atro: l’ Esperienza della giustificazione
dell’ uomo” (Mosca 1916), in cui troviamo la determinazione successiva: “L’
Androginismo è l’ unità finale del maschile e della femminile nel
supremo essere divino, l’ ultimo sorpasso delle distruzioni e dei conflitti, la
restaurazione dell’ immagine e dell’ identità divina che si realizza
nell’ uomo”. Più tardi Berdiàiev dice che nell’ androgino —
è “lo splendore della natura divina”; in esso deve trovarsi “l’ entità
finale” perché l’ unione fusa insieme del maschile e della femminile
deve essere stata approfondita”. E, infine, “l’ essere androgino è — il
mistero che non sarà mai svelato nei limiti di questo mondo”. Golokhvastov riflette l’immagine di Dio e del
tempio divino che non hanno la dualità dei sessi. Egli aspira alla
neutralità divina che consiste nella ricchezza inseparabile di entrambi.
E solo la volontà violenta della natura separò per emisferi
l’unità delle anime dei gemelli. Voi siete un’unica carne, in voi
è una sola anima. La polvere della nascita vi separò in due,
è l’ unico cuore delle vostre vite, il santo amore che vi illumina.
Così il sacerdote verifica il bisogno della sua immortalità che
sarà ottenuta soltanto attraverso la confluenza suprema dei gemelli
all’Unità sacrale. Egli si persuade che l’amore eterno dimostra la
distruzione degli ordini delle forze della natura che sono formulati soltanto
secondo la volontà divina.
Attraverso il grande grado vi restituirò
l’uno all’altro come il fiore e lo stelo della pianta celeste e creerò
il tempio solenne della vita immortale il sogno dell’ anima universale, l’Androgino.
L’idea generale di questa immagine della saggezza umana significa che nessuna
saggezza terrena potrà rappresentare da sola il ruolo divino
perché nessun essere umano vedrà e comprenderà il mondo
come Dio.
Il XLIII cap. p. 221: 4. Il
pentacolo — è l’esposizione sintetica e condizionale che esprime, in
ogni segno o in ogni simbolo sacrale, preciso gli inizi, le leggi e i fatti che
determinano l’ entità principale e il pensiero essenziale dell’ atto
magico realizzato. Le immagini sono intagliate sui metalli dedicati ai pianeti;
il materiale cupreo è la proprietà di Venere. Pentacolo (ant. Pentàculo)
sm. Figura costituita da una stella a cinque punte, per lo più
accompagnata da altri simboli o parole, a cui era attribuito potere magico, e
che veniva tracciata su pezzi di pergamena, di pietra o di metallo da portare
apersi al collo come amuleti. — In senso generico: amuleto, talismano che reca
segni magici. (“Grande
Dizionario della lingua italiana”, Unione tipografico-editrice Torinese .
9/V71964.)
Il principe concepì positivamente l’unione
con la sorella. Essi si incontrarono nel tempio e accesero i fuochi dei vasi
d’alabastro e sette fuochi d’altare. Il principe serviva al sacerdote supremo
per preparare la sala per portare nella vittima il proprio corpo e il corpo del
suo amore proibito. Io aprii il disegno del pentacolo nel carbonio ardente
coperto dal tessuto. I cadì sono colmati con l’aroma… Sono preparate le
candele di cera d’ ambra i recipienti col miro, tre fresche ghirlande; la mia
spada è illuminata all’incontro degli spiriti dei nemici con la minaccia
del filo, sono l’Acqua Viva nel vaso di cristallo e l’Acqua Morta nella brocca
tombale… Il tempio è pronto al rito e oggi restituirò, nella
santità svolta al mondo, il testamento lontano e scuro come il mito…
Il principe sale verso la sorella sul tetto.
Passano. Sento il loro sussurro
già, il sussurro caldo dei minuti d’addio: I fidanzati vanno al
matrimonio. Il sacerdote in attesa all’interno del tempio fa il segno e il
principe getta la tunica. Il velo dell’amore soave innocente è
più fedele della sopraguardia della veste pudica, dimostra ancora
una volta il simbolo sacrale della memoria della saggezza umana.
P. 221: 8 L’Eone —
è la scadenza enorme del tempo con la quantità incommensurabile
degli anni. Eòne nello gnosticismo, ciascuno degli esseri spirituali derivanti
da Dio per emanazione (fra i quali era ascritto Gesù Cristo), con funzione mediatrice fra Dio e il mondo,
ordinati gerarchicamente secondo il grado di perfezione, sempre più
tenue quanto più l’emanazione era lontana dall’origine divina; l’insieme
degli eoni (il cui numero e i cui nomi variavano presso le varie sette gnostiche)
e della divinità da cui traevano origine, che era l’Eone perfetto,
costruiva il pleroma (propriamente ‘pienezza’), regno della perfetta vita
divina. Più raro. In senso etimologico: secolo. (“Grande Dizionario della lingua italiana”,
Unione tipografico-editrice Torinese . 9/V71964.). Il
concetto di “secolo” si evidenzia nella “Rovina di Atlantide”.
il
Creatore-Natura non conosceva la copia nata da esso nella perfezione
impeccabile e semplice del sogno nell’alternanza degli eoni, nell’abbondanza
infinita, nell’ordine della bellezza mondiale. Essi insieme sembravano riflettere la verità
miracolosa e la leggenda.
P. 222: 10. La mistica
religiosa considerava molto il significato dell’“alto amore”. Ad esempio, si può ricordare che P.
Giuda, il figlio di Isaac Abravangelo, meglio conosciuto come Leone Giudeo
afferma: “Il significato generale dell’ amore è quello di ciò che
è lo spirito e di ciò che porta la vita. Il significato e lo
spirito animano tutto il mondo, è il legame di tutto l’universo. Il
significato dell’ alto amore fra l’uomo è nascosto nella relazione dell’
innamorato e l’ amante in cui lo scopo essenziale è la trasformazione
dell’ amante nell’ innamorato. Quando tale amore è ambiguo, è
descritto come la trasformazione ambigua di un essere nell’ altro”. — E dopo:
“L’ amore, l’ amante e l’ innamorato sono l’ unione in Dio, perché Dio
è il fine di tutto l’ amore saldo in tutto l’ universo. (Artur Edward Waite: The doctrine and oiterature of
the Cabalah, page 314. The Mysteries of Love). L’istante
trascorse e l’estasi del sacerdote si placava. Essa era indimenticabile per
l’immaginazione e l’incoscienza dell’autore.
Istantaneamente,
all’anima col fumo triste penetrò la pietà che fa pensare che
attraverso questo rito santo il cammino alla nozze sarà il loro cammino
tombale e la canzone della morte sarà la canzone matrimoniale e il
lenzuolo del matrimonio si trasformerà nel luogo della sepoltura. Ancora una volta la memoria della saggezza umana,
accecata dalla prima memoria della sensazione, ascolta la voce appellata
dall’interno della memoria divina affinché il sacerdote supremo fermi il
rito che sarà la pena della provvidenza.
Tuttavia
la scelta è fatta al tempo in cui nell’oriente scese Ishtar dorata
quando di notte si avvicinò la scadenza degli atti sacrali…Perché
sia la lode delle Forze Incorporee e degli Spiriti Astrali!… Ogni persuasione della giustizia dei propri atti
conduce l’ umanità agli abissi. L’uomo errante conosciuto che sbaglia
non riesce a fermarsi e rifiutare i sogni
che possono realizzarsi. È, davvero, veridica la frase di
Socrate: “Abbiate paura dei vostri sogni, essi si realizzeranno”.
Disegno di A. H. Avinov: Vicino al portone dell’amore
P. 223 “… sono il
battesimo con l’ etere, il battesimo col mondo e il battesimo con l’ aspirazione viva della luce”. Secondo
la testimonianza di uno degli apocrifi, avendo raccontato ai ricercatori questi
misteri supremi “Gesù disse loro: Non è quello che voi cercate,
non sono misteri più alti di essi. Essi innalzeranno le vostre anime
alla Luce di tutte le luci, alla Santità di tutte le santità,
innalzeranno all’ambito della verità e della giustizia, all’ ambito, in
cui NON E’ MASCHILE, NE’ FEMMINILE, all’
ambito, in cui non ci sono forme, ma solo la luce infinita e inesplicabile”. (“The Book of the Savior” — dal Vangelo gnostico
“Pisis Sophia” G. R. S. Mead: Pisis Sophia; p. 380. London, 1896).
Il sacerdote supremo
appella all’incoscienza dei gemelli in precedenza e dopo la preghiera fatale.
Essa si pronunciava e contraddiceva alla voce della memoria divina e a lla voce
della pietà: “Coraggio, figli! All’ atto eroico della sofferenza, in
pegno della beatitudine, vi appunto. Arriva l’alba già nella notte della
creatura, è vicina l’ ora della vita eterna.”
Il
lettore comincia a capire che il sacerdote vede, negli gemelli, soltanto il
mezzo per ottenere la sua immortalità e nessun fine. È
perché si verifica l’oroscopo dei figli regi. L’addio breve non
contenevano la passione attraverso l’abbraccia e la bacia. Soltanto
consistevano nel sogno sacrale dell’incontro per l’altro mondo.
“Or dunque l’ umana [40] perversione smembra quel che è semplice e
unitario per natura, e mentre cerca di afferrare una parte di quella
realtà che è priva di parti, non giunge a possedere né la
parte, poiché non ve ne è alcuna, né il tutto, che non
cerca per nulla… [55] invero, poiché cerca di scindere ciascuna dalle
altre, non riesce ad ottenere neppure quel che desidera.” “E che accade” dissi
“ se alcuno desideri acquisirle tutte insieme?” “Egli vorrebbe certamente la
pienezza della felicità; ma potrebbe forse trovarla in quelle cose [60]
che, come abbiamo dimostrato, non possono dare ciò che promettono?” “Per
nulla” risposi. “Dunque la felicità non va cercata in alcun modo in
quelle cose che si crede procurino l’ uno o l’ altro dei beni desiderabili.”
“Ne convengo” risposi; “e non si può dire nulla più vero di
questo… (Boezio “Consolazione della
filosofia”, III, 9, 40, 55-60)
Questa affermazione deriva a Boezio da una lunga tradizione neoplatonica:
accennata, in ambiente latino, da Falcidio, che nelle sue linee fondamentali si
era rifatto a Porfirio (è in Porfirio, infatti, che si trova
esplicitamente affermata l’identificazione di Dio con il bene), questa
identificazione ebbe poi più ampia applicazione in Agostino, il quale,
tuttavia, evita quella accentuazione di tipo panteistico che Boezio le
conferisce… (“La consolazione della filosofia” di Severino Boezio a cura di Claudio
Moreschini (p. 42), Unione Tipografico-Editrice Torinese.)
I congedati non percepiscono l’unitario per natura
a causa della perversione, così la persuasione del sacerdote non riesce
ad ottenere quel che desidera. Egli
pensa che l’ immortalità, che come egli ritiene contiene in sé
tutte le specie della felicità, lo condurrà alle soglie della felicità
assoluta. Il sacerdote capisce nell’ anima che sbaglia e non può capire
di essere in errore.
Il XLIV cap. p. 225 2. Esiste
l’interno significato del testo magico, pronunciato dal sacerdote di Ra durante
il matrimonio mistico (strofe 11 – 24), che si svolge nell’ insegnamento di
Cabala delle 10 sefiròt (libri) o dei 10 avvicinamenti della
Divinità che creò l’ universo. Si evidenzia l’ aspirazione
caotica e cosmica a superare il dualismo mondiale tramite l’ unione del
principio maschile e del principio femminile. Dio è lo Spirito ma il
mondo è la materia. Dio è l’ infinità il mondo è
finito, da ciò che nasce il dualismo nella Creazione dell’ Universo e l’
unione deve essere restaurata. L’aspirazione all’ unione e la sete della
totalità passano attraverso tutto il misticismo ebraico. Esiste la schiera delle emanazioni — queste10
sefirot che sono le radiazioni della Volontà Divina che legano il
Creatore al Suo universo. 5 sefiròt hanno la natura maschile e 5 hanno
la natura femminile. La vita del mondo è fondata su quelle aspirazioni
ininterrotti all’ unione della maschile e della femminile. La Corona, la
Saggezza, la Benevolenza, la Vittoria e la Bellezza sono le sefirot
maschili. Il Regno, l’ Intelletto, il Giudizio, la Felicità e il
Fondamento appartengono femminili. La Corona è l’ emblema del mondo
ideale, il Regno è l’ emblema del mondo reale: essi sono lo spirito e la
materia, l’eterno e il temporaneo, il loro ceto è stato chiamato sovente
“Due facce”. La loro sostanza porta sempre la benedizione al mondo. Mediante la loro unione il
processo della creazione continua. Aspirano all’ unità anche la
Benevolenza (la fonte delle anime maschili) e il Giudizio (la fonte delle anime
femminili) rappresentano le due mani di Dio. La Benevolenza da la vita. Il Giudizio
porta la morte. La loro separazione condusse all’ apocalisse. Essi si
evidenziano nel concetto della bellezza, il cui simbolo è il cuore. La
bellezza riflette il cielo; però aspira all’ unione con l’ ambito del
Regno. Il regno riflette la Terra. La loro unione si realizza nell’ ambito
della “base” o del fondamento. La coincidenza della Bellezza e del Regno nell’
ambito del Fondamento è la coincidenza d’ amore del Cielo e della Terra;
essa diventa possibile solo quando è l’ unione sessuale del genere
umano. Le coincidenze degli uomini hanno il proprio significato in questo
schema mistico della vita. Il mondo di montagne
(Corona) esisteva prima del
nostro mondo reale che è il mondo di valli (Regno); prima del secondo
regnava l’ amore. Il tutto fu disturbato con la comparsa del mondo fisico,
quando l’ unione costante venne sostituita alle unioni temporali, alle
coincidenze, a quelle succedono come nel mondo delle montagne, e in quello
delle valli. Dio stesso, con tutta la Sua unità, non era perfetto e non
percepiva l’ armonia prima della creazione dell’ universo. Egli divenne se
stesso solo quando “entrò nell’ unione con la gloria sua” e scelse
Israele come sua moglie. E così il Creatore si riflette nella Sua
creatura, essendo lo Stesso Unico, Egli abita solo in quello che Gli è
contrapposto, l’ unico. E l’ uomo può essere chiamato unico e saldo solo
nel quadro dell’unità del marito e della moglie. La presenza perfetta
è da considerarsi come il dualismo nell’ unità con tutte le
unioni delle sefirot. Alla fine, tutte quelle unioni temporali saranno
sostituiti dall’ unione costante della totalità assoluta dopo la
comparsa del Messia. Ma l’ anima del Messia è l’ ultima delle anime
create da Dio nella creazione del mondo. Il Messia verrà quando tutte le
anime saranno nate e, mediante la schiera delle trasformazioni, saranno purgate
per il ritorno alla loro Prima Fonte Divina. Mano a mano che aumenta la
popolazione della Terra diminuisce la scadenza fra il suo tempo residuo e
quello dell’ arrivo del Messia: si avvicina il legame dell’ Essere divino e la
vita della creazione, l’ unione del Creatore e della Sua creazione è l’
unità eterna. (B. Z.
Goldberg. The Sacred Fire — The Story
of Religion. Book III, Chapter I,: Love in the Synagogue. Garden City, N. Y. —
1930.).
Il sacerdote si appella
alla Giustizia e allo Spirito della Pietà che dovranno versare l’estasi
nell’anima con la loro purezza come nel vaso d’oro. Ma la sua preghiera lo
porta subito all’estasi di se stesso al di fuori dell’unione del Creatore e
della sua creatura. La visione di sé nel ruolo del Messia acceca l’anima
che obbliga a non vedere il contrasto fra il suo atto e l’ordine divino. Allora
l’anima umana dimentica tutto solo per sostenere il suo egocentrismo che muta
nell’egoismo diabolico che acceca le anime come quella dell’ultimo sacerdote
supremo di Ra. Affinché io veda l’ Eternità e la Fama,
affinché io trova le ghirlande della Vittoria. Io
conseguirò la Maestosità per il diritto con la potenza delle mani
destra e sinistra. Egli vede che il destino allontana da Dio il mezzo per
raggiungere il suo scopo. Egli garantisce a Dio che poi, quando sarà
immortale e abbastanza potente come il Creatore, tornerà
obbligatoriamente nella sua direzione. In precedenza il sacerdote si era rivolto
a Dio nella sua preghiera simbolica per ottenere ciò per cui tutti sono
puniti: Per te come Padre e Signore che ci restituì la Fama nella
parola, nell’ebollizione, nell’ululato e nel ruggito. Perché dal
principio ti sia la lode. Ma dopo sarà in ritardo e l’anima votata
ai 4 elementi inconsolabili dimenticherà tutto osservando l’Universo
nella pagina 240 del XLVIII capitolo come Dante nel Paradiso.
P. 225: 3. Nella
tradizione del matrimonio si evidenzia il ricordo della futura unione
miracolosa “delle fini e della metà”, mostra ancora una volta alla
futura conciliazione del dualismo mondiale, a riguardo del quale Budda dice al
suo discepolo Cacciana: “Questo mondo è inclinato in bilico.” “Questo
qualche neutrale esiste” e “Questo qualche neutrale non esiste”. Ma chi, oh
Cacciana, nella verità e nella saggezza, contempla come tutto è
scomparso, per quello non c’ è
nessuno “Quello che qualche neutrale esiste” in questo mondo… “Questo
qualche neutrale esiste” è una fine, oh Cacciana, “Questo qualche
neutrale non esiste” è l’altra fine. Ma nella metà, stando
lontano da ambedue fini, il Perfetto benedice la verità: dall’ ignoranza
compaiono i fenomeni. (Samyutta Nikaya, Vol. II, p. 17 and Vol. III, p. 134 fg. By Herman Oldenberg: Budda. Sein Leben. Seine Lehre. Seine Gemeide. Page 288. —
4 Edition, Stuttgart and Berlin, 1903). Il sacerdote aspira al suo scopo utilizzando la regola
di due scopi dell’esistenza e dell’inesistenza. Golokhvastov fa confluire la
dualità di Budda e due anime dei gemelli all’unica perfezione
affinché il lettore percepisca prima la divinità dell’androgino: E
soltanto nell’unico splende l’Unico. Col
Nome del Cielo e col potere del sacerdote supremo, oggi alla Regina dei Re, due
visi del coronato Completo, i due emisferi, io decoro con l’unità della
Ghirlanda Matrimoniale. Il sacerdote ammette che il mistero non appartiene
a questo mondo, ma il miracolo della confluenza fra i fini e la metà si
avvelenerà quando i coniugi saranno, nella confluenza doppia, un unico spirito
ed unica carne.
Il XLV cap. p. 229: 1.
Il coriandrum è l’erba di uno state che ha i frutti ovoidali. La pianta
fresca esercita un’influenza inebriante. Il sacerdote combinava la fede del
giovane e la fede del vecchio. Egli alzò il vaso trasparente di quarzo
cantando. La bevanda dell’eterna Soma divina era limpida e fresca come la lega
di rubino che splendeva in esso e le svolte dei raggi ardevano caldamente col
fuoco sanguinoso. Il sacerdote gettò il grano perfido dell’ubbidienza
prima della morte violata. Egli spruzzò la bevanda di coriandrum sui
carboni. Il fumo della beatitudine penetrava nei cuori. Più tardi egli
inumidì i ricci dei gemelli con la bevanda ubriacata dei secoli dal vaso
antico. Io verso il vino della vita sui riccioli. Nell’ubriacatura beata
è il pegno dell’unità. Perché simbolizza la navigazione
dell’ubriachezza e la passione pura
nella sorgente della castità. Egli legge la preghiera ed indebolisce
le loro coscienze: Confluite con l’amore, da nessun avvertito. Confluite con
l’amore, da nessun conosciuto. La prima volta si impregnò col
respiro della vita nella stagnazione morta del mondo per condurlo al
sacrificio. I raggi strisciarono con le ombre come i serpenti dalla paura.
Soltanto allora ambedue bevettero tre sorsi dal vaso con il succo inebriante.
P. 231: 2. L’Astrale —
è la sostanza, nella teosofia, che colma il mondo soprasensibile. Quello
mondo sussiste vicino al nostro delle sensazioni. L’inno faceva tremare
l’Universo nella tempesta di fuoco dove ancora non era il male bruciato. Ed
io previdi la lontananza della Creazione del mondo come gli scritti santi delle
verità nuove: il coro sembrava suonare e l’astrale splendeva con l’alba
eterna in luogo dell’alba quotidiana…
L’estasi sacrale raggiunse l’apogeo. È la partenza dal mondo nella
follia della fede. In pieno della sua maturità diviene più
pesante e lo stesso frutto si tarla dal ramo? Ancora una volta il lettore
si persuade affinché i gemelli siano soltanto i mezzi del
sacerdote accecato e accecante. Essi rimassero vicino ai pali; all’altezza,
lungo i paralleli, levarono le mani senza paura come i gabbiani le ali,
preparandosi al volo. Ma il sacerdote lega strettamente le loro mani e le
gambe alle croci con le corde.
Il XLVI cap. p. 233: Il
sacerdote getta una sola goccia dell’acqua viva sul fondo del vaso sacrale dove
verserà il sangue delle vittime umane perché essa splenda con
l’inizio della sua immortalità. Egli sposta il vaso profondo sopra le
teste dei gemelli per il sangue sacrale sotto le loro mani e prende il coltello
proibito. Come il simbolo del passato di sacrilegio il coltello è
arrugginito in alcuni luoghi come il destino. La principessa sente per prima il
freddo del coltello.
P. 234 2. In
questo capitolo si svela tutto il mistico atto successivo all’uccisione dei
gemelli da parte del Sacerdote mediante la grande Forza misteriosa e la
distruzione dei loro nomi, le spiegazioni descrivono il successivo: a)
Già nell’ antichità profonda le scienze occulte, dopo aver
studiato le proprietà psichiche dell’ uomo, notavano l’influsso della
volontà umana; era posto l’accento sul fatto che questo a influenza —
addirittura proporzionale alla Forza della Volontà. Già molto
tempo fa, alcun degli scopi dell’arte spirituale, per le persone ammesse ai misteri
delle conoscenze occulte, si proponevano di rafforzare la Volontà. Lo
sviluppo di questa facoltà psichica era ottenuto mediante l’esercizio
concepito la sua utilizzazione pratica sotto il governo ragionevole della forza
dell’ intelletto. Bisogna ricordare che, secondo la concezione delle scienze
occulte, il mondo reale e visibile (il modo esterno o il mondo della
sensazione), in ogni luogo, è penetrato e abbracciato dall’altro mondo
invisibile (astrale o soprasensibile). Questo mondo astrale è abitato
dagli esseri spirituali e dai nostri pensieri. Ogni pensiero umano, generata
dalla mente, passa al mondo spirituale al momento della sua nascita, e ci vive
come l’essere ragionevole e attivo per un periodo più o meno prolungata.
La vita di ogni nostro pensiero dipende dal livello della tensione della forza
pensata dall’individuo che la fece. L’uomo genera ininterrottamente gli
esseri-pensieri dell’ itinerario attraverso lo spazio mondiale. Quello spazio
è ricco di immagini. Queste sono i desideri degli uomini, le loro aspirazioni,
le loro passioni e le loro fantasie. I concetti e le immagini generati nell’
essere irreale si sono potute materializzare mediante la Forza della
Volontà nel mondo esterno. Eleface Lévi pubblicò la
schiera dei lavori legati all’ occultismo. I lettori lo conoscono sotto lo
pseudonimo di Constant Alphonse Louis, mediante il libro “La Clef des Grands
Mystères Suivant Hénoch, Abraham, Hermès
Trismégiste et Solomon (Félix Alcon, Paris, 1897)”, in cui
troviamo l’esempio seguente: “Noi parlavamo della sostanza distribuita nell’
infinità che è insieme il cielo e la terra, ecc. mobile o
immobile. La sostanza dipende dal grado della polarizzazione. Ermete
Trasmigista intitola questa sostanza “Il Grande Telesma”. Quando irradia
splendore, si chiama luce. È ciò che creò Dio prima di
tutto e disse: “Affinché sia la luce”. Essa, al tempo stesso, è
la sostanza e il movimento, è il fluido e la vibrazione eterna. La
forza, che obbliga tutto a muoversi ed appartiene alla natura, si chiama il magnetismo. Nell’ infinità
questa unica sostanza è l’ etere o la luce; essa diventa, negli esseri
organici, la luce magnetica e il fluido; il corpo astrale o l’ ambito plastico
si organizza nell’ uomo. La Volontà degli esseri ragionevoli influisce
immediatamente su questa luce, attraverso quella, la Volontà influisce
su tutta la natura sottoposta all’ influenza dell’ intelletto. Questa luce
è lo specchio generalizzato di tutti i pensieri e di tutte le forme;
conserva le configurazioni di tutto ciò che era, riflette gli splendori
dei mondi passati e, secondo l’ analogia, disegna i progetti dei mondi futuri.
È lo strumento della taumaturgia e della previsione. (Troisème
Partie: Les Mistères de la Nature. Le Grand Agent Magique. Pages 115 – 116).
“La
volontà è la madre di tutto, dice Ermete Trasmigista, la sua
forza è piena quando è indirizzata alla terra. Sale dalla terra
al cielo e scende sulla terra. La volontà acquista la forza di tutto il
supremo e di tutto l’ inferiore. Questa forza è più potente di
tutte le altre: essa vince tutto lo spirituale e penetra all’interno di tutto
il materiale. Così è la creazione del mondo. (P.
Piobb. Formulaire de haute magie.)
Secondo
questi fondamenti le scienze magiche insegnano che l’energia psicofisica della
Volontà può essere sviluppata fino ai gradi più alti che
ha la possibilità di raggiungere, proporzionalmente alla sua tensione
dinamica, influire su qualche organizzazione sensuale a che si lega: la Forza
della volontà sa influire anche sui fenomeni della natura; Il mago, che
sviluppò la sua arte, è capace di governare sopra le sensazioni
delle altre persone, di cambiare le condizioni dei corpi fisici e astrali, di
governare gli spiriti di natura, non facendo nulla nuovamente, anche il mago
dirige la natura e trasforma, secondo i suoi progetti, i materiali della
natura, anche il mago esperto forma la materia primordiale passata attraverso
tutti i tipi dell’ evoluzione.
La
teosofia contemporanea fa la volontà a una delle tre onde vitali che
contemplano l’universo, secondo questa teoria (3. al cap. XXIV). La
volontà, che anima la materia (contemplata l’ evoluzione), diventa la
volontà del lustro rapido (chiarore improvviso) divino, la parte del
Fuoco Divino — del Fohat-Logos che avvicina questa parte del Fuoco Divino al
Cundalini dei gioghi indiani. Nelle spiegazioni 24, 25 e 33 di certi frammenti
del menzionato già “Libro delle Regole d’ Oro”, il traduttore compone le
determinazioni brevi di questa Forza misteriosa che corrisponde al concetto
“AUM”: il concetto “Cundalini” rappresenta il Fuoco mistico o la Forza di
serpente. È questa Potenza occulta di Fohat; questa forza primordiale
costituisce tutta la materia organica e non organica. Essa ha la forma di
anello per il movimento spirale e per il lavoro mediante il corpo dell’ accetto
che lo rappresenta e lo sviluppa. È l’ artistica forza
elettro-spirituale la quale, se provocasse qualche azione, potrebbe facilmente
distruggere, come creare, e uccidere ed al tempo stesso regalare la vita.
È la madre dell’Universo…”. La principessa era tranquilla seguendo la
fontana del suo sangue. Prima di sacrificare la sua vita il principe
sussurrò: “Sono felice”.
Con la
preghiera nuova, curando la puntura approfondita con la parola nuova alzai la
vittima nel vaso sacrale al trono antico per chiudere sotto il tessuto ricamato
con l’ornamento. E tocai dal fronte il vaso caldo col sangue, creavo la
preghiera… La sua ispirazione unì e rafforzò i miei sentimenti
all’unica aspirazione calmò il corpo e io uscii alla dimenticanza di
sé conquistato con la beatitudine fra la realtà e il sonno. Entro il suo corpo, il sacerdote era il diavolo.
P. 235: Nella
tranquillità chiara, splendente e senza personalità con l’anima
del mondo confluendo armoniosamente, l’anima ringiovanita strappava gli strati
delle influenze terrene come la pelle del serpente.
Così l’anima del sacerdote
si nutriva dall’incoscienza con la forza della giovinezza rifiorita e sembrava
unirsi con l’Universo in vigore del dolore e della sofferenza delle vittime che
stava sospesa tra la vita e la morte nello stesso processo.
Allora la Forza, come la corrente
anulare, accese spontaneamente nel mio sangue. E nel cuore la fiamma del santo
fuoco, tremando, trepidò come il pungiglione.
P. 236: 3 L’
unità dello spazio cosmico e di qualche individuo è stata
espressa con la formula triplice: “Io sono Brama” — “Io sono quello”— “Quello
che tu sei”. Brama, sf. Desiderio inteso, violento, smodato (di cibo, di ricchezze;
anche di onori, di sapere); avidità sferenata (che non rifugge da nessun
mezzo per appagarsi, e nell’attesa si arrovella e tormenta). Dante, Inf.,
1-49: Ed una lupa, che di tutte brame / sembrava carca nella sua magrezza.
Boccacio, 3-1.26 (Inf., 1, 49): Brama è propriamente il bestiale
appetito di minacciare. Buti, 1-34 (Inf., 1-49): Cioè parea caricata di tutte brame, di tutta fame. Dante, Inf.,
15-III: Anche vedervi, / s’avessi avuto di tal tigna brama / colui potei che
dal servo de’ servi / fu trasmutato d’Arno in Bacchiglione, / dove
lasciò li mal protesi nervi. Idem, Inf., 32-94: Ed elli a me: “Del
contrario ho io brama”. Idem, Par., 4-4: Sì ristarebbe un agno
intra due brame / di fieri lupi, igualmente temendo. (“Grande
Dizionario della lingua italiana”, Unione tipografico-editrice Torinese .
9/V71964.). Essi obbligarono a leggere le altre preghiere
demoniche:
ha il confine col mondo nostro,
ma è chiusa dalla gente, si sparge infinito il mondo delle idee senza
sentimenti. Sono i sogni del Caos,
i sogni del Titano nello specchio morto dei secoli è come l’ombra del
vapore delle nuvole sulla superficie tranquilla dell’oceano. Lì
nasceranno, senza concezioni al di fuori delle cagioni ed al di fuori delle
alternanze, le orde senza nomi dei concetti incoscienti… Inquietando e violando
con la pesantezza del sentimento scuro, li disturba la volontà cieca
della sete perfida dell’essere. Soltanto la potenza artistica della parola
è vincente sopra l’essere senza viso. Il silenzio si frantumerà
col suono dell’appello. Le parole potenti del fulmine si spruzzeranno all’
oscurità del non essere, nell’immagine evidente della risonanza,
animando l’essenza senza nome. Il lato positivo della vita e il desiderio
della felicità comuni a tutti superano le forze del Caos nell’anima
persa del sacerdote. Il folle sacerdote decide di obbedire e superare le forze
incoscienti delle orde senza nome. Sentendo il potere della parola non di
qua comanda: ”Affinché tu sia quello!” per entrare visibilmente nel
cerchio esterno, o Nulla incarnato. Però essi privarono della pietà
ai gemelli.
P. 237: Ancora non
è placato l’ ultimo suono nel tempio e si ode il breve sospiro strozzato
simile al pianto. Io capì la tortura. Ma, estraneo alla pietà io
stavo nella previsione sacrale. Lo toccai con lo sguardo, col piacere del
creatore, come immagine putrefatta, la forma corporea del ceto dei gemelli. Egli
non uccideva. Il sacerdote si nutriva con l’energia della loro vita e della
loro freschezza, della loro tortura e della loro morte. Verosimilmente,
desiderava obbedire e superare la loro confluenza reincarnata nell’Androgino
allo scopo di ottenere l’ immortalità attraverso le potenze senza
coscienza e senza immagini per salvare il mondo? La memoria della
saggezza umana del sacerdote si obbediva alla memoria diabolica della
sensazione nell’estasi che lo obbligò ad obliare le pietà per
sofferenze dei gemelli. Essi non potevano morire velocemente come il sacerdote
aveva progettato in precedenza. La loro estasi fu spenta. Le corde li
tormentarono; la febbre terribile
gli seccò le labbra. Le loro sofferenze furono imprese negli occhi.
Sotto i nodi si enfiarono le tumefazioni delle vene gonfie di sangue…Il
sacerdote seguitava ad ignorarlo.
P. 238: Per celare il suo
atto alle vittime E ALLA PROPRIA COSCIENZA nel XLVII capitolo egli parla ai
gemelli tormentati e ancora vivi: “Coraggio, figli! Non molto tempo ci
sarà dalla fine!” Egli sogna come il loro padre vedrà l’erede
eterno nell’Androgino. Ma le forze del male non riescono a cancellare la
memoria della saggezza umana nell’anima del sacerdote potente. E il Grande
Drago della Potenza minacciante turbina in me: stringe il mio cuore
dolorosamente come nelle zampe del piovra e sventola nel corpo come il ciclone
arso.
Così
la forza del Caos lo portò a dimenticare il mondo e se stesso. La forza
della volontà tuttavia lo salvò prima della perdita del controllo
degli elementi. Questa forza lo aiutò a scansare l’inferno e reincarlo
nel corpo dell’autore della “Rovina di Atlantide”.
Ma con
la volontà dura adusa agli sforzi, faccio il discorso approfondendo la
natura e placando la pressione potente e terribile degli elementi cechi. Il nome comune e proibito dei gemelli fusi lo
ammira. Il principe chiamava la sorella gemente nel delirio. Il sacerdote
indifferente alle torture scriveva il loro nome col sangue sulle loro fronti
come sulla materia agognata. Quando i corpi cessarono di sospirare egli vidi la
memoria della saggezza umana e per un attimo fugace la memoria divina
dell’Universo, ma con che prezzo? L’autore completa il capitolo con la
descrizione dei gemelli defunti tutta la loro bellezza.
XLVIII Cap. p. 242 Dopo la
visione, simile alle canzoni invertite del “Paradiso” dantesco l’ultimo
sacerdote di Ra brucia i loro corpi con l’acqua morta come col fuoco senza che
si decomponessero.
P. 243: I sette demoni della
mitologia ebraica antica sono: Belzebù — è il conte dei demoni e
dell’ oscurità; Samaele — è il conte dell’ aria e l’ angelo del
tribunale; Pitone — è lo spirito degli indovini; Azmodeo — è l’
angelo uccisore; Belialo — è lo spirito dei traditori fitti nel ghiaccio;
Lucifero — è lo spirito della luce astrale; Satana — è lo spirito
opposto a Dio. Nel venir meno ratto della
bellezza mondana resiede l’immagine chiara della temporalità vitale. Egli pronuncia il loro nome proibito la prima
volta e la notte della natura mischiata si rianimò nuovamente. Egli
spruzza le tracce dei corpi scomparsi con l’acqua viva. Che potenza salvava
l’anima dell’ultimo sacerdote secondo la concezione teosofica di Golokhastov?
Prima di tutto, egli non dimenticò lo stimolo impeccabile della memoria
della saggezza umana e l’aspirazione alla memoria divina. Egli continuava a
concentrarsi sulla salvezza del mondo. Le forze delle orde senza coscienza e
senza nome non poterono condurlo al Caos quando il sacerdote divenne il
proprietario della natura senza regole. Egli cacciò via il diavolo da
sé e da tutto: Io spruzzo conducendo gli Inizi Spirituali nel cammino
all’ Eternità dalla prigione caduta. Contrapposto a Dio, Dominio dell’
astrale, Potere dell’Aria, Dominio degli spiriti dell’ oscurità, Egemone
della predizione, Angelo Sterminatore e Demonio della Caduta della fede! Dal
potere delle Magie Supreme vi caccio via
come il mago guida di questi atti sacrali all’ora prediletta di Istar.
“…[75]… quest’ordine (del
fato) avvince le azioni e le varie vicende degli uomini con un’inscindibile
connessione causale; la qual connessione procedendo nella sua origine dai
principi dell’immobile provvidenza, è necessario che anche quelle cause
siano immutabili. Le cose infatti sono ordinate [80] nella maniera migliore se
la semplicità che risiede nella mente divina dà origine a un
ordine irremovibile di cause, e quest’
ordine poi con la sua immutabilità raffrena le cose mutevoli che
altrimenti andrebbero vagando caoticamente. (1)
Il sacerdote provocò l’apocalisse di
Atlantide e deste regola a un ordine nuovo del rinnovamento dell’
umanità. Si può supporre che Golokhvastov voglia mostrare i
tratti pagani e sbagliati della fede nel dio del sole perché il sole non
muove nel mondo caotico regolarmente. Secondo Boezio e il cristianesimo, il Dio
Assoluto, Signore di tutto è immobile e dirige il mondo instabile e
mortale. La divinità eterna è ovunque. Dio creò questo
mondo dinamico i cui movimenti corrispondono alla volontà di Dio che
sostituisce la Divinità statica ovunque dal frutto dinamico dell’ attività
divina, in cui si nasconde la legge principale della civilizzazione di
Atlantide che doveva scomparire.
Per quanto dunque a voi, del tutto incapaci di
discernere quest’ordine, tutte le cose appaiano confuse e sconvolte, [85] non
di meno obbediscono tutte ad una loro norma, che le orienta verso il bene.
Nessun’azione, infatti, viene compiuta a fin di male neppure dagli stessi
malvagi; questi, come ho abbondantemente dimostrato, cercano sì il bene,
ma ne sono sviati da un perverso errore; tanto è impensabile che
l’ordine che scaturisce dal fulcro che è il sommo bene possa mai
deflettere dal suo ordine. (2) 1, 2 (Boezio “Consolazione della filosofia,
IV, 6)
Perciò non si poteva
evitare la catastrofe della civilizzazione di Atlantide. Gli errori del sacerdote
salvano tutti gli altri continenti dal peccato e, verosimilmente, restituisce
due emisferi al loro inizio prima della loro nascita nei corpi dei gemelli che
non erano che la separazione dell’anima inseparabile anche la sua apocalisse
innalzò il mondo disturbato come la condanna di Boezio innalzò la
potenza della sua anima fino al libro d’oro “Consolatio philosofiae”
(“Consolazione della filosofia”)
…Boezio sostiene che i malvagi sono infelici
appunto in quanto tali e che potranno avere un sollievo alla loro
infelicità solo scontando la pena dovuta alla loro malvagità. Chi
riesce ad evitarla merita più compassione di chi, invece, la sconta,
perché quest’ultimo riesce almeno in parte a liberarsi dal male (cfr.
472e sgg. che si evidenzia, nella “Rovina di Atlantide” come
alcuna liberazione dell’ultimo sacerdote supremo dalla società
incurabile e da sé, perché egli stesso non era che la sua
particella)… Precisato questo, si torna al punto iniziale:
come si armonizza la certezza dell’esistenza del bene e del male con il
dispiegarsi della provvidenza di Dio?
se, come è evidente a tutti, i beni terreni (i quali, pur non essendo
veri beni, sono però almeno in parte tali: cfr. Arisot., Eth. Nicom. 117
8° 25- b 3) toccano a caso agli uomini, allora bisogna concludere che la loro
distribuzione è ingiusta. Ma se c’è un Dio che guida ogni cosa,
anche l’attribuzione del bene e del male deve dipendere da certe cause:
bisogna, dunque, conoscere siffatte cause. È evidente l’allusione di
Boezio a se stesso e alla propria vicenda, nella quale la sua nobile condotta
era stata così ingiustamente ricompensata (prosa 5). In modo un po’
criptico ciò è confermato dal successivo carme V: se uno osserva
i fenomeni celesti a cui è abituato, non se ne meraviglia, mentre se gli
capita di osservare dei fenomeni non usuali (ad esempio, una eclissi), rimane
sbigottito, perché non ne conosce le cause. Altrettanto avviene per il
bene e il male che sono sulla terra, la cui intima giustificazione sfugge ad un
primo sguardo degli uomini. (“La
consolazione della filosofia” di Severino Boezio a cura di Claudio Moreschini (p.46), Unione Tipografico-Editrice
Torinese.)
L’ultimo sacerdote diviene la
vittima implicita, espressione di questa incapacità umana di discernere
l’ordine universale dal disordine anche di capire che il desiderio di cambiare
l’ordine delle forze della natura condurrà al caos, alla perdizione del
controllo degli elementi.
Scendete all’ Oscurità! Vi
comando con la Forza Chiara e con l’Angelo del pentacolo… Allo stesso tempo egli continuò a chiamare
l’Androgino dal Regno dei morti. All’interno della sua anima la menzogna della
memoria della saggezza umana e il desiderio accecante e accecato della memoria
della sensazione superarono la memoria divina che era stata violata ed era
scomparsa per vincere distruggere il sacerdote e la civilizzazione di Atlantide
alla fine dell’epopea.
III ROVINA DI ATLANTIDE p. 254: Sicofante — il mentitore, è
il testimone falso. Quasi tutta la copertura del tempio Ziggurat era
d’argento, i cui acroteri erano coperti
d’oro. Il soffitto era fatto con ossa di elefanti. Nella “Rovina di
Atlantide”, il culto del dio vissuto sul sole simbolizza un Dio monoteistico.
Il significato essenziale filosofico aveva il suo volto umano nel corpo del dio
Ra. Lo simbolizzava il suo ultimo servitore all’inizio dell’epopea che
simbolizza, alla fine, la sua antitesi. Egli diventa il mentitore di se stesso.
Ancora prima di uccidere i gemelli presentiva che non tutto sarebbe stato conforme
ai suoi desideri. Perché Atlasso non utilizzò il mistero dell’
immortalità? Si portò questo segreto nella tomba, dove lo nascose
sul suo cadavere. Pensava che nessuno fra coloro che erano ammessi allo
Ziggurat sarebbe riscritto a tormentare la sua cenere. Il protagonista
all’inizio non riusciva a non capire il pericolo dell’apertura di questo
mistero. Ma l’interesse di animale, che dirige la memoria della sensazione,
suscita il desiderio fanatico di raggiungere lo scopo dello schiavo cieco
mentitore di se stesso. Verosimilmente, Golokhvastov vuole paragonarlo ai
liberi politici della sua epoca. Ma utilizza la filosofia, la magia e lo scopo
dell’ Antichità e del Medioevo che fanno comparire l’Androgino
desiderato, l’ autenticità, la perfezione di tutto l’umano. Solo alla
fine si può indovinare perché la sua faccia, che in prima
simbolizzava e armonizzava il dio che si contrappone all’animale. Golokhvastov
utilizza questa immagine del dio simile a quattro animali e ne armonizza
quattro in sé: aquila, vitello, leone ed agno. L’immagine di
questo dio aveva il volto di ogni sacerdote nuovo regnato secondo la
tradizione. Questo dio con l’aspetto e il posto del sacerdote lo spinse a fare
il crimine previsto per ottenere il desiderio innaturale. Per questo motivo il
desiderio di essere immortale reca in sé il malinteso che si
trasformerà nella menzogna fatale. Il sacerdote prevede la fine tragica
dei gemelli nella notte della loro nascita. Tuttavia nei primi capitoli egli
non capisce che egli stesso, che simbolizza il dio animale con la faccia umana
sarà la causa di questa morte orribile. Il dio che riunisce in sé
quei quattro animali deve essere simile al Grifone che sale al “Paradiso”. Ma
il Grifone dantesco non ha la faccia umana e il corpo di animale allo stesso
tempo. Il Grifone è solo l’uccello di colore vermiglio allo stesso tempo
il Grifone riunisce in sé quattro animali all’interno dell’incoscienza
nel XXIX Canto del “Purgatorio” della “Divina commedia” di Dante (106-114):
Lo spazio dentro a lor quattro
contenne
Un carro, in su due rote, trionfale,
ch’al collo d’ un Grifon tirato venne.
Esso tendea in su l’ una e
l’altra ale
Tra la mezzana e le tre e tre liste,
sì ch’ a nulla, fendendo, facea male.
Tanto salivan che non eran viste
Le membra d’oro avea quant’era uccello,
e bianche altre, di vermiglio miste.
106. contenne: accolse. 107-14.
carro…miste: più che non da qualche vago spunto scrittuale (Ezech.,
I, 15-21; Psalm., 67, 18; IV Reg., 2, II), avverte (vv. 115-7). Che il carro
sia simbolo della Chiesa, è interpretazione concorde di tutti i
commentatori antichi; ed è anche quella che meglio s’adegua agli
svolgimenti successivi dell’invenzione. (Invece, l’immagine dell’animale ha il volto del
sacerdote supremo con la sua invenzione bipolare.) Le due rote significheranno le
due Leggi o i due Testamenti, come intendono e più; ovvero (come pensano
il Lana, Benvenuto e l’Anonimo fiorentino) la vita attiva e la contemplativa; o
anche, secondo altri, la sapienza e la carità (Cfr. Par., XI, 28-36;
XII, 106-7), o l’amor di Dio e quello
del prossimo (Cuchitto). Il Grifon, leone con testa e ali di
aquila, è certo il Cristo, in cui si congiungono la natura umana e la
divina (cfr. Isidoro di Siviglia, Orig., XII, 2, 17): le parti in cui
è uccello sono d’oro, “quantum ad divinitatem”, le rimanenti bianche,
“quantum ad carnem humanam puram”, e inoltre di vermiglio miste, “quia sanguine
rubricata in ipsa passione eiusdem domini Iesu Cristi” (Benvenuto); le sue ali
si protendono verso la zona del cielo striata dalle sette liste luminose,
passando per gli spazi a sinistra e a destra della lista mediana e lasciando
fuori da ciascuna parte tre liste, senza toccarne alcuna e vederla in qualche
modo (probabile simbolo della perfetta concordia fra la dottrina di Gesù
e la sapienza dello Spirito Santo); e inoltre si levano tanto in alto che la
vista umana non può seguirle, perché “salgono infino a Dio, il
quale nessuno può comprendere” (Buti). 108. al collo: dal collo. (1) (“La
Divina Commedia a cura di Natalino Sapegno. Riccardo Ricciardi (pp. 729-730).
Editore –Milano-Napoli 1954.)
Lo
spazio: intendi: in mezzo ai quattro animali venne un carro tirato da un
grifone. Il carro rappresenta la Chiesa; le due ruote il Testamento vecchio e
il nuovo, il grifone Gesù Cristo, uomo e dio, fondatore e guida della
Chiesa. — tendea in su: alzava le ali per modo, che ciascuna “veniva ad esser
tesa infra la lista media e le tre di quel lato, e nessuna delle sette liste
(v. 77) turbava ( a nulla facea male) intersecandola (fendendo)” (Andreoli). d’oro:
simbolo della essenza divina. Il bianco e vermiglio delle altre membra è
simbolo della natura umana. (“La Divina Commedia” p. 3 (pp. 689-691); ristampa anastatica
dell’editore G.C. Sansoni, Firenze 1922,1988 )
Ma l’
immagine di Grifone simbolizza filosoficamente Gesù Cristo (Dio)
fondatore e guida della chiesa. Gesù sta nel XXXIII canto del Paradiso.
Verosimilmente, Golokhvastov vuole dire, mediante l’allusione accessibile solo
ai più istruiti lettori, che l’ immagine del dio Ra non è il Dio
naturale. Alla fine della “Rovina di Atlantide” l’ autore mostra la percezione
egoistica della divinità falsa; essa ha la faccia dell’uomo simile a
tutta l’ umanità della sua epoca. Perché, all’ inizio del poema, l’
esposizione del dio Ra ha la faccia umana e non solo quella, ad esempio, del
Profeta Atlasso? Perché il primo profeta non era come tutti. Invece il
dio del corpo dell’ animale ha la faccia del suo sacerdote cambiato che non
è che il servitore spirituale del tempio, in cui uno si sostituisce
dall’altro fino all’ultimo per accecare il proprio spirito e trasformare se
stesso e tutto il mondo nelle vittime del rinnovamento. Quando egli capisce il
suo ruolo fatale nella storia la sua volontà spirituale desidera
affinché dimentichino il suo maledetto nome della vita precedente che
non lo declinino fra i nomi più orribili di tutta la storia. Il nome
implicito del tentatore con la faccia umana non è di Grifone; ma di
Gerione dal XVII canto dell’ “Inferno” (dei versi: dal 131 del XVI canto – fino
al 32 del XVII canto dell’ Inf.) di Dante:
“Ecco la fiera con la coda aguzza,
che passa i monti, e rompe i muri e l’armi;
ecco colei che tutto il mondo appuzza!”
Si cominciò lo mio duca a
parlarmi; 4
e accennolle che venisse a proda
vicino al fin de’ passeggiati marmi.
E quella sozza immagine di froda 7
sen venne, e arrivò la testa e ‘l busto,
ma ’n su la riva non trasse la coda.
La faccia sua era faccia d’ uom
giusto, 10
tanto benigna avea di fior la pelle,
e d’ un serpente tutto l’ altro fusto:
due branche avea pilose in fin l’
ascelle, 13
lo dorso e ’l petto e ambedue le coste
dipinti avea di nodi e di rotelle.
I simboli, come l’ ordine dell’
alternanza dei colori, possono scaturire dall’ incoscienza, oppure possono
essere composti specialmente per contraddire la “Divina commedia”, a volte
rifiutandola. Nella “Divina commedia” in precedenza compare l’immagine
infernale di Gerione e dopo, nel “Paradiso” il viaggiatore incontra il Grifone,
l’opposto del primo. Ma entrambi nella “Divina commedia” hanno nomi simili.
Nella “Rovina di Atlantide” l’immagine del dio Ra, intagliata e disegnata sul
soffitto dello Ziggurat con la faccia dell’ultimo sacerdote supremo, sintetizza
ambedue immagini dantesche. Ma, al contrario di Dante all’ inizio, il lettore
percepisce il prototipo del Grifone, alla fine la salita al cielo dell’
Androgino con la nuvola rossa il lettore, abbastanza istruito, vede Gerione
nell’ immagine dell’ ultimo sacerdote sicofante. Perché così come
in un primo tempo Dante scende all’“Inferno”, quanto prima il sacerdote ascende
seguendo la realizzazione del suo progetto. In seguito, secondo lo schema
implicito della composizione della “Rovina di Atlantide”, di tanto Dante si
alza, quanto il sacerdote cade. La caduta della sua anima inizia con la sua
prima visita nel tempio sottoterreno ma non a scopo formativo come Dante!
Scende là per trovare la risposta negata sempre agli uomini.
Il Gerione di Crisaore passa i
monti. Va in ogni luogo, vincendo e abbattendo ogni ostacolo come fece il
sacerdote di Ra avvicinandosi al suo scopo. Egli vinceva tutti i sentimenti
della giovinezza per conseguire i misteri sacrali. Nessun’ostacolo esisteva
nella sua anima. Egli pensava di lottare sempre per l’affare divino sotto il
segno del sole con la faccia dell’ uomo giusto in seguito quando
ucciderà i gemelli per l’ immortalità giustificherà il sacrilegio. Dopo
pronuncerà la punizione:
Suona dall’ oscurità dei
tempi: “Non uccidere!”, ma l’ultimo sacerdote coronato con la fama, io ho
trasgredito questo come il mago sicofante che onorava sacramentalmente il
primario di Atlantide!…
La faccia simbolizza “la frode, esecuzione dell’
ingiuria con l’inganno, assume l’ aspetto del contrario, dell’ ingiusto”, scrive Torraca (Cfr. Conv., I, 12) del
Grifone della “Divina commedia”. Il corpo sibolico del sacerdote non
corrisponde al corpo di Grifone ma corrisponde al serpente fatale nel vaso del
sangue dei gemelli. Come il destino questa immagine si esamina, verosimilmente,
solo dall’ interno. Due branche di Grifone sono state contrapposte ai piedi del
toro simbolizzato il dio Ra. Gerione è la fatalità del sacerdote
che lascia la sua faccia dopo l’uccisione dei gemelli attraverso il sacrificio
proibito e la loro trasformazione nell’Androgino.
Il dio Ra è generoso e
resta tale se rapportato al nostro Dio e non al suo simbolo corrotto costruito
col suo ultimo sacerdote come il titolo di Papa di Roma non è mai stato
identificato a molti pontefici Anastasio, Adreano V,
Nicolò III e Bonifazio VIII nella “Divina commedia”.
Il popolo dell’ ultimo sacerdote
supremo, che lo simbolizzava, dimenticò Dio, secondo le ultime righe del
“Crizia”, il cui pensiero è riflessivo alla fine del cap. III della
“Rovina di Atlantide” È la dimostrazione, implicita tramite le immagini
celate, che il simbolo dell’ immortalità non è l’
immortalità stessa come il simbolo del bene non è il bene stesso.
La previsione della catastrofe e il desiderio di evitarla non realizzano la
salvazione. Qui si nasconde la tragedia di tutta l’esistenza umana fino ai
nostri giorni. Questo fatalismo filosofico diventa la fonte principale della
memoria della saggezza umana che sintetizza si sé la giustificazione e
l’inganno, il simbolo e la realtà.
Secondo la prima di tali
concezioni le espressioni implicanti la categoria di causalità assumono
nella storia un significato diverso da quello che hanno quando sono impiegate
dagli scienziati naturali: gli storici, avendo un compito più
descrittivo che esplicativo, quando enumerano le cause di un certo evento
intendono in realtà riferirsi alle circostanze, ai motivi, alle ragioni,
alle intenzioni o agli scopi che rendono comprensibile perché degli
uomini, posti in una data situazione, agirono come agirono. (p. 3)
…coloro che “restringono la loro
ricerca alla “pura descrizione” del passato senza alcun tentativo di offrire
spiegazione, asserzioni riguardanti la rivelanza e la determinazione ecc.”
(Hempel 1942, p. 355), vale a dire gli storici nella prima accezione tardo-ottocentesca
del termine, secondo i quali lo storico, per citare il celebre morto di Ranke,
deve limitarsi a narrare “come sono andate effettivamente le cose” (wie es
eigetlich gewesen); (p. 6) (Hempel, Negel e le leggi di copertura: Cause e ragione che si evidenziano in
tre gruppi delle conformità umana. (C.
G. Hempel, “Aspetti della spiegazione scientifica” (pp. 3 e
6), il Saggiatore, Milano 1986)
Secondo
la prima teoria di Hempel, si può credere nell’esistenza del libero
arbitrio in ogni protagonista della “Rovina di Atlantide”. Nessun fatto
epocale, sociale e spirituale non giustifica il desiderio dell’ultimo
sacerdote, il modo di ottenerlo e il l’eutanasia di due amanti contrapposti
alla natura. Anche se il profeta Atlasso capì che la scoperta del
mistero dell’ immortalità distrugge l’armonia della natura non
sarà mai possibile aprirlo a nessun mortale. Perché il primo
profeta lasciò l’amuleto, che spiega l’ultima gradina della scala al
mistero, sul suo collo prima di morire. Verosimilmente, egli voleva rigenerare
la civilizzazione dell’isola verde e distruggerla in seguito al periodo
prestabilito? Se non è così perché egli non
sterminò tutte le tracce della memoria di quello? Allora possiamo
supporre che egli stesso assuma il peccato dell’ultimo sacerdote e dei gemelli
infelici. Atlasso analizzò la capacità della memoria della
sensazione peggiore della natura umana e
quando venne il tempo dell’incarnazione della persona prevista volle giocare il
ruolo di Dio nella storia e trovò l’amuleto sullo scheletro di Atlasso
per provocare l’apocalisse. Se questa proposta è corretta Golokhvastov
riflette le immagini del Principe Amleto e del suo educatore scherzoso Yorik
nei personaggi dell’ultimo sacerdote di Ra e il profeta. Sono entrambi le
vittime del destino ed entrambi tengono in mano i crani dei loro insegnanti con
l’orgoglio e con l’illusione affinché le loro vite superino la morte
perfida. L’incontro tra il sacerdote vivo ed il profeta morto fa presupporre
che non Dio avesse previsto tutto ma che il ruolo di Dio assumesse il
profeta presentito lo stesso incontro. La colpa del profeta diventa
più pesante di quella del sacerdote accecato se analizzano i fatti
storici senza alcun tentativo di offrire spiegazioni delle circostanze e
dimenticano la provvidenza divina.
B) Agli antinaturalisti (“affidano alla
storiografia il compito di descrivere e comprendere…, tale comprensione
è ritenuta ermeneutica e distinta dalle spiegazioni delle scienze
naturali,”… si evidenzia “il fondamento della cultura concepita in opposizione
alla natura.” / essi sono da considerarsi i compatibilisti) appartengono tutti
e tre i protagonisti dell’epopea.
In base alla seconda concezione un’ azione umana o un
processo storico possono essere spiegati casualmente… perché non
è contraddittorio asserire che un certo evento (c) fu causa di un altro
evento (e) e negare, al contempo, l’esistenza di una qualsiasi legge, secondo
la quale ogni volta che accade un evento del tipo di (c) segue (o accade
simultaneamente) con regolarità un evento del tipo di (e). Ad esempio
asserisca che l’assassinio dell’arciduca d’Austria a Sarajevo causò lo
scoppio della prima guerra mondiale non è costretto ad ammettere la validità di
una qualche implausibile legge, secondo la quale gli assassini provocano sempre (o quanto meno in genere) delle guerre
mondiali. È questa una posizione basata sulla nozione di
“causalità singolare” (p. 4)
…quegli storicismi (nel principale dei significati assunti
dalla parola nel Novecento) che, sulla scorta di Windelband e Rickert,
distinguono le scienze idiografiche da quelle nomotetiche e pertanto, mentre
riservano alle “cosiddette scienze fisiche” e ad altre discipline
metodologicamente affini la ricerca di leggi, affidano invece alla storiografia
il compito di descrivere e comprendere dall’interno, nella loro irriducibile
individualità, dagli eventi che si configurano come storici proprio
perché unici ed irrepetibili; tale comprensione è ritenuta
simpatetica (o ermeneutica) e comunque distante dalle spiegazioni delle scienze
naturali, perché fa riferimento a dei valori che sono esclusivamente
umani e che costituiscono, in Rickert, il fondamento della “cultura” concepita
in opposizione alla “natura”. (Hempel, Negel e le leggi di
copertura: Cause e ragione che
si evidenziano in tre gruppi delle conformità umana C. G. Hempel, “Aspetti
della spiegazione scientifica”(pp. 4
e 6), il Saggiatore, Milano 1986)
Molti
elementi dimostravano al sacerdote che il suo itinerario è sbagliato.
Quando vedeva il pericolo dopo quindici anni nelle stelle voleva sinceramente
difendere i bambini reggi. Perché la stessa anima non vedeva il pericolo
quando arrivò il termine? Perché la natura umana crede nelle
proprie forze e sbaglia sempre? A tutti gli uomini si presenta la
possibilità di scegliere e ciascuno sceglie entro i termini della
predestinazione. Nel XXXVIII capitolo (pp. 191-195) il sacerdote prega
affinché i gemelli rinunzino al suicidio. Egli crede che quello
sarà da considerarsi come l’atto eroico ma dopo la voce dell’anima suggerisce
che sulla cima della Santa Montagna si nasconde il pericolo. Anche la bambinaia
non accecata capisce la follia del rito che accompagna i gemelli saliti alla
morte apocalittica, ella non riesce a compiere il suo ruolo rituale nel XXXIX
capitolo nelle pp. 202-203. Il suo cuore sente il pericolo e pertanto le labbra
pronunciano l’altra preghiera contraddetta il rito del suicidio e il sacerdote
la interrompe. Nella pagina 204 la vecchia cade incosciente. L’ anima
può scegliere e sceglie che non volesse stare sotto l’influenza delle
circostanze persuase. Il sacerdote poteva scegliere la morte contrapposta all’
immortalità. Il destino lo fa essere supremo nell’epoca in cui nacquero
i gemelli. Tutti e tre dovevano e non dovevano allo stesso tempo compiere le loro
predestinazioni, ciò che si può spiegare secondo le circostanze e
la volontà umana dipendente dalla memoria del sensazione.
Verosimilmente, si poteva andare contro le circostanze, la previsione di Atasso
di condannare l’ umanità, di vincere e di comprendere il desiderio di
immortalità. Tutto poteva sviluppare gli eventi ma non esisteva invece
la giustificazione per il tradimento dell’amore al di fuori della natura e per
il legame all’eredità di Atlasso. Se si analizza la “Rovina di Atlantide”
dal punto di vista dei compatibilisti si vede che l’uomo ha il diritto di
combinare le circostanze storiche e sociali ma soltanto quelle dirigono gli
atti umani e fanno la storia. Le anime come quelle del principe e della
bambinaia vedono la realtà in modo più preciso della sorella e
dell’ ultimo sacerdote ma non possono lottare contro la loro fatalità.
Le altre persone come l’ultimo sacerdote entrano nello stato di cecità
in cui non perdono la potenza e resistono alle forze caotiche del male e allo steso
tempo non desistono dallo scopo sbagliato e restano indifferenti alle
sofferenze delle vittime come nel XLVII capitolo nelle pp. 238-241 e nel XLVIII
capitolo nella p. 243.
Nulla est virtus in coelo aut in terra seminaliter et
separata, quam et actuale et unire magus non possit (Non c’è la
virtù nel cielo anche sulla terra
di seme e separata come ed attualmente il mago non potesse unire) (Conclusiones magicae 5, Opera, 104 Pico della Mirandola), “Idea del
microcosmo e “Dignità umana”, Seconda parte, terzo capitolo, Ernst
Cassirer, (p. 1), Leipzig,
Berlin, 1938).
Dopo il
rito dell’uccisione e della disgregazione dei loro corpi le potenze caotiche
della memoria della peggiore sensazione colmano l’anima del sacerdote e lo
obbligano a pronunciare le preghiere diaboliche dove la metrica (quantità dei suoni vocali) e l’alternanza tonica
delle sillabe lunghe e brevi costruiscono l’esametro
classico e non corrispondono al ordine totale (_VV__VV__VV__V(V)) di
tutta l’epopea. Verosimilmente, egli perde l’anima indipendente nella fine
dell’ ultimo capitolo dell’“Atlantide”,
seconda parte dell’epopea nelle
pp. 246-247:
Ïðàçäíåñòâà Âå÷íîãî
Äóõà ÿ ïðàçäíóþ 9
È ïîäíèìàþ íà áîé
òîðæåñòâà
Äðåâíþþ, ò¸ìíóþ, ñïÿùóþ, ïðàçäíóþ,
Êîñíóþ ìîùü âåùåñòâà
Io celebro
la festa dello spirito eterno ed alzo, al combattimento del trionfo, la
potenza antica, scura, festeggiata, corrotta della sostanza d’ossa.
Âàñ çàêëèíàþ ÿ, Ñèëû íà÷àëüíûå,
Âàñ, íåðàçóìíûå, â áåçäíàõ
áåñïëîäíûå,
Âñåõ âàñ, áåçäóøíûå, â íåäðàõ
êàáàëüíûå!
Ãåíèè Âåòðà, òèòàíû âîçäóøíûå! 7
Äåìîíû Ìîðÿ, êîëîññû ïîäâîäíûå!
Ãíîìû Çåìëè È Öèêëîïû Îãíÿ!
Âàì çàïîâåäóþ: âñòàíüòå ñâîáîäíûå,
Âñòàíüòå ìîãó÷èå, âñòàíüòå ïîñëóøíûå –
Âñå çà ìåíÿ!
Geni del Vento, tiranni d’aria! Demoni del Mare, colossi subacquei! Gnomi
della Terra! E Ciclopi del Fuoco! Vi prego: alzatevi liberi, alzatevi potenti,
salite ubbidienti per me!
Ãäå ñîçèäàíèå – òàì ðàçðóøåíèå.
Ñìåðòü ëèøü äà¸ò îñîçíàòü âoñêðåøåíèå:
Çèæäèòñÿ ìèð èõ áîðüáîé.
Al combattimento! Vi regalo il permesso! Dov’è la concordia perché sia la distruzione. Solo la
morte permette di intendere la resurrezione: si fonda il loro mondo sul lotto.
 êàæäîì ìãíîâåíèè – âîçíèêíîâåíèå…
Èìåíåì èñòèíû, áëàãîñëàâåíèå
Ñèëàì âîñòàâøèì íà áîé!
In ogni attimo c’è la scomparsa. In ogni
momento è la comparsa. Perché, dal nome della verità, sia
la benedizione alle potenze alzate al combattimento!
Äàëè âñåëåííîé, ðàñêðîéòåñü áåçáðåæíûå!
Ãàñíè, Èøòàð! Ðàçäàâàéñÿ ìÿòåæíåå
Âñåñîêðóøàþùèé øóì
Rompetevi nelle ceneri le
creazioni precedenti! Gli spazi dell’Universo aprite vi senza lidi! Spegniti
Ishtar! Perché faccia chiasso più ribelle rumore distruttivo
tutto.
Ñòðàøíî îçëîáëåííûõ âîä êîëûõàíèå,
Ææ¸ò èññòóïë¸ííåé îãíÿ – ïîëûõàíèå,
Äóøèò ñûïó÷èé ñàóì…
Si avvicina il sospiro più
furioso delle tempeste! Turbamento terribile delle acque arrabbiate,
brucia folle l’ardore più stupido
del fuoco, soffoca il samoom sparso.
Verosimilmente il sacerdote
credeva nella propria potenza e non aveva paura delle forze caotiche della
natura.
Si
può supporre anche che solo nella seconda quartina dalla fine del
capitolo la coscienza torni al sacerdote e la memoria della sua migliore
sensazione avvicinata alla memoria divina che comanda agli elementi perturbati:
ß âîçáóæäàþ òå÷åíèå âñòðå÷íîå:
Èìåíåì Áëàãîñòè, Ñëîâî Ïðåäâå÷íîå,
Äàé åäèíåíèå – äâóì!…
Fermati trionfo versato dal caos!
Io eccito la corrente opposta: col nome della benedizione, Parola Proeterna da
l’unità a due!…
ßâëåíà òàéíà ñòèõèéíîé ìèñòåðèè:
Òâîð÷åñêèì Äóõîì ÿ
êîñíîé ìàòåðèè
Ïîâåëåâàþ… ÀÓÌ!…
Finito! Sole dell’
immortalità sul solito! È evidenziato il segreto degli elementi
misteriosi: con lo Spirito d’Arte della materia corrotta io ordino… AUM!
Queste
sei ultime quartine hanno la stessa rima delle prime tre strofe.Ogni quarta
strofa è la comune di tutte e due le quartine precedenti ed anche le
ultime strofe delle quattro ultime quartine hanno la stessa rima. Questo ordine
della monorima medioevale corrisponde alla tradizione dei trovatori della prima
metà del XII secolo ed anche dei poemi di Jacopone da Todi nato nel 1236
circa. Verosimilmente, questa preghiera eretica riflette invece la loda 1 (LXXII)
di Jacopone da Todi e come allo stesso tempo la stessa logica è
contraddetta la “Divina commedia” affinché ogni destro (ad esempio
bianco) rappresentasse il corrispondente sinistro (ad esempio nero) ecc. che
succede, nella “Rovina di Atlantide”, ogni volta in cui qualche immagine
riflette il suo analogo contrario delle altre opere.
multi trovo che
s’ama. Trovo molti che
amano soltanto se stessi
Questi
due strofe ricordano da vicino le caratteristiche dell’amore reale dell’ ultimo
sacerdote di Ra ai gemelli adulti. Si può supporre che le prime due
righe del poema si relazionano alle prime tre quartine precedenti (non
corrisposte alla metrica di Jacopone) che obbligano le anime dei gemelli uccisi
a trasformarsi nell’unico maschile e femminile immortale.
Credeva essere
amato: Credevo che si
può essere amato
retrovome
engannato, mi ritrovo
ingannato
dividenno lo
stato 5 va dividendo
lo stato (dividono il mio stato)
per che l’omo
sì m’ama. è
perciò se l’uomo mi ama (se mi amano) .
Il
sacerdote accecato credeva nell’ inganno di se stesso e dei gemelli tormentati
prima di morire. L’uccisione magica trasformò i gemelli nelle vittime
fatali attraverso la sofferenza infernale a causa delle preghiere diaboliche.
Quelle ritirarono le potenze della loro adolescenza, nutrirono la vecchiaia con
la loro energia
ed obbligarono a perdere
la loro memoria innocente della sensazione e la memoria della saggezza umana.
La loro confessione divide lo stato fatale dell’ amore del sacerdote.
L’omo non ama
mene: L’uomo non mi ama:
ama que en me
ène: ama quanto fa
conseguire
però,
vedenno bene, perciò
vedendo bene,
veio che falso
m’ama. 10 vedo che mi amano falso.
La natura
umana non ama gli altri come ama se stessa. Essa persuade ed obbliga a credere
che ama gli altri. I cari diventano più cari per quanto fanno conseguire
lo scopo di tutta la vita. La principessa e il principe credevano che il
vecchio educatore “mi ama più di tutto nel mondo” vedendo bene la
realtà del suo amore falso dopo, con le torture prima di morire.
Si so’ rico,
potente, Se sono ricco,
potente
amato da la
gente, sono amato dalla
gente
rentrovanno a
niente, quando dopo torno a
niente
onn’ ono si me
esciama. a cui se mi disamano.
Se i
gemelli non fossero i figli del re di Atlantide il sacerdote non li amerebbe.
Se il loro amore non lo collegasse all’ immortalità egli non si
preoccuperebbe così tanto della risoluzione del loro problema fatale.
Òà Ñèëà
– ïëàìåíü, äóøà ìèðîçäàíüÿ,[Quella potenza è il fuoco,l’anima del mondo]
Âñåãî
áëàãàÿ è ãðîçíàÿ ìàòü, [la madre benedetta e minacciata]
Òàÿ
ïðåäâå÷íûé ðîäíèê ñîçèäàíüÿ,[Nascondendo il suggerimento della contemplazione]
Ðàâíî ñïîñîáíà îíà óáèâàòü. [Ella è dotata anche
per uccidere],
si canta nel XLVI
capitolo nella p. 235 quando il sacerdote tagliò le vene dei gemelli e
la loro forza caricò il suo vecchio corpo. Egli resta indifferente alla
grida di entrambi nel delirio descritto nelle pagine 238-239. Nella pagina 240
il narratore mostra la memoria della sua sensazione, che visse tutto l’Universo
con la libertà del Serpente di fuoco alzato al cielo quando
l’incarnazione dell’ultimo sacerdote di Ra violò l’equilibrio del
lotto.
ca io so’
ennodiato: perché
io sono odiato
però
è folle stato perciò
è stato folle
chi ‘n tal
pensier s’ennama. in tale pensiero
quando si amano c’è il falso amore.
(si
fa prendere all’amo)
La
realtà mostrò per quanto il tesoro della predestinazione
apocalittica dei gemelli è amato dalla natura interna del sacerdote e
come egli è odiato dopo dalle anime di tutti gli atlanti e da se stesso
nel caos apocalittico quando il sacerdote, torna alla propria memoria della
migliore sensazione indipendente perché perde il controllo degli
elementi naturali senza anima e senza ragione. Egli capisce in che stato di
follia stava quando si fece assumere il falso amore della violenza sulla
natura.
Veio la gentilezza Vedo
la nobiltà
Che non aia ricchezza 20 affinché essa non abbia ricchezza
Retornar a vivezza: per
ritornare alla bassa stima
onn’ omo l’apella brama. Da
cui l’uomo chiama l’ambizione.
Quando
il sacerdote visse se stesso senza potenza e la gentilezza dell’ Androgino
cieco e sordo in questo mondo senza ricchezza delle anime cancellate da se
stesso egli maledice e cancella il suo nome con la sua presunzione
affinché nessuno lo pronunciasse nella maledizione.
L’omo
enserviziato L’uomo
che rende servizi
da molta gente
è amato: da molta gente
è amato
vedutolo
enfermato, 25 lo
vedono malato
onn’omo
sì l’alama. di
cui egli sprofonda nel fango.
Il
sacerdote utilizza i gemelli come un mezzo pertanto le circostanze lo obbligano
ad amare così. La trasformazione dei fini nei mezzo diventa la malattia
della società che tutti gli atlanti sprofondano nel fango. L’uccisione
dei gemelli sacrificati e utilizzati come strumento dimostra che il sacerdote
non si differenzia da tutti gli altri elementi sociali spiegati storicamente
che diventano responsabili dai suoi atti.
L’omo te vole amare L’uomo vuole amarti
mentre ne
pò lograre: finché
ne può lucrare
si no i
pòi satisfare, se
non puoi soddisfarlo
tòllete
la tua fama. 30 togliti la tua
fama
Invece,
prima il sacerdote amava i bambini finché essi non rappresentavano lo
mezzo di lucrare niente. Quando la sua incoscienza capisce che la vittima
può soddisfare il suo desiderio l’amore si amplifica in molte volte ma
soltanto all’esterno, mentre all’interno svanisce. La sete di
immortalità conquista il posto dell’amore che si cela sotto il velo
dell’aiuto. Lo sviluppo degli eventi suggerisce quasi in ogni capitolo:
“Ricupera i sensi e caccia via quella di fama, la tua natura è mortale e
tu non capisci ciò che fai, fermati se vuoi amare davvero “finché
ne puoi lucrare”.
L’omo c’ha
santetate Perciò
l’uomo è da considerare la tua santità
Trova granne
amistate: Trova la grande
amicizia:
se i ven la
tempestate, se gli viene
l’avvertità
rompeglisi la
trama. Rompigli da sé stesso la trama.
Sacerdote,
i figli regi credono nella tua santità e dunque trovano in te la grande
amicizia come in nessuno e ti raccontano il loro terribile mistero. Se viene
l’avvertità rompila, tu vuoi sostituire Dio da te? Invece tu gli porti
la trama dell’eutanasia rituale contrapposta alla pietra dei sacrifici
sanguinosi e il coltello portati con molta difficoltà sulla cima della
Santa Montagna. Atlasso li volle simboli degli accessori delle vittime
sacrificali contro Dio. Le circostanze ti conducono alla scelta. Il tuo tempo
è attuale, sacerdote.
Fuggo lo falso
amore, 35 Scappo
dal falso amore
che no me prenda
‘l core: perché non mi
prenda il cuore
retornome al
Segnore, ritornami al
Signore
che ‘ ssolo vero
ama. solo vero, opposto a
falso, che ama.]
Atlasso
scelse la morte e vuole dire “Io scapo dall’ immortalità perché
non mi collegi alla vittima umana contro Dio solo, il vero (opposto a falso)
che ama. Io non sono Dio perciò scappo dal falso amore affinché
non mi prenda il cuore il desiderio di vivere a sempre. Tempo, io non voglio
essere il tuo signore, so di non capire nulla e ritorno al Signore che ama
realmente. Sacerdote tu pensi di essere più potente, più
intelligente e più degno del Primo Profeta? Invece hai sacrificato i
figli regi contro Dio e susciti gli elementi del falso amore. Se tu cieco e
accecante conoscessi la verità…
2 multi: si registra una
volta per tutte il plurale metafonetico, ossia con ù per ò
(oppure ì per è) in presenza di – ì; s’ama:
“amano soltanto se stessi” (Sapegno). Nella rima costante del componimento il
vocabolo ama compare di frequente, solo (versi primo e ultimo) o preceduto da
pronome (2, 6, 10) o da prefisso (14 esciama “disama” ), oppure
attraverso un composto di amo ( 18 s’ennama “si fa prendere
all’amo”); e tale artifizio di rima identica o composta o equivoca ribadisce
ossessivamente il tema. 6. “Se esaminano la circostanza”. Si segnala in dividenno,
una volta per tutte, assimilazione centro-meridionale nn per nd.
6. l’omo, qui e in séguito, ha valore impersonale. 7-8. mene,
ène: con paragone o epitesi di
–ne (probabilmente sul modello d’un’ alternanza t(i)e’ / t(i)ene) che
è tipica dei dialetti centrali, inclusa l’Emilia, e occorre anche in
Dante (fane, Par. XXVII 33; salìne e partine,
Purg. IV 22’4, ecc.) que: «quanto» (che è la lezione
glossematica dell’edizione Bonaccorsi). 9. però: “perciò”
è così sempre. 10. falso: neutro, con valore avverbiale. Si
segnala una volta per tutte la conservazione umbro-laziale di i consonante
(veio per toscano veggio). 13-4. Il gerundio si riferisce
all’oggetto me: “quando poi torno”. 16. ennodiato: “odiato” (se
però non sia en odiato, cfr. Iv 10 e 14). 18. pensier,
dell’amore umano: il falso amore di 35. 19. gentilezza:
“nobilità”. 21 vilezza: “bassa estimazione”. 22. brama:
varrà “ambizione, presunzione”. 23. enserviziato: atto a render
servizi” (se però non vada letto en serviato). 26. alama: apax legòmenon
come transitivo, che il Mancini (RLI LVII 152) rende con “sprofonda nel
fango”. 28. mentre: finché”; logorare: “lucrare, trarre
guadagno”. 33. tempestate: avversità”. 38. vero: opposto a falso
10. («Poeti del Duecento e poesia “popolare” e giullaresca»
(pp. 67-68), Milano, Liguri editori, s. r. l. 1979)
C) I rappresentanti di questo gruppo del
comportamento di causalità, secondo cui tutto dipende dalla previsione
del destino e non si può cambiare nulla. Ritengono possibile una
spiegazione di taluni eventi particolari senza ricorrere ad alcuna legge. Secondo la terza concezione, ogni
spiegazione causale, tanto di un evento naturale quanto l’azione umana o di
un processo storico di un evento
naturale quanto di un’azione umana o di un processo storico, implica un
riferimento ad una qualche legge scientifica o generalizzazione empirica.
È questa la posizione di quei naturalisti che, come gli empiristi logici
anzitutto, si sono riconosciuti nell’analisi della causalità, detta
anche in termine contemporanei Regularity Theory,
l’espressione “(c) causa (e)” può essere correttamente usata solo se la
descrizione di (e) e risultano empiricamente confermabili delle leggi
scientifiche, che, nel loro insieme, implichino (e quindi non ha alcun valore
informativo, né esplicativo ne predittivo) tanto nel caso che la
descrizione proposta di (e) derivi
tautologicamente da quella di (c) quanto nel caso che (c) ed (e) siano, nelle
descrizioni proposte, dissimili sotto ogni punto di vista da ogni altro evento
noto. Ad esempio il fatto che Cesare passò il Rubiconde e marciò
su Roma non può spiegare, in virtù di una impossibilità
concettuale, perché (ossia non può essere causa del fatto che)
Cesare passò il Rubicone… gli scopi non avrebbero mai scorto tra l’uno e
l’altro quella connessione che, sia esistita veramente o meno, appare
comunque,… come del tutto plausibile. (p.5)
… coloro che ritengono possibile una spiegazione causale di eventi
particolari senza ricorrere ad alcuna legge, cioè i sostenitori della
causalità singolare. (p.6)
Secondo la terza concezione
di Hempel, la memoria della sensazione senza legami alla memoria divina
è l’illusione anche il diritto della scelta dei personaggi storici non
è nient’altro che l’inganno di loro stessi. Dio diede ad Atlasso il dono
della Provvidenza e la comprensione esatta di cos’è il tempo e per ruolo
dei mortali. Ma Atlasso non può scegliere. Egli non può scegliere
perché capisce la realtà delle circostanze come Cristo Figlio
di Dio non può scegliere fra il
Regno Celeste e il regno terreno perché se egli avesse scelto non
sarebbe stato Dio, non sarebbe stato inviato sulla Terra, teoricamente, per
salvare l’ umanità. Gesù diceva che avrebbero utilizzato il suo
nome per scopi infernali e non poteva influire sulle circostanze per evitarlo.
Atlasso previde la fine fatale
dell’isola verde; allo stesso modo obbligò a portare la pietra delle
vittime umane e il coltello sulla cima della Santa Montagna e a metterli nel
centro del tempio del Dio del Sole. Secondo la prima concezione, la colpa
primordiale della catastrofe cade sull’ anima di Atlasso perché previde
lo sviluppo di tutti gli eventi avendo la possibilità di cambiarlo. Nel
secondo caso la sua colpa si limita dall’ annientamento scorretto dell’ ultimo
livello della scala all’ immortalità legata alle vittime umane. Egli
doveva annientare tutta la pergamena dove erano descritte le conseguenze dell’
immortalità. Secondo la terza concezione nessuno è
responsabile perché le circostanze storiche spiegano tutto ciò
che era programmato dalla Provvidenza
Divina.
3) Filosofia morale Sulla menzogna: la presenza del malinteso
(fraintendimento) degli eventi. Il sacerdote di Ra non doveva comprenderli
nella “Rovina di Atlantide” di Golokhvastov.
La menzogna: il mentire attraverso il linguaggio nega in modo cosciente la
funzione fondamentale del linguaggio. La comunicazione tra gli uomini
costituisce la coscienza menzognera. Il mentitore è colui che mente in
modo cosciente in quanto ha in sé la capacità di comprendere la verità
e la volontà specifica di nascondere attraverso il linguaggio. Per Platone mentire a bella posta
equivale ad agire con prossimo deliberato… … una forza un po’ selvaggia che non
batte lo stesso tempo della conoscenza”.
Il malinteso: A) … le devastazioni operate nella società dal MALINTESO, dalla
somiglianza dei dissimili, dall’ incapacità di riconoscere la
realtà. (1)
1) L’amore è il primo malinteso. Il bene può essere senza il
bello come la bellezza senza l’essenza…. Le donne non sono tutto
ciò che significano. Ad esempio, le fidanzate del principe non possono
essere identiche all’ideale della donna che si nasconde nella relazione alla
sorella. Ma la società provoca il malinteso di questo ideale sensibile
che non corrisponde alla stessa natura.
2) Il successo dipende dal malinteso, è una mitologia illusoria. Il
famoso concetto che attira le folle maschera forse le opere più
disconoscenti del compositore acclamato (Golokhvastov).
3) Il malinteso politico. Il principio negativo della lotta comune è
il codazzo di malintesi nei disegni ambigui degli stessi vincitori.
(2) Il
principe vince i pirati che rapirono la sorella e torna con la principessa allo
stesso tempo la vittoria accresce il malinteso dello scopo essenziale.
La verità è una. Si nasconde nel loro amore, nella tensione
verso l’Androgino che dovrà provocare l’apocalisse e liquidare la
civilizzazione di Atlantide. Il desiderio di nascondere la verità
compare sempre. La possibilità di nasconderla nasce con la menzogna.
Ambedue sono infinite. La gestione matematica di questa infinità
è la malafede. Essa manifesta le orge del popolo invertito e la
conquista dei tempi simboli della sacralità ecc.. Addirittura in questa
varietà, infinità di menzogne è la verità stessa
che prepara l’esponente di coscienza della menzogna. La frammentazione del “io”
in tanti attori sociali. (3) Allegoria è alcuna cosa attraverso un altro. L’egocentrismo del sacerdote supremo rafforza la
frammentazione della sua vita che esiste soltanto per provocare il sentimento
dell’egocentrismo. Il suo ruolo sociale conduce la società alla fine
attraverso il desiderio divino fondato sul malinteso politico del profeta
Atlasso.
È la tabulazione che diventa la creazione di una realtà
falsa., è il concetto sociale o più esattamente (dal momento che
il due è già plurale elementare) la presenza dell’altro. L’altra
verità non esiste. (4) 1, 2, 3, 4 (Vladimir Jankelevich, “La menzogna e il
malinteso”, Raffaello Cortina, Milano 2000) (13) Agostino, “Sulla bugia”, a cura
di M. Bettetini, Bompiani, Milano 2001) (14) A. Tagliapietre, “Filosofia della
bugia”: “Figure della menzogna nella storia del pensiero occidentale”, Bruno
Mondatori, Milano 2001).
L’ordine divino è il
migliore. Esso si fonda sul divenire della natura, sulla nascita, sulla
sofferenza, sulla felicità e sulla morte,sul tutto ciò che muove
l’esistenza dell’ Universo e nessun mortale riesce a sostituire l’unica
verità dal le altre che ci paiono prossime a Dio così come nessun
mortale può prendere il posto di Dio eterno.
I quattro vari modi di mascheramento della realtà sono la
dissimulazione, l’alternazione, la deformazione e l’allegoria. La ragione
sufficiente che fa dalla menzogna un inganno, ossia un’ induzione in
falsità, è il concetto sociale o più esattamente
elementare) la presenza dell’altro. L’altra verità non esiste.
La menzogna di due casi ha uno
scenario. La menzogna è in stato d’allerta. Le sue costruzioni non esistono e
bisogna confermarle continuamente e difendere contro le smentite del reale
mediante un’autentica creazione. Un momento di disattenzione ed ecco crollare
il castello di carte. Questa fragilità è semplice e naturale,
tanto la menzogna tradisce l’equilibrio precario, la situazione tesa e
tormentata senza posa. È la perdita dell’”io” da parte del mentitore.
Egli è sola una serie di maschere di linguaggi: (1)
Ìîãó÷èé
â çîâå ñâî¸ì íàêàíóíå,
Ãëàãîë ñåãîäíÿ,
ñðåäü ïàâøèõ ñâÿòûíü,
Çâó÷àë
áåññèëüíî, çàòÿíóòûé âòóíå,
Êàê
òùåòíûé ãîëîñ â ìîë÷àíüè ïóñòûíü. (“Rovina di Atlantide”, p. 252)
La fede nel sentimento della propria forza provocò il malinteso,
trasformò l’ultimo sacerdote nel mentitore di se stesso provocò
la perdita del sentimento del suo “io” come era scritto nella Provvidenza
sconosciuta ai mortali.
La causa della menzogna fondamentale è la mancanza
di generosità e soltanto la generosità, sorgente dell’esistenza
ritrovata, ritornerà innocente e trasparenti come al primo mattino del
mondo. (2) 1, 2
(Vladimir Jankelevich, “La menzogna e il malinteso”, Raffaello Cortina,
Milano 2000) (13) Agostino, “Sulla bugia”, a cura di M. Bettetini, Bompiani,
Milano 2001) (14) A. Tagliapietre, “Filosofia della bugia”: “Figure della
menzogna nella storia del pensiero occidentale”, Bruno Mondatori, Milano 2001)
Òâîðÿùèì ñëîâîì Òàèíñòâåííûé Çîä÷èé
È Æèçíü íàä Ñìåðòüþ ïîñòàâèë íàâåê,
Òîãäà, ÷òîá â óçàõ çåìëè ÷åëîâåê
Áûë ñáëèæåí ñ íåáîì, ãäå Äîì åãî Îò÷èé,
Âîçäâèã Ñîçäàòåëü ðóêîþ äåñíîé
Ñâÿòóþ Ãîðó, ñîþçà çàëîãîì:
Ñâÿòóþ Ãîðó — ïðåñòîë ñâîé çåìíîé,
Àëòàðü çåìëè ïðåä íåâåäîìûì Áîãîì. (“Rovina di Atlantide”, p. 27 dal I capitolo)
Varietà del malinteso. Il malinteso è soggettivamente
fondato sulla potenza del desiderio (nel caso concreto di raggiungere l’
immortalità). Il manifesto è fondato sul desiderio. Il linguaggio
è inteso di desiderio che utilizza l’amore immenso dei gemelli. È
il veicolo del malinteso. Desiderio (dell’amore) — linguaggio (confessione della
principessa al sacerdote) — desiderio (di realizzare il sogno accecato) — malinteso (di trasformare l’
eutanasia nell’ Androgino Apocalittico). Il malinteso ha come il territorio interiore l’
inconciliabilità dei linguaggi che si fondano su alcuni desideri
diversi. (1)
Il
tempo rende la vera autenticità, una cosa o un rapporto tra gli uomini. L’unità
inseparabile dei gemelli sarà fatale, secondo il malinteso celato ai
mortali. Essa provocherà il dolore spirituale e fisico dal
riconoscimento fino all’eutanasia trasformata nell’Androgino Apocalittico. Il
dolore rende davvero autentico il rapporto fra gli uomini. Compare la comprensione che esiste il metodo
storico e dialettico per andare incontro al vero. È il tempo del
pentimento (della sorella), del dolore (con l’assenza della scelta), del
coraggio (del passaggio attraverso la morte innocente all’ unità delle
anime), del merito (di fare l’amore accrescente di entrambi nell’ Androgino), e
della nuova tentazione (raggiungere l’ immortalità attraverso il
pentimento, il dolore, il coraggio e il merito)
che conduce le vittime cieche alla realizzazione della Provvidenza
disegnata sull’amuleto di Atlasso e pentimento per lo stesso sacerdote pente
prima di morire. Così tutti gli uomini passano attraverso quei quattro
cerchi alla tentazione molte volte nella vita. E tutto si ripete nuovamente,
secondo la “Rovina di Atantide”, nelle civilizzazioni successive.
Il tempo scandisce le tappe menzionate
(pentimento, dolore, coraggio, merito, tentazione) attraverso le quali una
individualità fonda sé stessa e percepisce il vero che è
in grado perciò essere senza menzogna con un individuo che segue lo
stesso metodo di vita. La conversazione (arte orale) e la scrittura diventano i
veicoli del malinteso. L’allegoria tipologica ci conduce all’introduzione al
“De mendagio” di Aurelio Agostino, al suo “ordine del malinteso e al modo di
guarirne. L’ inconoscibilità dei desideri produce alcuni linguaggi che
trovano accordi provvisori che scompaiono velocemente perché sono
fondati sul malinteso. Esso produce una socievolezza in continuo mutamento
perché è basata sul falso.
(2) 1, 2 (Vladimir Jankelevich, “La
menzogna e il malinteso”, Raffaello Cortina, Milano 2000) (13) Agostino, “Sulla
bugia”, a cura di M. Bettetini, Bompiani, Milano 2001) (14) A. Tagliapietre,
“Filosofia della bugia”: “Figure della menzogna nella storia del pensiero
occidentale”, Bruno Mondatori, Mila
Analisi della memoria divina sulla base della memoria della saggezza umana
Si dice che qualcosa appare, diventa visibile e
intelligibile nel suo significato. Si dice che ‘qualcosa’ appare, dunque
ciò che si mostra non è fantasma, ma il manifestarsi di
un’essenza; si avvicina da sé, ed è quindi indipendente da
colui che si vede. … (Filosofia
della religioni Romano Guardini
Religione e rivelazione: Concetti di Sacro che sta dietro ogni suo frutto; qui
l’unico Sacro universale sta dietro il carattere simbolico dell’ opera. () Romano Guardini, “Religione e rivelazione”, Via e
Pensiero, Milano 2001)
In primo
piano con questo concetto fa capire che un oggetto “compare”, lo vediamo e
pensiamo abbiamo da comprenderlo. La nostra comprensione ci detta quello che di
questo oggetto è visibile e non può essere nessun fantasma e l’
opinione di Platone che tutto il Mondo Universale è solo il frutto della
nostra immaginazione e verosimilmente senza di noi esso non esisterebbe. Allora
l’immagine di “ATLANTIDE” e l’interpretazione di Golokhvastov possono essere
verosimili e non corrispondere alla realtà materiale e allo stesso tempo
non essere fantasmi. Qui si
tratta per fatto che questo punto di vista è nulla più che
l’errore degli spiritualisti. Il loro tentativo di trarre questa affermazione
sbaglia quando vuole dimostrare che l´ oggetto menzionato non esiste. E
tutto questo dimostra la sensazione della vista “vedere”. Ma vedere non è nulla se l´ uomo
percepisce solo la riflessione della luce
di ciò che l´ occhio sa riflettere posto che l’ homo sapiens
sta sul livello più basso di molte altre creature ragionevoli dello
spazio cosmico. L´ uomo vede solo l´ angolo di 180 gradi con la sua
natura primitiva e nella riflessione delle luci, come in una illusione
naturale, quando tutte le cose si avvicinano aumentano nella nostra ricezione,
allora ciascuno provoca la riduzione del panorama del vedere (quantità
degli oggetti). E viceversa quando tutti gli oggetti (nel nostro vedere) si
allontanano, essi cominciano a diminuire e si allarga il panorama allo stesso
tempo — la quantità degli oggetti aumenta. E la larghezza di questi
aumenti e diminuzioni è molto più breve di quella che vediamo
grazie alle due illusioni menzionate. L´ occhio primitivo dell’uomo
delle relazioni non lo farà
mai osservare le galassie universali vedendo a 360 gradi senza riduzioni
massimali delle dimensioni degli
oggetti! Ed anche senza apparati materiali non verrà mai le molecole e
gli atomi. In natura queste due dimostrazioni del nostro vedere mediante
l´ illusione non esistono. Dio è sempre al di fuori di tutte le
dimensioni (3, 4, 5, 6, fino a 11) e al di fuori dei loro concetti
(velocità, distanza, tempo). Tutto quanto rappresentato è
imperfetto ed è mosso con la perfezione divina o con la perfezione
assoluta che è sempre metafisica e immutabile perché sempre era,
è e sarà perfetta al di fuori di questi primitivi concetti
esistendo in, dietro, sopra tutti i punti dello spazio eterno solo per noi. La
percezione di sé nella vita precedente prima della reincarnazione ha due
forme reali come il gioco dell’immaginazione e come l’interpretazione del mondo
interno di Golokhvastov dove gli eventi dell’epopea poetica sono rappresentati
come la memoria divina che scopre il gioco dell’ immaginazione
dell’autore. Quando si apre la memoria
divina è inevitabile l’accompagnamento dominante della suprema memoria
divina perché la terza memoria genera la prima quando la conduce il
superego. Nella “Rovina di Atlantide” nella p. 20 solo quando il narratore si
concentra nell’unico desiderio fino alla morte egli consegue l’unica
aspirazione dell’anima. La voce sonora della volontà persistente dice: “Se
cominci, finisci! Desidera e sarà! Sei scelto, compi!..” Si arse il
cielo con i fuochi, con i fulmini e con la tormenta bruciò la notte
alzando le stelle come la pioggia in fiammata. La sua lingua si blocca, sembra
che la cera inondi l’udito e lo sguardo sia accecato. Il silenzio è l’
oscurità pesante, la cripta chiusa. Il cuore si fermò.
Nell’inizio della p. 21 l’autore mostra come senza putrefazione, nella disgregazione
rapida, indolore si sparge la carne nelle ceneri. Il narratore fa la domanda:
“Noi chiamiamo tutta questa la morte?” Il mondo conosciuto delle sensazioni fu
spento. Lo spirito si liberò dopo aver ricuperato i sensi dagli usi della forma instabile e lo sguardo
incorporeo aspirò alle visioni dei tempi passati e molti secoli divennero i minuti. La memoria divina torna
alla nascita dell’ umanità attraverso gli anelli di tutta la storia. Il
passato è vivo, ciò che era morto diventa immortale. Essa conduce
al discorso delle tempeste dell’oceano, all’isola verde di Atlantide e l’aria
dal nome trema: “Atslàno” come risposta alla nebbia. Spruzza la luce e
lo spirito si ridesta nella p. 22. Nascono i getti generati delle forze. Il
narratore sente la concezione del mistero non appena l’onda del sangue diviene
più densa, si costruiscono i tessuti corporei, si avvia il tremito della
carne. L’autore vede come il Creatore Eterno plasma il corpo anfora dell’anima.
Il cuore batte suonando. Nessun mortale berrà mai l’estasi analoga. Il
narratore sente che gli si regala il ritorno al mondo dal portone sconosciuta.
Si percepisce la vita miracolosa dopo la separazione breve. O calore, splendore
e suoni. Gioca il sangue caldo e sospira il petto col piacere nuovamente.
Quando si alza il sole sopra i miracoli della natura e dell’architettura antica
il narratore riconosce che c’è la sua patria nel paese sconosciuto, nel
regno dei Grandi Atlanti. Egli riconosce le curve delle rive, il linguaggio del
mare, la libertà dei prati, le altezze delle montagne giganti e
silenziose. Tutto questo era come ieri. Anima rationalis non est
tempori subdita, sed ad tempus se habet anterioriter, sicut visus ad oculum. …
ita anima rationalis… non… ipsa sudest tempori, sed potius e converso. (L’anima
di razionalità (ragionelevole) non è sottomessa al
tempo, ma precede al tempo come la visione all’ occhio. Dunque l’anima di
razionalità (ragionelevole) … non… sottopone, essa stessa, il tempo, ma verosimilmente ed
invece) (Cusanus. De ludo globi, Lib. II, 232; cp. Ficino.
Teologia Platonica. VIII, 16)
Egli ha ricordato che è il sacerdote di Atlantide, il supremo mago
del luminoso Ra. Così termina la prima breve parte della “Rovina di
Atlantide” nel dicembre del 1931 a New York. Tutta l’atra continuazione
dell’epopea è la narrazione della memoria divina che ricorda
gradualmente tutta la vita precedente del narratore, i suoi sentimenti, i
desideri e gli eventi.
L’esperienza
del sacro di Romano Guardini nell’analisi filosofica della “Rovina di Atlantide”
Ad
esempio, un’ osservatore attento e
sensibile alza lo sguardo al cielo pieno di stelle e nota le costellazioni.
Allora ciascuno immagina la creazione del mondo, la nascita di un’altra
civilizzazione che è simile alla nostra oppure no, o riflette sul fatto
che sotto sfera celeste si verificavano i famosi eventi storici dell’
antichità o del Medioevo, o i fiori surrealistici disegnano le
diversissime fantasmagorie che creano le opere paragonate a Salvador Dalli
ecc., allora all’interno dell’anima il tutto diventa miracoloso, misterioso.
L’autore del libro “Religione e rivelazione”, il signore Romano Guardini scrive
che da quelle immagini luminose
l´uomo sensibile può ricevere questa
qualcosa che non rientra nei
concetti esposti finora. Nel silenzio e nell’ immensità può
nascere qualcosa di diverso da tutto ciò che si può esprimere per
mezzo delle cose. L´uomo ammutolisce… (1)
Perché? Non le stelle
(oggetti materiali) gli regalano questo mistero miracoloso! Non lo fa la
struttura armonica della creazione divina. Perché lo spazio cosmico non
è caos. È il frutto della rappresentazione armonica creata come
tutte le cose terrene da Dio. Ma questa rappresentazione cosmica divina è
molte volte più grandiosa e perfetta di tutta la rappresentazione divina
sulla terra, la seconda ci permette solo di riflettere (mediante l´occhio
nella comprensione) l´armonia della prima, rifletterla in modo molto
più precoce in quanto la seconda armonia terrena è più
imperfetta e dell’ armonia cosmica. Ma ambedue sono primitive, imperfette e
miserabili se siano paragonate a Dio. Qui si nasconde l´errore essenziale
quello che confonde l´armonia cosmica con la perfezione divina che
è l´essere e il nulla allo stesso tempo.
Senza Dio questa armonia
cosmica fondata sulle regole elementari — supercomplesse, super stratificate e
super ricche di diversissime tensioni sarebbe impossibile. Caos è
l´assenza di qualche armonia. Se lo spazio cosmico fosse caos non ci regalerebbe
nulla dalle stelle che ammirano e l´uomo non vorrebbe alzare lo sguardo e
avrebbe paura del cielo con odio e senza nessuna speranza, come ha paura dell’
inferno. Il silenzio e l´immensità ci aiutano per un po’ ad
allontanarci dal terreno che fa ricordare Dio. Questo superiore regalo di Dio è ciò
che si chiama il SACRO.
Con il termine ”sacro”
intendiamo ciò che induce l’uomo buono a inchinarsi — come mai potrebbe
fare davanti a qualcosa di unicamente terreno. (2) Il
collegamento alla costruzione divina dell’armonia cosmica induce l’incoscienza
all’apogeo della sensazione ciò che era possibile alla nostra primitiva
mentalità durante il periodo dello sviluppo in cui il logwV è ancora l’unica forma di cambiamento
dell’informazione.
La recettività del Sacro fa liberare l’uomo
abituale dai pensieri pesanti della Sansara. E dopo il regalo sacro della
liberazione una piccolissima parte del sacro umano emerge nel mondo ma proviene da un’altra parte a
volte fuori del desiderio primordiale. Anche la narrazione della “Rovina
di Atlantide” si svolge da un’altra prospettiva della percezione del mondo. I
simboli della memoria della saggezza umana ci avvicinano ai misteri della
memoria divina che ci mostra la nostra capacità di percepire la
Sacralità. Il Sacro di Golokhvastov può differenziarsi dal Sacro
del Cristianesimo tradizionale come uno degli elementi dell’esperienza
religiosa, il nesso del Cristianesimo ai fati dei culti orientali prima di
Cristo.
Il sacro può anche manifestarsi in un evento. Per
esempio una disgrazia può essere sentita solo come danno o
atrocità. (3) Dio ama quelli che obbliga a
soffrire come ha fatto soffrire il suo figlio sulla croce in modo che ogni
nostra sofferenza abbia la sensazione di un avvertimento: continuare la vita
così sarà pericoloso per la salvezza dell’anima. E per salvarci
l’avvertimento ci giunge nell’immagine della “collera” del regalo superiore.
Dopo il contatto con il Sacro per certo periodo l’uomo diventa indifferente a
tutti i problemi terreni e si sente parte della gigantesca unità cosmica
e si relaziona al mondo non come l’uomo abituale, ma percepisce il tutto dal
suo ego superiore. Perché, come pensa Romano Guardini, può anche essere che si avverta la sensazione di
un decreto, non dovuto a un progetto logico, ma a un’ istanza irraggiungibile
per iniziativa umana, che suscita gratitudine… (4). Solo grazie all’ asserzione con il Sacro la natura umana in individui
ottiene questa istanza irraggiungibile e nascono così le opere come DE
REUM NATURA di Lucrezio Caro, Le GEORGICHE di Virgilio, le METAMORFOSI di
Ovidio, la CONSOLAZIONE DELLA FILOSOFIA di Boezio, la DIVINA COMMEDIA di Dante,
La GERUSALEMME LIBERATA di Torquato Tasso, le Fresche e le statue di
Michelangelo e molto altro che compaia più frequentemente nella “Forza
maggiore” grazie alla sofferenza che si presenta sempre nel ruolo dell’
avvertimento e persone (come quelle menzionate) possiedono il grado più
alto della sensazione del decreto umano, a volte compreso scorretto mediante le
loro astrazioni, e il peccato primordiale tra la grande scadenza si trasforma
nell’ eredità classica dell’ umanità. E le cose come il viaggio
di Dante attraverso l’Inferno, il Purgatorio, e il Paradiso dal 7 al 14 aprile
del 1300 sembrano
aprirsi e diventare trasparenti. Ma questa trasparenza è diversa dalla
luminosità fisica o dalla comprensibilità razionale: l’elemento
della divisione scompare, i veli cadono, essere e significato, esterno e
interno, dettaglio e contesto diventano una cosa sola, e non c’è
più nulla da chiedere. (5) 1, 2, 3, 4, 5 (Filosofia della
religioni Romano Guardini Religione e
rivelazione: Concetti di Sacro che sta dietro ogni suo frutto; qui l’unico
Sacro universale sta dietro il carattere simbolico dell’ opera. () Romano Guardini,
“Religione e rivelazione”, Via e Pensiero, Milano 2001)
Lo
sviluppo del soggetto e degli eventi della “ROVINA DI ATLANTIDE” si apre
così perché la discordia non cessa di smentire il cammino della
concordia della logica con la sensazione superiore. La memoria divina è
il motore principale che collega l’ epopea alla memoria del sensazione e alla
memoria della saggezza umana.
Nel
primo capitolo nella p. 27 i miti sussurravano della pietra precipitata dal
cielo che si trasformò nella Suprema Montagna, il simbolo di tutte le
piramidi costruite più tardi. La memoria divina vede la croce in quattro
fiumi che scorrono dalla montagna a quattro lati del mondo. Essa riflette la
bellezza infinita nelle sante coscienze dei primi uomini, nelle stelle
notturne, nell’aroma dei fiori, nello splendore diamantato dell’acque vicino ai
rivi, nel volo degli uccelli, nelle notte degli atlanti senza sogni dell’
età d’oro.
P. 28 Ed
era la gente libera nell’ anima, uguali nella viva natura e, nella fraternità
con la sorella minore, si univano con l’anima mondiale. Terra materna e cielo
natale, l’atlante fu il loro fratello libero e felice: come nell’inno
dell’ordine armonioso comprendevano lo spuntare e il tramonto del sole e gli
era accessibile la scintillazione notturna delle stelle, l’aloe gli sospirava
dalla salute l’aroma dei fiori, li accarezzava insieme allo splendore
diamantato nella risacca costiera; le ali invisibili dei venti avvolgevano la
freschezza marina dello specchio acquatico, le spighe portavano i doni
dell’abbondanza. La discrezione della natura divina sembra la perla nel
mare all’autore che la paragona alla divinità innocente dei primi uomini
che non si separavano dalla natura. Le loro anime erano in armonia. La
ricchezza delle immagini poetiche apre la profondità incommensurabile
che rivela la memoria divina agli occhi del lettore. A volte si alza nelle
visioni non terrene, fa scendere l’immaginazione negli oceani della
libertà.
Âî
èìÿ õëåáà, ïî ñëîâó ïðîêëÿòüÿ,
Aòëàíò
íå âåäàë äíåâíîãî òðóäà
È,
ñëîâíî ïòèöà, íå çíàë íèêîãäà
Çàáîò
î ïèùå. ×óæäàÿñü ñòûäà,
Ìóæè
è æ¸íû, êàê ñ¸ñòû è áðàòüÿ,
Ñêðûâàòü
íå ìûñëÿ ñâîåé íàãîòû,
Îáùàëèñü
ïðîñòî… Íå òàê ëè öâåòû,
Ïðè÷óäîé
ôîðì è áîãàòñòâîì îêðàñêè
Ïðåëüùàÿ
íàø ÷åëîâå÷åñêèé ãëàç,
Èñòîìó
áðà÷íîé èçíåæåííîé ëàñêè
Â
ñâî¸ì áåññòðàñòüè íåñóò íàïîêàç?
Per il pane, per la parola della maledizione,
l’atlante non conosceva il lavoro di giorno, e, come l’uccello non aveva alcuna
preoccupazione per il cibo. Non si vergognavano i mariti e le mogli, senza
pensare mai di celare la loro nudità erano semplici… Non così
l’occhio umano ammira i fiori con le forme miracolose e con la ricchezza dei
colori mostrando la loro assenza di passione, essi portano la delizia della
carezza soave di matrimonio?…
Allo
stesso tempo la descrizione del periodo del paradiso terreno senza coscienza
umana non evita la memoria della saggezza umana e conduce alla riflessione
della stessa immagine “Aurea prima sata” che ci fa ricordare le “Metamorfosi”
di Publio Ovidio Nasone composte nell’ 8 D. C. in cui si ripetono le leggende
dei popoli antichi nelle “metamorfosi” degli autori precedenti.
Postquam Saturno tenebrosa in
Tartara misso
sub Iove mundus erat, subiit argentea proles,
auro deterior, fulvo pretiosior
aere…
…tum primum siccis a¸r fervoribus ustus
canduit, et ventis glacies adstricta pependit; 120
tum primum subiere domos: domus
antra fuerunt
et densi frutices et vinctae cortice virgae;
semina tum primum longis Cerealia
sulcis
obruta sunt, pressique iugo
gemere iuvenci.
Tetria post illam successit aenea
proles, 125
saevior ingeniis et ad horrida
promptior arma,
non scelerata tamen; de duro est
ultima ferro.
Protinus inrupit venae peoris in
aevum
Omne nefas, furere pudor verumque
fidesque;
in quorum subire locum fraudesque dolique 130
insidiaeque et vis et amor sceleratus habendi…
Dopo che il mondo, una volta cacciato Saturno nel tartaro
tenebroso, fu sotto la potestà di Giove, subentrò l’ età
d’argento, meno prospera di quella dell’oro, di maggior valore rispetto a
quella del fulgente bronzo… Allora per la prima volta l’aria infuocata dal
caldo asciutto divenne incandescente, e penzolò il ghiaccio rappreso dai
venti; allora per la prima volta gli uomini abitarono in case: ma a far da casa
furono le spelonche e le frasche ammassate e i rami tenuti insieme con la
corteccia; allora per la prima volta la semenza di Cesare fu interrata nei
lunghi solchi, e i giovenchi si lamentarono sotto la pressione del giogo.
La terza che succedette a quella fu l’ età del
bronzo, più violenta per carattere e più incline alle armi
crudeli; tuttavia non a colmo della perversione; l’ultima si formò dal
duro ferro. Subito si rivelò su quell’ età del peggior metallo
ogni nefandezza, scomparvero pudore, sincerità, lealtà; al loro
posto subentrarono le frodi, gli inganni, le insidie e la violenza e la
scellerata cupidigia di ricchezze. (Ovidio. OMNIA :“Metamorfosi” (pp. 48-51), 2000 Unione Tipografico-Editrice Torinese corso
Raffaello, 28 – 10125 Torino)
Quando
lo spirito ha conosciuto il peccato, ha scelto il lotto delle forze viste, gli
splendori lunari senza vita negli occhi scompare la faccia di Dio (pp. 30-31)
del secondo capitolo. Affinché il destino cominci a sembrare la
maledizione agli uomini che lavorano sempre per non morire dalla fame senza
esperienza divina.
La
religione non aveva, nell’epoca gentile di Ovidio, il significato per sacro
monoteistico del nuovo mondo di Golokhvastov. Perciò l’autore della
“Rovina di Atlantide” separò dall’abisso l’inizio dell’ età di
ferro a partire dall’epoca del profeta Atlasso che regalò i primi
concetti del bene soltanto al popolo di Atlantide. Allo stesso tempo
Golokhvastov non dimentica che la peggiore età dura fino ai nostri
giorni. Il narratore fa si che sviluppino le frodi, gli inganni, le insidie e la violenza e la
scellerata cupidigia di ricchezze dell’ età di ferro
nella società dell’ultimo sacerdote di Ra come la causa essenziale dell’
apocalisse.
Ma prima,
molti millenni fa la memoria divina del profeta Atlasso fa ricordare Dio e il
passato. Essa fa prevedere la pena futura legata all’ultimo sacerdote e alla
fine tragica della civilizzazione. La memoria divina fa ricordare la bellezza
incorporea di Dio che sta al di fuori di questo mondo e al di fuori degli
spazi, delle velocità e dei tempi. La memoria divina di Atlasso è
creata prima della nascita, più profonda e più colma
dell’esperienza divina di tutti gli altri mortali del passato e del futuro.
Finché quella preferì non fare il suo corpo immortale e
nascondere il mistero fatale sino alla sua fine. La memoria divina di Atlasso
scoprì Dio agli uomini attraverso la prima religione. …religio da religare, legare,
collegare, congiungere. Nella religione viene stabilito e vissuto un legame,
quello dell’uomo con ciò che è al disopra di lui. Alla base del
rapporto religioso si trova perciò un dualismo fondamentale e
insuperabile: nella religione, quale che sia la sua forma concreta, ci sono
sempre due principi, due poli. La religione (come ha giustamente notato
Feuerbah) è sempre uno sdoppiamento dell’uomo in se stesso, un suo
rapporto con sé come con l’altro, una seconda persona, non medesima, non
unica, ma collegata, congiunta, che si pone in relazione. Nella religione
l’uomo ha coscienza di essere visto e conosciuto prima di essersi conosciuto
lui stesso, e allo stesso tempo si sente allontanato, distaccato da questa
buona fonte della vita (perché l’ultimo
sacerdote sbagliando volle l’ immortalità per essere più vicino a
Dio) con cui cerca di instaurare un legame, di istituire una religione. Quindi,
nella forma più generale, si può
dare questa definizione di religione: la religione è il
riconoscimento di Dio e l’esperienza vissuta del legame a Dio.
(“Luce senza tramonto” Sergej N. Bulgakov p 17, Lipa Srt, Roma, febbraio 2002
ISBN 88-86517-49-1) Atlasso desiderò avvicinare la vita umana a
Dio e obbligò gli uomini a costruire il tempio, l’equivalente terreno di
Dio sulla terra.
Nel
terzo capitolo (p. 35) l’aurore ricorda le costruzioni di sette torri del
tempio per condurre le anime alle stelle e al Sole sopra le nuvole con la fede
calda nella forza della memoria divina di Atlasso affinché la terra e il
Sole si incontrino sempre, gli uomini salgano con i cuori puri e scenda Dio
sulla terra. Gli uomini consegnarono la pietra dei sacrifici sanguinosi e il
coltello rugginoso con molta difficoltà sulla cima della santa Montagna
per proibire i sacrifici umani a sempre e per mettere in rilievo i riti
contrari a Dio.
P. 37 La
memoria divina attraversa tutta la storia della città essenziale Atslano
e di dieci regni separati fra i gemelli di Atlasso. Il narratore salva la generosità
di Ra e la sollecitudine dei monarchi e la sua memoria divina ricorda i cicli
delle saghe degli eroi. La seconda metà della p. 39 narra come venne la
stagione d’oro quando cantano le bocche durante il lavoro, quando la
ricchezza fiorisce e diventa la gioia viva e la conformità chiara. A
pena! La gente pecca con la fortuna. I loro petti raffermi non valutano la
felicità, la loro ragione cieca non vede il bene. Gli uomini rifiutarono
il benessere celeste. La calma tormentava loro come una prigione; il
lavoro divenne difficile e il cuore desiderò i cambi. Essi
dimenticarono Dio e cercarono l’altra felicità; l’onda sorda della
preoccupazione portava nuovamente all’abisso come nei giorni antichi.
Il
quarto capitolo alle p. 40-43 scopre la vita del narratore e allo stesso tempo
del supremo sacerdote di Ra portatore di sette chiavi sacrali nella vita
precedente che contemplava l’ eternità fra i misteri della terra e dei
cieli. Il nome del sacerdote venne preso e nascosto nell’abisso oceanico come la
memoria di Atlantide affinché esso non si maledisse durante tutta la
storia dell’ umanità. Il sacerdote cancellò i propri sentimenti
corporei da tutti i livelli prima di diventare il sacerdote nella vecchiaia.
Verosimilmente questa parte dell’epopea riflette le idee del mezzo del quinto capitolo del trattato “Linguaggio e
mito” (al problema dei titoli degli dei) di Ernst Cassirer in cui si narra del
concetto della parola incapace di esprimere
l’unità del soggetto e dell’oggetto e dunque i sacerdoti degli
indiani americani e dei popoli dell’oriente antico occultavano i propri nonni e
i nomi degli dei chiamati dalla moltitudine dei nomi. (Ernst Cassirer, Leipzig, Berlin,
1927)
Il
quinto capitolo nelle pp. 44-47 descrive i riti sacrali della festa per Toro e
della Vergine e l’entrata tradizionale della memoria divina nei tempi aperti.
Il popolo colma le tavole con i frutti, il pane e molte altri offerte a Dio
all’ ombra dei cipressi prima di avvicinarsi agli altari sacrali. L’altare
dello Ziggurat annega nei fiori. Il narratore descrive i vestivi sacrali dei
sacerdoti con le svastiche e con le croci e la tiara di tre rubini. L’ultima
simbolizza tre facce del Creatore nella triplice unità. Si descrivono
due serpenti, incrociati giù, del barone del sacerdote. Esprimono i
tratti umani dell’uomo e della donna. Il rubino sanguinoso corona l’ unione di
due teste. Tritum in
scholis verbum est, esse hominum minorem mundum, in quo mixtum ex elementis
corpus et coelestis spiritus et plantarum anima vegetalis et brutorum sensus et
ratio et angelica mens et Dei similitudo conspicitur. (Trattato, nelle scuole, il verbo
è, esiste degli uomini il minore mondo, in quello [è] misto dagli
elementi il corpo e lo spirito celeste e delle piante vegetali l’anima e di
bruti il senso e la ragione e la mente angelica e di Dio la similitudine si
cospira(no)) (Dal Prefazio dell’ 8 Opera di Picco della
Mirandola, “Idea del microcosmo e “Dignità umana”, Seconda parte, secondo
capitolo, Ernst Cassirer, p. 1, Leipzig,
Berlin, 1927) Arde il fuoco
delle lode di vittime spirituali e il tempio si colma del odore del sandalo, in
cui si alzano gli inni nei fumi sacrali. Il sacerdote pronuncia il nome divino
tre volte sull’altare vicino al disco di Ra. La voce clericale di tre canta
teste (p. 46):
Âëàñòèòåëÿ ìèðà,
Ïëûâÿ ñðåäè âîëí
Ïðîçðà÷íûõ ýôèðà,
Ñîéä¸ò íà çàêàò
Äîðîãîé èñêîííîé
Ê ïó÷èíå áåçäîííîé
Ó çàïàäíûõ âðàò.
Çà ãðàíüþ çàêàòà
Áåññìåðòèÿ ñâåò,
Îòêóäà âîçâðàòà
Äëÿ ñìåðòíîãî íåò…
“La
nave arsa del Signore del mondo, nave fra le onde, scenderà al tramonto
sul cammino vero verso l’abisso senza fondo vicino al portone occidentale. Dopo
il tramonto è la luce dell’ immortalità da cui non c’è
ritorno per il mortale”…
Æèâûå
ì¸ðòâûì îá îáùåé îò÷èçíå
Ïîþò
è âåðÿò, ÷òî áëàãîñòíûé äåíü
Îò
ñìåðòè ê æèçíè è ñìåðòè îò æèçíè,
Â
èõ âå÷íîé ñìåíå, äâîéíàÿ ñòóïåíü.
I
vivi cantano ai morti della patria e credono che il giorno beneficente sia il
gradino doppio dalla morte alla vita e dalla vita alla morte nell’
avvicendamento eterno.
Il
narratore collega l’esistenza del paradiso divino alla reincarnazione infinita
di tutte le anime indipendenti dal tempo. Egli narra che la memoria della
felicità rinasce come i sogni del passato:
Íî
ñíû î ïðîøëîì, êàê ïàìÿòü î ñ÷àñòüè,
Ïðîæèòîì
â æèçíè ïîä ñîëíöåì æèâûõ,
Íå ÷óæäû
ì¸ðòâûì, â èõ ñâåòëîì áåññòðàñòüè
Ñêîëüçÿ,
êàê äûì îáëàêîâ òåíåâûõ,
È â ìèð
íàø ò¸ìíûé ïîäîëãó íî÷àìè
Âçèðàþò
ïðåäêè ñîçâåçäèé ëó÷àìè
È âèäÿò
çåìëþ – ñâîé ïðåæíèé ïðèþò,
 ïîòîìñòâå
äàëüíåì ñåáÿ óçíàþò.
Ïîðîé
ìû ÷óåì, íå âèäÿ î÷àìè,
Ma i sogni del passato sono come la memoria della
felicità vissuta nella vita sotto il sole dei vivi, [passano]
non strani ai morti nella loro chiara assenza delle passioni scivolando come il
fumo delle nuvole d’ ombre. E il nostro mondo scuro da molto tempo, gli
antenati guardano dai raggi delle costellazioni e vedono la terra, il loro ricovero scorso e si
riconoscono nei posteri lontani. A volte noi sentiamo, non vedendo con gli
occhi,
Èõ áëèçîñòü â äíè òîðæåñòâà è íåâçãîä:
Èõ
êðûëüåâ øåëåñò ó íàñ çà ïëå÷àìè
Íåçðèìûé
íàì âîçâðàùàþò ïðèõîä.
La loro vicinanza nei giorni delle solennità
e delle disgrazie: la loro ala ci torna l’arrivo invisibile dietro le nostre
spalle.
L’analisi
della memoria divina dei capitoli successivi si collega alla memoria della
sensazione dai molti livelli di paragone attraverso la “Divina Commedia di
Dante, “Primo Amleto” di Shakespeare,
“Consolazione della filosofia” e “Isagoge” di Boezio e di molto altro che
è la tematica non ricercata da nessuno che dunque diventa il materiale
della Proposta di Dottorato.
RESUME DELLA DISSERTAZIONE
LETTERATURE COMPARATE
(Proposta di Dottorato)
1) Introduzione: A) Tre tipi di paragone
e tre tipi di confronto. B) Metodica dell'
analisi comparata. C) Evoluzioni storiche delle lingue e delle letterature. D)
Ermeneutica. E) Applicazione pratica della metodica al concreto esempio breve:
«Ritmo Laurenziano» e una delle canzoni giullaresche di Colin Muset. Ossequio
al genio e assenza dell' ossequio nella società contemporanea:
paragone dei destini.
Tematica della prima parte del dottorato: Destino dei geni
esuli
Problematica generale della prima parte: A) Assenza della
comprensione di nuove tendenze di autori che non appaiono nel mondo letterario
da nessuna parte e contraddicono talvolta la società costituita o
svolgono la letteratura in altri modi e che non rispondono alle tradizioni
temporali. B) Paralleli storici degli esuli e loro opere artistiche:
2) LA PRIMA PARTE DEL DOTTORATO: La memoria della sensazione
e la memoria divina
3) LA SECONDA PARTE DEL
DOTTORATO: Narratività della
«DIVINA COMMEDIA» di Dante Alighieri e della «Rovina di Atlàntide»
di Gheorghi Golokhvàstov. Tematica della seconda parte
del dottorato: A) Il poeta epico Gheorghi Golokhvastov nel XX secolo all' interno
della società infinita dei lirici. Influenza indiretta di Dante
Alighieri su Ghennadi Golochvastov. B) Dante Alighieri vertice della poesia
mondiale e poeti contemporanei di Dante (Guido Guinizzelli, Jacopone da Todi,
Guido Cavalcanti, Brunetto Latini, Cecco Angiolieri e Cino da Pistoia). C)
Dominio dello stile descrittivo sulla narratività nella «Rovina di
Atlantide» di Golokhvastov e nella «Divina Commedia» di Dante. D) Il lessico
poetico e l' immaginario poetico di Dante e di Golokhvastov.
Problematica generale della seconda parte del dottorato: A)
Difficoltà e ricchezza del genere epico. B) Dai piccoli lirici invidia e
incomprensione della poesia epica con molti soggetti e numerosi argomenti. C)
Contemplazioni dell' immaginario poetico.
4) LA TERZA PARTE DEL DOTTORATO: Dante, Golokhvastov, Nostradamus
e Bo¸tius
Tematica della terza parte del dottorato: A) Genio poetico
nell' assenza di profezie dove si medita di diventare profeta. B) Dominio della
Profezia sul fiacco ingegno poetico. C) Profezia
del genio filosofico e dell' ingegno poetico.
Problematica
della terza parte: A) Filosofia di Dante Alighieri nella «DIVINA COMMEDIA»,
filosofia di Golochvàstov nella «Rovina di Atlantide», filosofia di
Nostradamus nelle sue quartine e
nelle due lettere al figliuolo e
ad Henry II (Arrigo) re di Francia, e filosofia di Boezio nella «Consolazione
della filosofia». B) I concetti della felicità nella «DIVINA COMMEDIA»,
felicità impossibile della «Rovina di Atlantide», felicità
nascosta nelle quartine suddette e nelle due lettere al figliuolo e al re,
anche sette parti della felicità nella «Consolazione della filosofia».
C) Varie considerazioni della responsabilità umana riguardo alla propria
condotta, agli atti umani durante tutta la vita in queste quattro opere. D) Il
passato, il presente e il futuro dei quattro. E) Eternità perenne nel
tempo e eternità costante di Dio al di fuori da qualsiasi concetto
spaziale e temporale dei quattro capolavori.
INTRODUZIONE
A)
Tre tipi di paragone e tre tipi di confronto
Si contrappongono due materie
che dipendono l' una dall' altra. Sono il paragone e il
confronto delle opere, dove si ricercano molti fatti e fenomeni e dove si
incontrarono ogni volta fattori ed ambiti non studiati o ricercati
relativamente poco.
Si paragonano e si
confrontano le opere di una sola nazione con altri poemi del patrimonio di
popoli diversi e lontani. Si analizzano così opere che sono state
scritte in lingue appartenenti a un solo gruppo linguistico e ad altri gruppi,
si studiano opere composte anche in periodi assai diversi della storia, al fine
di considerare e ricercare le strutture di due o più opere, come si
potrebbe approfondire più avanti.
(A) Paragone è da
considerarsi lo studio dei
fattori comuni. Si trova lo scopo del paragone nella costruzione dei paralleli
storici, si trova nella ricerca e nella sistemazione di numerosi fattori generali
e soggettivi. Ambedue i tipi di fattori definiscono le fonti e il
vigore delle influenze
letterarie.
Talvolta tali definizioni permettono di capire meglio l' evoluzione di tutta la letteratura
mondiale.
La materia “Paragone
tradizionale” in Russia ha tre tipi che non dipendono dai periodi storici. (A
1) Il primo si fonda sull'
influenza di un capolavoro quando si definiscono una sola fonte e anche una
sola reminescenza (tema) svolta in opere diverse ma appartenuti a un solo genere. (A 2) Il
secondo tipo di analisi comparativa si trova al limite fra paragone e
confronto. Le loro opere appartengono a una sola fonte anche a diversi
soggetti. Sono unificate solo come riflesso della prima opera, quando la prima
diventa manifestazione indiretta della seconda. (A 3) Il terzo tipo di paragone
ricerca lirica dove non esiste soggetto, dove qualche forma, o qualche
influenza ideologica, o qualche fenomeno storico diviene la fonte.
(B) Il confronto contrappone
le letterature che hanno soggetti diversi senza origini comuni. I confronti si
dividono in tre tipi. (B 1) Il primo studia opere assolutamente opposte per
dimostrare la varietà di un solo genere anche per confrontare la
diversità di numerose professioni di fede estetiche. (B 2) Il secondo
tipo ricerca letterature con assenza di una sola fonte e di reminescenza
comune, analizza i destini simili dei loro scrittori; poiché
il secondo tipo
analizza indizi uguali
che si ricercano nelle materie analizzate. Sebbene le due opere non
trattino della stessa tema e non provengano neppure della stessa fonte, esiste
una fonte indiretta che diventa la somma degli indizi comuni. Gli indizi
comuni, che si incontrano nelle letterature di popoli diversi, si fondano sull' influenza di una parte della prima
opera che determina talora indirettamente il soggetto della seconda opera. Il
secondo tipo di confronto disegna paralleli storici tra le letterature di
numerosi popoli quando in esse si incontrano gli indizi comuni. Svolge lo scopo
generale del secondo tipo di confronto la ricerca di indizi comuni all' interno
delle letterature di periodi diversi che non solamente si confrontano e negli
ambiti dove sono state costituite le scale epocali anche si paragonano.
(B 3) Il terzo tipo di
confronto è vicino al primo tipo di paragone e si usa quando si ricerca
l' influenza di un grande
capolavoro su opere minori (che sia impossibile paragonare a tale capolavoro e
le opere sopraddette) che ne sono soltanto il riflesso.
(A 1) Sovente il primo tipo
di paragone analizza alcune opere che hanno una sola fonte classica. Ad
esempio: ogni tragedia di Anneo Lucio Seneca (4 A. C - 65 d. C.), oltre
«Ottavia». Si incontrano gli stessi soggetti nelle tragedie greche: sono di
Eschilo (525-456 A. C.), di Sofocle (496-406 A. C.), di Euripide (480-406 A.
C.) e di altri.
Prima variante: («Medea» di
Seneca — «Medea» di Euripide), («Fedra» di Seneca — «Ippolito» di Sofocle),
(«Edipo» di Seneca — «Edipo re» di Sofocle, anche di Acheo, di Eschilo e di Euripide,
di Carcino, di Diogene, ecc.), «Le Fenice» di Seneca — «Le Fenice» come
frammenti di qualche altre tragedie: di “Edipo a Colono” di Sofocle, “Fenice”di
Euripide, etc.), («Ercole Furente» di Seneca e di Euripide), («Ercole Eteo» di
Seneca e anche «Troiane» di Sofocle), («Tieste» di Seneca e tragedie di sette
autori greci e di sette autori romani), («Agamennone» di Seneca — «Agamennone»
di Eschilo), ecc..
Per capire le leggi dell' influenza di un' opera
sulle opere successive si ricerca lo sviluppo storico dei soggetti,
avvicinandosi alla seconda variante: paragone tra i capolavori dell' antichità e le opere
letterarie del classicismo. Cosi si paragonano
«Medea» di Seneca e «Médée» di Pierre Corneille (1635).
Nella seconda variante del primo tipo si svolge il paragone tra la tragedia
«Fedra» di Seneca e il dramma «Thèdre» di Racine del 1677. Si paragona
la tragedia «Ottavia» di Seneca con «Britanicus» di Racine, scritto nel 1665.
(A 1) Il primo tipo di
paragone esamina l' analisi
delle «Metamorfosi» composte da Nicandro di Colofonio e le «Metamorfosi» del 8
d. C., di Publio Ovidio Nasone (43 A. C. — 18 D. C.). Si paragona la opera
«Legenda di Barlabamo e di Giosafo» di Eutimio Iberico e di Giovanni Sabbaito
Damaschino (VIII secolo) con la corrispondente storia nella «Leggenda aurea» di
Jacopo da Varazze (Varagine o Voragine) (1230 — 1298). Il primo tipo di
paragone analizza: «Le Roman de Troie» (1160) che è composto da
Benoît de Saint-More e la narrazione di Troia di Guido delle
Colonne (da Columna) del
XIII secolo, anche la terza
variante del primo tipo studia «Canto de mìo Cid» (epopea popolare di
Spagna) e la tragedia di Pierre Corneille «le Cid» del 1636.
(A 2) Il secondo tipo di
paragone si occupa di opere come l' «Odissea» di Omero e l' «Eneide»
di Virgilio che hanno una sola origine comune. Vediamo un solo viaggio
leggendario e avventure simili, i cui protagonisti e soggetti non sono uguali.
Così si paragona il «Fedone» di Platone col «Consolatio» di Annizio
Manlio Severino Boezio; la «Legenda del beato don Simone Palestrato», Curtius
su « Saint Alessis» anche in italiano «Ritmo di Sant' Alessio» incompiuto si paragonano dal secondo tipo. Le ballate
volgari «Chançon de Rolland» (francese) e «Canto de mìo Cid»
(spagnola) si determinano da due diversi soggetti e da una sola fonte. C'
è la “guerra infinita”dei posteri di Carlo Magno contro i saraceni. Si
paragonano queste due ballate con la «Parola del reggimento ìgorevo»
(ballata russa del Trecento). In questo modo si paragonano «De rerum natura»
del 55 A. C. di Lucrezio Caro e il «Libro della composizione del mondo» del
1282 di Restoro d' Arezzo. «Le Roman de la Rose», la cui prima parte
conclusa nel 1236 da Guillaume de Lorris e la sua seconda parte finita nel 1275
da Jean de Meyng. Esiste il paragone tra tutte e due e le lettere che sono state attribuite a Dante
Alighieri. Sono le rime sacre che divengono autenticamente, in sonetti
italiani, un rifacimento del «Roman de la Rose», intitolati «Il Fiore». Si
paragonano «Orlando innamorato» di Matteo Maria Boiardo (1441 —1494) ed
«Orlando furioso» di Ludovico Ariosto
(1474 — 1533). Si disegnano due paralleli lirici in sonetti di Francesco
Petrarca (1304 — 1374) e di Pierre de Ronsard (1524 — 1585)
(A 3) Il terzo tipo di
paragone letterario illustra lirica dove manca soggetto ma l' origine si attribuisce a qualche
forma, o ad influenza ideologica, o a fenomeno storico. Per esempio,
così si paragonano i sonetti italiani e francesi fino al XVI secolo (che
ha esaminato il dottore Slàtkne
Reprìnts nel 1966 a
Genova). Si paragona la lirica dei sonetti italiani: 1) del Medioevo avanzato:
con Guido Guinizelli (nato tra il 1230 o il 1240 — morto nel 1276), con Guido
Cavalcanti (circa del 1255 (o 1259) — 1312 (o 1300), col primo Dante Alighieri.
2) del Rinascimento: con Francesco Petrarca (1304 — 1374)) e con Giovani
Boccaccio (1313 — 1375). 3) Alto Rinascimento: con Lorenzo de’ Medici (1449 —
1492), con Matteo Maria Boiardo (1441 — 1494), con Pietro Bembo (1470 —1547),
con Michelangelo Buonarroti (1475 — 1564) e con Torquato Tasso (ultimo poeta
del Rinascimento italiano, 1544 — 1595).
(B 1) Consideriamo il primo
tipo di confronto caotico e più libero dei primi poiché dipende
assolutamente dall' interpretazione.
Esso confronta le tendenze contrapposte come il «Consolatio» di Annizio Manlio Severino Boezio del 523 e la
«DIVINA COMMEDIA» di Dante Alighieri, dal 1307 fino al 1321, come due
capolavori appartenenti a ideologie contrarie. Riguardano il primo capolavoro
uscito dai confini temporali dove si manifesta l' enorme influenza platonica nella contemplazione dell' eternità divina e in sette
aspetti della felicità terrestre, dove si parla indirettamente della
responsabilità degli uomini
ai peccati. La DIVINA COMMEDIA
è fondata su una mentalità dogmatica e
sull' educazione del
cattolicesimo medievale relativa al libero arbitrio alla responsabilità
umana di tutta la vita in che è stata concentrata l' idea generale dantesca.
Il primo tipo di confronto
oppone l' amore generico che troviamo nel «Libro de Buen Amor» terminato nel 1351 o
nel 1381 da Johan Ruys arcipreste (arcivescovo) di Hita e l' amore dei sonetti di Francesco
Petrarca che sono stati dedicati a Laura per 21 anni durante la sua vita e sino
a 10 anni dopo la morte; la poesia filosofica di Giordano Bruno (1548-1600) si
confronta alla scuola di Francesco Petrarca; il «marinismo», a partire da Giambatista Marino (1569 — 1625) si
confronta con l' apparizione
del classicismo italiano di Vincenzo da Filicaia (1642 — 1707) come
nella letteratura francese si confronta Pierre
de Ronsard (1524 — 1585), capo della “Péiade” (Du Bellay,
Belleau, Dorat, Jodelle, Baif e Thiard — but: enrichissement de la langue
française/ scopo: ricchezza della lingua francese) e François
Malhèrbe (1555 — 1628) che, come Vincenzo da Filicaia, lottava
contro tutte le manifestazioni della ragione contro natura dove nacque la
poesia galante.
(B 2) Il secondo tipo del
confronto esamina opere come l' «Eneide» di Publio Virgilio Marrone (70-19 A. C.) e «La
DIVINA COMMEDIA» di Dante Alighieri (1265-1321) (l' unione sincretistica della Bibbia e dell' «Eneide»,
dove è più evidente una sola parte del primo capolavoro, dove l' Enea di
Virgilio scende nel regno dei morti, che ispira la nascita della COMMEDIA).
Questo tipo di conforto
letterario traccia molti paralleli storici fra scrittori e fra opere diverse
che non si paragonano: «Tristae» et «Ponticae» di Publio Ovidio Marone (8 d. C.
— 18 d. C.), «Consolatio» (523) di Annizio Manlio Severino Boezio (475 o 480 —
524) — «Di anima» di Cassiodoro, Magno Aurelio Cassiodoro Senatore (489 —575) —
«LA DIVINA COMMEDIA» di Dante (1265 — 1321). L' influenza di Dante si riflette (indirettamente) nella
composizione russa dell' opera
la «Rovina di Atlantide», e quest'
ultima è stata scritta nel 1935 da Gheorghi Golokhvastov poeta del XX
secolo che compose in uno stile medievale. Come fece ad essere un poeta epico
nell' epoca dei lirici e
modernisti ove gli manca soggetto?
(B 3) Il terzo tipo di confronto
esamina le influenze di capolavori su molte opere minori, che non sono mai
state paragonate al loro prototipo. Per esempio: numerosi opere poetiche che si
ispirano in varia misura alla DIVINA COMMEDIA.
B) Metodica dell' analisi comparativa.
Nei paragoni e nei confronti
esistono due tipi dei metodi. Si tratta dei procedimenti generali (1) e dei
procedimenti soggettivi (2) usati nelle ricerche.
(1) I primi analizzano ambiti generali. I fattori storici (1 a), idee
generali (1 b), problematiche (1 c), tematiche (1 d), ideali estetici (sguardo
sul mondo e ricerca di ideali nel mondo) (1 e), credi artistici (1 f),
intenzioni estetiche (1 g), composizioni poetiche (1 h), sviluppo degli eventi
(1 i), tendenze (1 l), generi (epico, drammatico, lirico, ecc.)
(1 m), forma (prosa
o poesia) (1 n), sei procedimenti
della ricerca (esplorativo, generalizzato, individualizzato, valutativo,
contemplativo e stato intermedio fra la critica letteraria e la linguistica
teorica) (1 o).
(2) I secondi fattori
soggettivi si presentano più concreti e più isolali poiché
compaiono in paragoni più frequentemente che in confronti. I metodi
soggettivi si compongono di tre gruppi.
(2.1.) Nel primo gruppo
entrano i fattori che discernono e mettono in rilievo le particolarità
degli argomenti, gli sviluppi degli eventi e le individualità. Sono:
soggetto ed argomento (2. 1. a), evoluzione dei soggetti (inizio, culmine e
numerosi esiti [uno che comprende la soluzione dei conflitti, il secondo
tragico, il terzo senza soluzione dei problemi ma con qualche speranza per il
futuro, ecc.] (2. 1. b), personaggi essenziali e secondari (2. 1. c), caratteri
dei personaggi (2. 1. d), particolarità psicologica dei personaggi (2.
1. e), sorti degli eroi (2. 1. f), interiorità psicologiche dei
personaggi (2. 1. g), tipi di relazione tra i personaggi (2. 1. h), differenza
delle relazioni degli scrittori con i loro personaggi (2. 1. i) e stili del
discorso fra gli eroi (2. 1. l)
(2.2.) Esiste un secondo
gruppo di fattori soggettivi di paragoni anche di confronti, che comprende solo
la poesia e la prosa poetica dei generi lirico, epico, anche drammatico. Esso
analizza i concetti successivi ai fattori: il lessico poetico (2. 2. a), le
regole sintattiche nella poesia (2. 2. b), la semantica poetica (2. 2. c), la
ritmica poetica (sillabica e metrica) (2. 2. d)
(2.3.) Il terzo gruppo si risolve in paragoni e in
confronti delle opere. Questo gruppo dei fattori esamina tutti i tropi: epiteti
(2. 3. a), paragoni semantici (2. 3. b), metafore (2. 3. c) metonimie (2. 3.
d), iperboli (2. 3. e) ed antitesi (2. 3. f)
Tutti i fattori di questi
metodi paragonati e confrontati consistono in 33 concetti. Ma non sono
indispensabili in paragone anche in confronto.
C) Evoluzioni storiche delle
lingue e delle letterature.
(1.1) I fattori storici
formano l' eredità
letteraria di popolo e di sviluppo della lingua.
Filinia: Da, meus ocellus, mea rosa, mi anime, mea voluptas
Leonida, argentum mihi: no nos diiunge amantis.
Leon: Dic igitur me passerculum, gallinam, coturnicem,
Agnellum, haedilllum me tuom dic esse vel
vitellum:
Praehende auriculis, conpra labella cum
labellis,...
Filinia: Da, mio occhio, mia rosa, mia anima [mi-a-nima], mio piacere,
Leonido, tu da me soldi; non ci separa amanti.
Leonide: Dic' allora me: passero e gallina, coturnice,
Agnello, capretto, me, che ' l tuo sono, o vitello:
Prendi al orecchio, lega labelli con labelli,...
(Titus Maccius Plautus (254-184 a. C.))
Questo estratto illustra la particolarità del lessico popolare,
dove si incontrano le forme del
linguaggio che si utilizzavano nella conversazione (ocellus al posto di oculus,
passerculum invece di passer, agnellus in luogo di agnus
/agnello, haedillus al posto di haedus,
vitellus al posto di vitulus /vitello/, auricula al posto di auris /in it. orecchio, in fr. oreille,
spagn. oreja/, labellum invece di labrum. In oltre, al posto del caso
vocativo si utilizza il nominativo (meus
occellus), nell' ultima sillaba non accentata s' impegna [o] in luogo di
[u] (tuom in posto di tuum), in luogo di amantis è stato scritto amantes), è visibile la
ricomposizione (ricostruzione fraseologica), conpra in luogo della forma classica compra, s'impegna il modo imperativo
con la preposizione negativa [ne] (ne
diiunge, noli diiungere), che quello nel periodo classico si
conservò solo nell' arte dei poeti. Anche il testo ha l'aggettivo bellus (nella lingua classica pulcher)... ( «Introduzione
nella filologia romanza» M, Scuola superiora, 1987, pag. 132, autori:
Alìssova, Rèpina, Tariverdìeva).
.
Vediamo che c' è il latino arcaico. È rimasto ancora assai vicino alla
favella (parlata) popolare. Nel primo secolo A. C. esso sarà più
artistico e lontano dal popolo. La forza del tempo lo restituì alle sue
radici.
Antonio Viscardi nega la teoria del XIX secolo che a partire
dalla somiglianza del «volgare italiano» al latino si spiegano le tarde origini
della letteratura italiana paragonate alle
prime manifestazioni delle letterature tedesca e francese. I teorici del
XIX s. si fondano sul documento storico «Gunzonem Italicum» dal 965 D. C. dove
è stato detto: Falso putavit
sancti Galli monachus me remotum a scentia
grammatice artis, licet aliquando
retarder usu nostre vulgaris lingue, que Latinitate vicena est (“Falsa,
pensava il monaco da santi Galli, e lontana da me è l' arte della scienza grammaticale,
propone alle volte di fermare i nostri usi con la lingua volgare, perciò
' l latino pulito è
vicino”[a questi usi del volgare]). Nei manoscritti italiani dal VII secolo
fino al X non di raro si incontrano parole e gruppi di parole che dimostrano
che la lingua viva era da quella insegnata nelle scuole. Il problema della
formazione delle lingue romanze non si limita alla teoria dei tre strati di
Shuhard (substrati — lingue morte ma antenate della lingua studiata /
superstrati — lingue che penetrano nella lingua ricercata, che già
esiste, la influenzano e dopo si sciolgono in essa / adstrati — lingue che influenzano la lingua
oggetto di studio, ma non si sciolgono in essa e continuano a sussistere come
unità indipendenti). («Storia della letteratura italiana dalle origini al Rinascimento»:
capitoli «Pseudoproblema delle “tarde origini” italiane» e «Dogmi, idoli, miti
della storia letteraria all'
origine», Milano, 1960)
Nel 1884 il Grober dimostrava che il processo della
romanizzazione all’ interno delle province durò più di 300 anni:
Durante questo periodo il latino mutò. Per esempio, il dialetto sardo ha
tratti che mancano nelle altre lingue romanze, la sua conquista dell' isola
da parte dei romani avvenne nel III s. A. C.. Il latino era arcaico dunque
molte parole nel linguaggio quotidiano di Sardegna non cambiarono. Per esempio
si conservò la diversità tra le vocali: e ed i anche tra i suoni o ed u nella
posizione accentata: fede — fide, bocca — bukka. Anche nel
dialetto dell' isola sopravissero
i suoni arcaici: k — prima di e ed i: cinque — kimbe,
cento — kentu. Talvolta in Sardegna si pronunciano s nelle
terminazioni dei sostantivi maschi in singolare: tempo — tempus. Non
mutò t nella terminazione verbali della terza voce in singolare
del modo indicativo presente. Nei verbi del francese antico si pronunciavano
solamente le terminazioni s e t. Solo al sardo e al rumeno
appartengono facendo i fenomeni
menzionati paragoni e confronti
letterari questi fattori storici dimostrano che nel linguaggio dell' Impero
Romano Antico — la lettera i si trasformò nell' e, il
suono u nell' o
dopo la conquista della Sardegna. La terminazione verbale t sparì
dopo la conquista della Gallia, s — dopo l' occupazione della Dacia. In base a simili ricerche il Grober
propone la scala dei periodi che fa dipendere i mutamenti morfologici dalle
conquiste territoriali e dall'
evoluzione cronologica dei dialetti romani, ancora non romanzi, prima del 476:
Sardegna, Spagna, Portogallo, Catalogna, Francia meridionale, Francia
settentrionale e Recia. In Italia lo sviluppo fu indipendente da questo processo, e fu
diverso.
Il Grober reputava che la
diversità dei dialetti fosse antica. Essa incominciò dalla
romanizzazione della prima provincia fuori dall' Italia, proseguì dopo la conquista di ogni nuova
regione. Nelle province conquistate per prima la lingua non mutò.
Simultaneamente il linguaggio degli abitanti della penisola Appenninica e dei
cittadini romani continuava il suo sviluppo indipendente dal latino classico e
dal latino volgare della plebe. Ogni nuova provincia imparò e
lasciò quasi invariata la lingua italica del periodo in cui avvenne la
conquista da parte dei romani. Questi fenomeni linguistici spiegano la prima
separazione dal latino di moltissimi dialetti romani. Ma la teoria di Grober
non spiega in modo preciso la causa dell'
evoluzione di ciascun dialetto, diventato romanzo. (1)
Nel 1901 W. Meyer-Lubke
riaffermò che la particolarità del sardo consiste nel suo
isolamento dagli altri dialetti romanzi fino alla conquista dei vandali nel VI
secolo. (2) 1, 2 («Ââåäåíèå
â ðîìàíñêóþ
ôèëîëîãèþ» Ì.,
Â. Øê. 1987 ã., (ñòð.
132),
Àëèñîâà,
Ðåïèíà,
Òàðèâåðäèåâà
— «Introduzione nella filologia romanza» M, Scuola superiora, 1987, pag. 132,
autori: Alìssova, Rèpina, Tariverdìeva).
Nel 1924 H. F. Meller afferma
che dalla fine dell' VIII secolo fino al inizio del IX si conservò una koinè di
lingua romanza sul territorio di tutto l'
Impero caduto, ma le relazioni tra le regioni lontane continuarono e i contatti
furono regolari svolgendosi nei mercati e tramite la diffusione del
cristianesimo anche dopo le invasioni barbariche della Romania medievale. Le
grandi città si spopolarono, sia a causa dei molti conflitti feudali,
sia a causa della mortalità, della povertà e delle malattie e la
maggioranza dei cittadini fuggì
in campagna per
non pagare tasse, per trovare lavoro nelle
proprietà terriere dei successori. L' economia bastava esclusivamente sul lavoro contadino ed anche
le antiche vie diventarono inutili e pericolose. L' isolamento coatto influenzò la nascita di dialetti
diversi in ogni regione. I dialetti iniziarono svilupparsi indipendente l' uno dall' altro. (H. F. Meller «Cronica del latin volgare» (p. 7), Ber. 1924)
I. N.
Golenìtshev-Kutùsov asserisce che nel 1924 lo Schiaparelli, paleografo italiano, trovò a Verona
due versi dal fine dell' VIII secolo o dell' inizio del IX che sono stati
composti all' epoca di Carlo Magno scritti in una lingua a metà fra il
latino e l' italiano arcaico:
Se pareba boves alba pratalia araba
e albo versorio teneba e negro semen seminaba (da
Monteverdi)
(I. N. Golenitshev-Kutusov: «Letteratura latina dell' Italia medievale», capitolo
«Monumenti più antichi della lingua italiana», (p.
190) Editrice
“Scienza”, Mosca 1972)
Qui abbiamo il sostantivo
boves (bovi) nella declinazione mutata. L'
epiteto latino alba del
sostantivo ha il significato dell'
aggettivo “bianchi”. Anche le parole versorio
(aratro), semen (seme) e l'
imperativo sono termini ibridi.
La particolarità linguistica evidenzia che questo testo proviene
dal Veneto. Lo dimostra il passaggio della lettera e all' a
(paraba > pareba). La parola albus sarà
sostituita dal paradigma tedesco “blank” due o tre secoli dopo. Anche la parola
pratalia esisterà solo
nella toponimica: “praglia” a Padova e “pradaia” a Trento. Già nel
latino volgare i si trasformerà nella lettera e (nigrum
> negro)... («Ââåäåíèå
â ðîìàíñêóþ
ôèëîëîãèþ» Ì.,
Â. Øê. 1987 ã., (ñòð.
132),
Àëèñîâà,
Ðåïèíà,
Òàðèâåðäèåâà
— «Introduzione nella filologia romanza» M, Scuola superiora, 1987, pag. 132,
autori: Alìssova, Rèpina, Tariverdìeva).
L' enigma di Verona ò considerato da alcuni la più
antica testimonianza in italiano. Tuttora esistono molte controversie. Alcuni
credono che esso abbia origine popolare, ma molti altri ritengono che la sua
fonte vada cercata nella poesia latina scientifica e che avesse il ruolo del
proverbio scolastico, diffuso sul territorio europeo.
Vari documenti dei notai dal
X fino al XII secolo sono stati composti in latino scorretto e vicino al
linguaggio popolare. Molte testimonianze di analfabeti sono state citate nei
rispettivi dialetti.
La testimonianza giuridica più antica
proviene dall' Abruzzo;
è datata nel 819. Nel convento di Montecassino, fondato da Benedictus de
Nursia [in italiano Benedetto da Norcia] l' 8 aprile nel 529, tra molti documenti si conservò il
successivo documento «Placito capuano» composto nel 960:
Sao ke kelle terre, per kelle
fini que ki contene, trenta anni le
possette parte Sancti Benedicti... (“So che quelle terre, per quei confini che le contengono, le possiede di
trenta anni Santo Benedetto”...).
Due altri documenti analoghi da Benevento e da Teano sono
stati datati al 963. Si possono paragonare nel secondo tipo (A 2) con i
Giuramenti di Strasbourg (Serments de Strasbourg: tra di Luis Germanique e dei
soldati di Carlo Magno: Pro Deo amur et
pro christian poblo et nostro commun salvament,..), le lettere sono
paragonabili a molti documenti giuridici degli altri popoli romanzi.
Tutti questi dialetti
divergeranno in modo poco significativo.
Nei tre secoli seguenti,
simultaneamente, tutti i dialetti romanzi mutarono ciascuno nella sua
direzione, perdettero le loro declinazioni con tutti i casi. Il francese
conservò il nominativo e l'
accusativo di tre declinazioni fino all'
XI secolo, benché la lingua ufficiale in tutta l' Europa rimanesse il latino per i cinque secoli
successivi. (I. N. Golenitshev-Kutusov: «Letteratura latina dell' Italia medievale», capitolo
«Monumenti più antichi della lingua italiana», (p.
192) Editrice
“Scienza”, Mosca 1972), al 1147 circa si
data una quartina della cronica di Fiorenza. Il suo compilatore trascrisse la
canzone popolare, latinizzandola:
Nellia, Telia in ripa de
mari sedebat.
Telia dixit:
«Sedemus»
Nelia dixit:
«Secessimus»
Male de oculis
fannu li maris.
Girolamo
Lazzari afferma che l' ultimo verso va letto come «Male de oculi fami lu mari».
Esistono tre tipi oggettivi
di approccio teorico: filosofico, storico e letterario. Quando si analizzano
testi arcaici al di fuori dalla società scientifica, i confini tra la
critica letteraria e le lingue teorica fanno emergere con molte
difficoltà nella comprensione precisa dei testi. Dunque questa
introduzione al dottorato è l'
antologia di uno dei compilatori e niente più. La promessa dimostra che
il presente dottorato utilizzerà le ricerche delle edizioni
speciali.
Della comprensione precisa
dei testi arcaici dell' Medievo, della difficoltà
nelle relative interpretazioni anche dei compilatori è riferito nell' “Avvertenza”
posta prima dell' introduzione: ...Simile procedura era nel complesso evitabile
per gli altri volumi della collezione, ma era l' unica seriamente possibile per
un settore, quale questo del nostro Duecento poetico, quasi sprovvisto di
volgare accettabile senza verifica: mentre dei testi più recenti, in
modo speciale di quelli che seguono l' inversione della stampa, la
discutibilità in massima verte solo su particolari, se non minori, discontinui,
tanto che la relativa filologia assume
nel giudizio del pubblico veste d' un divertimento per specialisti, qui
è revocabile, e l' assistenza del tecnico è interrotamente
necessaria a qualsiasi lettore. Occorrevano
dunque una collazione preliminare dei documenti, o nell' originale o in
accettabili riproduzioni fotografiche ( solo
in rari casi
si è stimata
sufficente l' edizione
diplomatica di taluni canzonieri), quindi una sistemazione razionale dei
dati, a norma di critica interna o, soccorrendo attestazione multiple, della
logica in quella sua peculiare applicazione che si suol chiamare metodo
lachmanniano. Poiché tale
lavoro varcava le possibilità d' un solo individuo, si è ricorso
all' industria ed alla compiacenza di studi giovani o (all' atto delle
prestazioni) giovanissimi, dei quali più d' uno è nel intervallo
assurto a una posizione scientifica eminente, cordialmente riconosciuta
gli proprio dagli amici della Richiardina
in cui hanno corso nobile palestre. è
sommamente doloroso che uno di essi, Achille Pagnucco, immaturamente spento si
in un lontano ospedale, a Johannesburg, dove professava con zelo la letteratura
italiana, non possa più ricevere il ringraziamento che gli è dovuto... («Poeti del Duecento e poesia “popolare” e giullaresca» (pp. XI - XIII), Milano, Liguri
editori, s. r. l. 1979)
L' esempio tragico di Achille Pagnucco dimostra l'
impossibilità al di fuori dell'
Italia, di studiare in modo scientifico la letteratura italiana allo scopo di
paragonarla alle sue radici e con le letterature dei popoli diversi.
Il dottorato presente utilizzerà «La Divina Commedia» di Dante
Alighieri curata da G. L. Passerini nel
1922, nella nuova edizione eminente del 1988. L’edizione è stata
interamente rifatta e riveduta sul testo dalla Società Dantesca Italiana
nella pagina di sinistra sta il testo originale e nella destra il vocabolario
del lessico poetico di ciascuna pagina. Si utilizzerà anche l' edizione di John Hogue
«NOSTRADAMUS: Profezie complete» con gli originali francesi e le sue
interpretazioni tradotte in russo e in italiano (Edizione “Grand. Fair.Press.”,
Mosca 1999, ISBN 5-8183-0077-3.), ecc..
D) Ermeneutica.
Esiste un concetto del metodo non
evidente in paragoni e in confronti che accompagna sempre quei 33 fattori dei
metodi generali e soggettivi. L'
interpretazione ermeneutica apre nuove forme che in diversi
modi spiegano le influenze di letterature comparate sulle altre. Fondandosi su
certi libri che abbiano riunito singoli collaboratori, l' interpretazione ermeneutica esamina immagini evidenti e celate nel testo, dove sovente le
seconde alludono all' idea principale di tutto il testo esaminato o spiegano dove si svolge la
sostanza della problematica.
La scienza che interpreta
numerosi simboli concreti e celati si intitola Ermeneutica. In Europa di
ermeneutica s' è
occupato il filosofo e psicologo Paul Ricoeur. Il suo migliore libro in
francese di teoria dell'
ermeneutica si chiama «Conflitti tra le interpretazioni» («Conlicts des interpretations» èditions
du seuil, 27, rue Jacob, Paris VI).
L' idea generale si concentra sulla
diversità delle interpretazioni di un solo testo, ove ne appaiono molte
interpretazioni diverse e contrarie. Dai diversi livelli psicologici Paul
Ricoeur si avvicinò ai
suoi precursori tedeschi
Gusserle e Heidegger.
Paul Ricoeur contraddice Cassìrer. Cassirer ammette che qualsiasi
concetto del mondo con l' aiuto dei segni diventa simbolico. Paul Ricoeur afferma
che il simbolo è una struttura dove il significato ha un senso diretto
importantissimo e letterale che porta simultaneamente una seconda sostanza, indiretta che
talora si ripete. La seconda sostanza si nota solamente quando si intende la prima. Questo ambito delle espressioni da
queste due sostanze si converte nel campo dell’ ermeneutica. Dunque l' interpretazione
diventa indispensabile nell' analisi per capire numerosi simboli, per paragonarli e
confrontarli. Lo scopo dell' interpretazione nel volume di Paul Ricoeur è far
capire come con lo sforzo della mentalità si perviene qualsiasi seconda
sostanza in molti livelli della nostra comprensione. Perché questa
seconda sostanza si nasconde sotto la sostanza evidente...
...L' interpretazione propone a ogni studioso
la scelta dei procedimenti per generalizzare, simbolizzare, tipizzare, ecc., le
letterature paragonate o confrontate o per idealizzare la seconda sostanza che
dipende sempre dalla prima. I fattori menzionati nella sesta pagina aiutano l' interpretazione,
perché da quelli si ricercano i valori nascosti.
L' ermeneutica senza confini
regolari unifica le ricerche, analizza ed interpreta le opere, così crede
Hans-Georg Gadamer nel suo libro «Verità e metodo» La grande linea di una filosofica ermeneutica. («Vérité
et métode» Les grandes lignes
d’ une herméneutique philosophique. Editions du Seuil 27, rue
Jacob, Parie VI e)
E) Applicazione pratica della metodica dell' analisi comparata al concreto
esempio breve: «Ritmo Laurenziano» e una delle canzoni giullaresche di Colin
Muset.
L' interpretazione “esagerata”, se utilizzasse tutti i 33 fattori usati e non
usati, si servirebbe del secondo tipo di paragone, analizzando il «Ritmo
Laurenziano» e una canzone di Colin Muset. L' ermeneutica
permette di capire i sottintesi poetici e i legami di molte immagini concrete e
celate.
Sullo scorcio del XX secolo
si affermava che la prima opera completa in italiano arcaico si intitolava
«Ritmo Laurenziano». Alla sua comprensione da parte dei lettori contemporanei
furono dedicati i lavori di filologi eminenti come Torraca, Cesareo, Monaci,
Mazzoni, ecc. Fondandosi sulla loro esperienza si compilano le interpretazioni
e i paragoni seguenti:
Salva lo vescovo senato1, — lo mellior c' umque sia nato2
[...] ora fue sagrato — tutt' allumina ' l cericato3.
Né Fisoloco né Cato —
non fue si ringratiato4,
e ' l pap' ha ll [...-ato]5 — per suo drudo plu privato.6
Suo gentile vescovato — ben'
è cresciuto e meliorato.
L' apostolico romano — lo [...] Laterano7.
San Benedetto e san Germano — ' l
destinòe d' esser sovrano8
de tutto regno cristiano8a — peròe venne da lor mano8b,
del paradìs delitïano9. — ça non fue ques[to] vilano10:
da ce ' l mondo fue pagano11a— non ci so tal marchisciano11b.
Se mi da caval baliano11c, — monsterròll' al bon Galgano11d,
a lo vescovo volterano11e, — cui bendicente bascio mano11f.
Lo vecovo Grimaldesco12, — cento cavalier' a [desco]12a
di nun tempo no lli' ncrescono13,— ançi plaçono et
abelli[e-i]scono13a.
Né latino né tedesco14 — né lombardo né fra[ncesco]
suo mellior re no' nvesti[e-i]sco15— tant' è di bontate fresco15a.
A llui ne vo [...]oresco1 6 — corridor caval pultresco17:
li arcador ne vann' a tresco18;— di paura sbaguiti[e-i]sco;
rispos' e disse latinesco19 — «stenetietti nutiaresco»19a.
Di lui
bendicer non feni[e-i]sco — mentre ' n questo mondo vesco.
Qui si vede l’ influenza
diretta dei trovatori sulla metrica e sulla rima.
Nell' opera si sente anche la latinizzazione indiretta. E’ visibile
l' influenza dei trovatori sul
lessico poetico. Il messer I. N. Golenitshev-Kutusov pensa che la prima poesia
in italiano arcaico derivi dalla poesia provenzale e francese; è vero
che la poetica italiana ha radici nella letteratura francese. Allora ambedue
lingue non erano che i dialetti romanzi.
Ambedue le poesie, la
provenzale e la francese si allontanarono dalle loro radici all' intero dell' epica popolare. Così la letteratura provenzale e la
francese nacquero due secoli prima dell'
italiana a causa della somiglianza del linguaggio popolare italico al latino
volgare, menzionato nel «Gunzonem Italicum» del 965 D. C. (nell' ottava
pagina della presente introduzione).
Dal X secolo fino ai nostri
giorni in relazione al francese arcaico si conservarono: «Cantilène de
Sainte Eulalie» (29 versi), «Vie de Saint Léger» (40 strofe) e «Fragment de Valencienne»
(della predicazione apostolica di San. Giovani). Nell' undicesimo
secolo la letteratura arcaica di Francia si divide in tre cicli: francese,
bretone e antico. Per il genere epico si cita il ciclo francese o «Chançons de geste» (“Canzoni di gesta”),
le cui opere più antiche esistevano già nella seconda metà
dell' XI secolo. Le «Canzoni di gesta» hanno due gruppi. Il primo gruppo unifica
le «Epopee regie» dedicate alle leggende di Carlo Magno. Tra di loro si
distingue la «Chançon de Roland». Nel secondo gruppo del ciclo francese
rientrano le epopee feudali dedicate alle battaglie dei baroni o fra loro
contro il re. Sono «Raoul de Cambrai» e «Geste ds Lorrains». Il gruppo del
successivo ciclo bretone o ciclo d'
Arturo è contrario alle usanze brutali delle canzoni regie. I
loro capolavori nacquero dalle fiabe popolari. Si intitolano i «Romans de la
Table ronde» (Romanzi della
Tavola rotonda). In un primo tempo l' autore sconosciuto li scrisse in prosa. Dopo li
versificò il poeta Chrestien de Troyes (Cretienne di Troia). Il ciclo antico unifica i poemi dedicati
agli eroi dell'
antichità. Si è
ritenuto per molto tempo che la poesia francese fosse di importazione e che fosse stata presa dai trovatori del Midi;
non è vero come la letteratura italiana nacque solo sulla base della latina.
Essa aveva le radici anche nelle opere francese e provenzale che influenzarono
su queste radici.
Insieme con la letteratura
della lingua d' oil si svolgeva
la poesia provenzale sviluppata prima della francese, tutto comunque avvenne in
Francia. Già è apparsa la lirica originale dei trovatori, le cui
prime ispirazioni sono ancora le vicende all' epica. Alla seconda metà del XII secolo, la influenza
provenzale si fanno sentire sulle canzoni francesi, piuttosto indirettamente
un’influenza indiretta ad ampio va anche attribuita alle crociate.
La contessa Marie de
Champagne, nipote di Guillaume IX, il più antico dei trovatori, è
figlia di Eléonore d'
Aquitaine o contribuì molto alla difesa della poesia provenzale in
Francia. L' influenza dei
trovatori cleri e giullari si propagava nella Champagne e nella Picardie, nella
Fiandre (Fiandre) e nell'
Artois. Verosimilmente si popolarizzava nella Burgogne, nella Normandie e nell' Ile-de-France dove nell' XI
secolo i poeti provenzali ammiravano il pubblico.
La poesia dei trovatori era
di contenuto morale, satirico, politico, prima ancora di amorosa. Ma la poesia
dei lirici trovieri (non trovatore; trouvers in francese che cantavano in
francese e non erano trovatori) diventò quasi esclusivamente amorosa. Le
descrizioni poetiche dell'
amore stettero sotto l'
influenza del Midi.
Si conservò finora la
poesia del troviero francese
Colin Muset della seconda metà del XII secolo che scrisse le sue canzoni
in lingua d' oc che sono da
considerarsi assai vicine all'
usanza provenzale. Dal secondo tipo (A 2) si paragona il «Ritmo Laurenziano»
con un dei poemi di Colin Muset.
Sire cuens, j' ai vielé, [Sir' conte, io ho toccato un antico
strumento a corda;]
Devant vos en vostre osté, [Davanti
a Lei nella (vostra) sua osteria (o ostello),]
Si ne m' avés rien doné [Se
non m' ha niente dato]
Ne mes gages aquitté; [Non
i miei guadagni ottenuti;]
C' est vilenie. [Questo è l’ antico strumento
a corda]
Foi que doi Sainte Marie, [Talora
debbo a Santa Madonna]
Ainc ne vos siervai je mie: [Mai
non La perseguiterà affatto]
M' aumosnière est mal garnie, [La
mia borsa del mendicante riempita è male,]
Et ma malle mal farcie. [E il
mio cofano stradale ho male colmato.]
Sire cuens, car comandez [Sir' conte, se Lei comanda]
De moi vostre
volonté. [me la sua volontà.]
Sire, s' il vos vient à gré, [Sir',
se le viene ogni voglia,]
Un beau don car me donez, [Un bello
dono perché mi dà]
Par cortoise. [Per cortesia.]
Talent ai, n' en dotez mie, [Desiderio
l' ho, Lei non né (lo) dota me affatto,]
De raler à mesnie: [Si
n' andare a famiglia:]
Quant vois borse desgarnie, [Quando
vedo la borsa vuota,]
Ma fame ne me rit mie... [La
mia fame non mi ride affatto...]
Quant je vieng à mon osté, [Quando
vengo al mio ostello,]
Et ma fame a regardé [E
la mia fame ha guardato]
Derrier moi le sac enflé, [Dietro
a me la borsa piena,]
Et ge qui suis bien paré [Ed uccello piccolo (geai /fr./) a quello
sono bene avvicinato]
De robe grise, [Dal soprabito grigio,]
Sachiez qu' ele a tost jus mise [Che Lei sappia che (geai) è stata
spostata sulla terra]
La quenoille sans faintise. [Lo
strumento per filare senza pigrizia.]
Ele me rit par franchise, [Ella
mi ride per liberazione,]
Mes garçons, va abevrer [Miei
ragazzi, vada a abbeverare]
Mon cheval et conreer [Il
mio cavallo ed avere cura]
Ma pucèle va tuer [La mia fanciulla (vergine) va a mangiare
(sterminare)]
Deux chapons par deporter [Due
fettine di pane con l' aglio per dipartire (salire)]
A sauce aillie. [Con la
salsa (indispensabile) alle ali.]
Il paragone tra il poema di
Colin Muset e il «Ritmo Laurenziano
utilizza il secondo tipo di analisi comparativa (A 2). Tutti e due hanno una sola fonte (BISOGNO
DEL GIULLARE), ma hanno due diversi soggetti. Nel ritmo poetico è la
preghiera del autore lontano dalla povertà che vorrebbe rimanere
sconosciuto nella petizione al vescovo generoso. Il secondo soggetto si svolge
nella preghiera a qualche conte astratto. Questo messaggio è cantato dal
giullare sopra la via che non nasconde il suo nome, soffre la fame, ma parla a
tutto il mondo, a tutti i suoi uditori affinché intendano il suo
destino.
I fattori storici (1 a); essi
furono influenzati dei trovatori. Lo dimostra la monorima, le loro usanze
rappresentarono i loro desideri. Colin Muset mantiene viva la tradizione del
«corrente francese» apparso nell' XI secolo tra i viaggiatori trovatori che, con le
canzoni, visitavano le corti.
L' autore sconosciuto del «Ritmo Laurenziano» segue gli stili dei
giullari che erano i cleri nelle chiese allo stesso tempo e per la tradizione
del Medioevo preferivano celare i loro nomi.
L' idea generale (1 b) del poema di Colin Muset si concentra nell' idea di
come ottenere la grande generosità di ogni conte e di ogni nuovo
ascoltatore.
L' idea generale (1 b) del «Ritmo Laurenziano»: come conseguire
la generosità del vescovo. Il loro desiderio essenziale ci sembra
comune, ma gli loro scopi sono diversi.
La problematica (1 c) dell' opera di Colin Muset si riferisce
alla sua povertà costante, alla
borsa vuota, alla fame,
al modo di esprimere il dolore, affinché la fame non rida. La
problematica si manifesta nell'
assenza di generosi signori, nel problema di come abbeverare il cavallo e
saziare la fanciulla.
La problematica (1 c) del
«Ritmo Laurenziano» consiste in modo in cui persuade il vescovo Grimaldesco, anche con tutti i metodi ad ogni
immagine poetica il vescovo dovrebbe donare o un cavallo balzano o un puledro.
La problematica del poema
francese è irrisolvibile e non dipende da una soluzione di questo
problema rinnovato ogni volta.
La problematica del «Ritmo
Laurenziano» dipende da una sola decisione, perché la decide solamente
il consenso o il rifiuto del vescovo.
La tematica (1 d) di Colin
Muset si svolge nel racconto della vita crudele con l’antico strumento a corda.
La tematica (1 d) del ritmo
si rispecchia nell' elogio in
molte lingue del vescovo
gentiluomo, si svolge nel paragone tra lui e molte immagini vigorose dei pagani, e tra lui e i famosi servi di Chiesa,
la tematica si svolge poi nell’inverosimile glorificazione dei loro atti salvifici,
delle concessioni e dei regali si parla come nel suggerimento al vescovo Grimaldesco faccia il suo dono
al poeta.
Gli ideali estetici (1 e) di Colin Muset (sguardo sul mondo e
ricerca di ideali in esso) si definiscono attraverso l' attività dell'
immagine senza pigrizia, nel debito spirituale a Santa Maria, nel cavallo sano
che beve a tempo debito, nella sincerità della fanciulla sazia;
perché Colin Muset guarda al mondo come a una turba avara ed
indifferente ma pieno di speranza. La sua ricerca disinteressata di ideali si
limita a un solo Conte, capace di garantire al poeta la vita degna del vassallo
affinché l' autore
esaudisca ogni suo desiderio con la cortesia.
Gli ideali estetici
dell' autore laurenziano
(analoghi a quelli di Colin Must) sembrano più evoluti. Tra i pagani
appare il censore Catone, l'
apostolico romano papa di Roma, il palazzo Laterano regalato dall' imperatore Costantino Magno, San
Benedetto, San Germano, la direzione al Paradiso non terrestre dove tutti i
santi regnano, un Galgano vescovo di Volterra, ed ancora tutti coloro che
regalarono talvolta un cavallo o un puledro. Il suo sguardo sul Mondo del poeta
di talento è volto a conseguire un desiderio concreto. Gli ideali
sembrano abbastanza venali.
Il credo artistico (1 f) di
Colin Muset si riflette nella poetica giullaresca dei trovatori e
verosimilmente degli autori francesi della fine del XII secolo. Emerge un
dubbio: che Muset abbia letto la poesia degli secoli passati?
Il credo artistico (1 f) del
poeta italiano sembra diverso da quello di Colin Muset.
L' intenzione estetica (1 g) del giullare francese si riflette
nel desiderio affinché la sua opera mantenga in vita le tradizioni
poetiche della sua adolescenza.
L' intenzione (1 g) dell’autore sconosciuto si concentra storicamente
sulla nascita della nuova poesia nella lingua compresa dal popolo.
La composizione poetica (non la stessa poesia, maniera di composizione) (1
h) del «Ritmo Laurenziano» è composta di tre quintetti doppi. Ogni
strofa consta di due versi. Ogni quintetto è composto da dieci versi.
Una sola monorima di tutti i dieci versi muta ad ogni quintetto seguente, dove
di tutti dieci versi di ogni quintetto doppio ha la medesima monorima.
La composizione poetica (1 h)
di questo poema di Colin Muset ha tre colonne. Le prime quattro strofe sono
unite da una sola stessa monorima. Alla prima colonna appartiene un solo
quintetto. La seconda e la terza consistono in una quartina che sta sopra il
quintetto. Ai quintetti appartengono gli ultimi versi accorciati (più
brevi), la cui rima non corrisponde alla rima dei quattro versi anteriori ai
quintetti. La rima trasforma i quintetti nelle quartine condizionali in cui la
quinta strofa non appartiene ad ogni quartina. Tutti i versi più brevi
dei quintetti hanno una sola monorima.
Sebbene le loro composizioni
si distinguano, è evidente in entrambi l’ influenza dei trovatori che
formarono i due fondamenti delle loro diversi versificazioni (alternanze delle
rime, alternanze delle sillabe lunghe e brevi e metrica quantitativa delle
sillabe).
Lo sviluppo degli eventi (1
i) del «Ritmo Laurenziano» incomincia dal messaggio all' immagine lamentata che il poeta paragona i simboli del primo
quintetto. La prima parte del secondo quintetto allude a che il vescovo, al
quale è dedicato il poema, si paragoni alla suprema destinazione dei
cristiani. La parte rimanente del quintetto ricorda il dono del Villano. L' autore dall’ indicativo arcaico
promette che se il vescovo gli regalasse un cavallo bolzano simile al dono di questo villano lo mostrerebbe al
collega più rispettabile, all’ eccellente Galgano vescovo di Volterra
che lo benedirebbe con la mano. Nel terzo quintetto doppio lo sviluppo degli
eventi ripete la lode al vescovo dalla valenza inesauribile in modo che i
colleghi abbiano da coronarlo. Il giullare termina la colonna mostrando che l' autore trema dalla paura vicino
agli arcieri che proteggono le ricche stalle del vescovo. Lo sviluppo degli
avventi si svolge abbastanza vigorosamente per la prima opera completa in
italiano.
Lo sviluppo degli eventi (1
i) del poema di Colin Muset, si può dire, non ha quasi svolgimento e si
limita alla speranza di trovare un conte e alla descrizione della
povertà del poeta. Il secondo quintetto manifesta la speranza e ci
descrive la povertà fino al mezzo della terza colonna, dove si allude
solo a un cavallo e a una fanciulla, la cui fame l' autore ha da saziare.
La tendenza (1 l) generale
del «Ritmo Laurenziano» è la formazione inconsapevole della poesia
nazionale tra i cleri e i poeti tradizionali da molti secoli scritti le lettre
con i versi rimati in latino. Anche là domina la tendenza delle
descrizioni degli atti valorosi all'
autore.
(1 l) Nel poema di Muset c' è la scomparsa della
popolarità della composizione dei trovatori in francese e una
concessione alla monorima che già incomincia ad alternarsi tra i poeti
come il famoso Thibaul IV, conte di Champagne, re di Navarra, uno dei signori
turbolenti, quando la minoranza rimase con santo Louis, Tibaul IV lottava
contro tutti i suoi nemici.
Il «Ritmo Laurenziano»
appartiene al genere (1 m) del panegirico con tendenza più descrittiva
che narrativa.
L' opera francese utilizza
il genere (1 m) lirico, dove emerge una sfumatura di folklor.
Il “Ritmo Laurenziano” ha la
forma poetica della futura poetica italiana del duecento. La canzone di Colin Muset utilizza la metrica
(aaab aaab, ecc.) del passato della poesia francese che si
dimenticherà dopo la condanna nella
condanna dei trovatori e sarà sostituita dalle alternanze delle strofe
rimate (abab cdcd o abba cddc)
dei secoli seccessivi (1 n).
* * *
Per paragonare e confrontare
esistono sei procedimenti nella ricerca (esplorativo, generalizzante, individualizzate,
valutativo, contemplativo e stato al limite fra la critica letteraria e la
linguistica teorica) (1 o) che analizzano più profondamente il «Ritmo
Laurenziano» e il poema sopraddetto di Muset.
Il procedimento esplorativo
studia le origini, i manoscritti più antichi, che si sono conservati
finora ed esplora i ruoli di ogni individuo storica nella nascita delle opere
analoghe.
La generalizzante studia le
tendenze generali che apprezzano le fasi epocali: siano esse messaggi
tradizionali, relazioni di simboli, indizi tradizionali della costruzione
poetica, monorima, metrica, ecc..
La valutazione determina il valore del ritmo nella prima
letteratura italiana e il suo livello letterario paragonandola e confrontandola
con l' opera di Colin Muset e
con gli altri poemi del periodo e delle epoche seguenti. Valutiamo la canzone
di Colin Muset nell' evoluzione
della letteratura francese. Valutiamo anche il suo ruolo nella sparizione di
tutta questa tendenza.
Il procedimento contemplativo
studia la comprensione di ambedue da parte di lettori di ogni secolo fino ad
oggi.
Lo stato al confine tra la
critica letteraria e la linguistica teorica spiega lo sviluppo della lingua e
analizza i concetti successivi: il lessico poetico (antiquato e contemporaneo)
(2. 2. a), le regole sintattiche della poesia (2. 2. b), la semantica poetica
(2. 2. c), la ritmica poetica (sillabica e metrica) (2. 2. d), i tropi: epiteti
(2. 3. a), comparazioni semantiche (2. 3. b), metafore (2. 3. c) metonimie (2.
3. d), iperboli (2. 3. e) ed antitesi (2. 3. f), per paragonare dal secondo
tipo il «Ritmo Laurenziano» e il poema francese di Colin Muset.
La ricerca del presente dottorato utilizzerà l' ermeneutica
che paragona e confronta le poesie narrative tramite innumerevoli paralleli
storici.
Ossequio del genio e
assenza dell' ossequio nella società contemporanea:
paragone dei destini.
Publio Virgilio Marrone
(70-19 a.C.), Annizio Manlio Severino Boezio (475-524 d. C.) e Dante Alighieri
(1265-1321) sono da considerarsi isimboli sacri della letteratura europea.
Tuttora ammiriamo loro capolavori. Di Virgilio ci meravigliamo delle
Bucoliche, Georgiche ed Eneide. Da Boezio abbiamo Quadrivium, Dialettica,
Trattati teologici e Consolatio. Di Dante sono in latino
De vulgari Eloquentia, De
Monarchia, Quaestio de acqua et terra, Epistole (11 o 14?) ed Egloghe (2) e in lingua volgare di Dante
leggiamo la Vita nova, il Convivio, le Rime e la Commedia.
Essi occupano i loro seggi
nell' Empireo della cultura del
Mondo Universale. Tra le loro opere principali sono insuperabili ed
imparagonabili a nulla teoricamente. Sono le Georgiche, la Consolazione
e la Commedia, che dai
posteri sono state intitolate i tre “Libri
d' oro”.
Da un Alighiero di Bellincione
degli Alighieri, antica e nobile casata fiorentina di parte guelfa (che non organizzò la
nuova repubblica per non dipendere dagli ordini feudali), del sesto di Porta san
Pietro, derivata dall' altra, nobile e antica, degli Elisei, che avean lor case
nella via degli Speziali grossi, nacque Dante in Firenze... l' anno 1265, come
oramai sembra certo, sullo scorcio del mese di maggio... (Passerini, La D. C.
NOTIZIA SULLA VITA e sulle opere di Dante (III), Milano 1922)
Alla sua nascita sotto le gloriose
stelle si allude da parte del XXII canto (106-120) della terza cantica della
Commedia
S' io torni mai, lettore, a quel divoto 106
trionfo per lo quale io
piango spesso
le mie peccata e ' l
petto mi percuoto?
tu non avresti in tanto tratto
e messo 109
nel foco il dito, in
quant' io vidi ' l segno
che segue il Tauro e fui
dentro da esso.
O gloriose stelle, o lume
pregno 112
di gran virtù,
dal quale io riconosco
tutto, qual che si sia,
il mio ingegno,
con voi nasceva e s' ascondeva
vosco 115
quegli ch' è
padre d' ogni mortal vita,
quand' io senti ' di
prima l' aere tòsco.
Vediamo che la Commedia è piena di allusioni e di avvertenze. Devoto è beato di Dante. Egli
non tornerà mai al luogo dove era nato e non è riuscito a fare
carriera politica e neanche a continuare il trionfo del poeta, sognando
solamente come sarebbe stato possibile visitare la patria. O sentimenti ma non
a Beatrice che furono, senza accordo dell'anima,
stati regalati a scelta in sposa Gemma di signore Manetto Donati.
All' età di 37 anni perse tutti i posti nel Consiglio
generale, l'
eleggibilità ad ogni pubblico
uffizio e pagò l'
ammenda e fu condannato per tutta la vita all’esilio.
Questa vita è il
destino di molti geni che a quelli Apollo insegnò del dono di diventare
immortali. Il leggendario Virgilio accompagna Dante fino al XXX canto del Purgatorio /Ma Vergilio n' avea lasciati scemi (49)/ di sé, Virgilio
dolcissimo parte, / Virgilio a cui per mia salute die' mi;/... Perché Virgilio è
da considerarsi il primo poeta romano e non qualcun altro? Virgilio scrisse
solo due epopee per intero e una (Eneide)
incompiuta. Perché Ovidio non diventò il primo? L' eredità del terzo poeta
mondiale Publio Ovidio Nasone sembrò “più varia e vigorosa” che
quella di Publio Vergilio Marone. Il destino della storia dipendeva dal secondo “primus inter pares” di Augusto che
aveva già nominato il Primo poeta romano.
La società sovente
è cieca e crudele con i geni di ogni epoca. I loro posti ufficiali sono
stati occupati dai loro precursori.
Ovidio
Nacque a Sulmone nel
43 A. C., nella piccola città contadinesca del Samnium, da una modesta famiglia di cavallieri. Verso il 30 si reca a
Roma, col fratello maggiore, per studiare i corsi del grammaticus, dove Ovidio
apprende testi dei poeti romani (Ennius specialmente) e l' introduzione alla Mitologia.
Nel 27 sogna la toga virile e frequenta la scuola di retorica, il cui programma
insegna ai suoi scolari a interpretare molti soggetti. Nel 25 Ovidio viaggia in
Grecia e dopo in Asia Minore con l' amico poeta epico Pompeo Macero. Ritorna
attraverso la Sicilia, dopo aver visitato i luoghi più celebri della
Mitologia. Nel 23 fa parte del Collegio dei triunviri capitales, magistrati di
polizia. Allora Ovidio capisce che la sua vocazione è un' altra. Dal 22 fino al 20 Ovidio
partecipa nel circolo dei poeti e fa a capo lo simbolo di Messalla Corvino,
protettore delle lettere. In questo circolo si svolgono due eminenti poeti di
elegie: Properzio e Tibullo. Dal 20 fino al 15 legge pubblicamente opere del
suo proprio componimento: gli “Amori”, la “Gigantomachia” (combattimenti degli
Dei e delle Genti, epici poemi mitologici). Nel 15 copiano i suoi “Amori”, e
Ovidio diventa il primo poeta di Roma tra i viventi. Nel 12 trascrivono la
tragedia “Medea” tratta dalla mitologia (perduta per noi). Copiano le “Eroide”,
lettere dedicate alle eroine della “Mitologia”. Nel 1 D. C. copiano l' “Arte d' amare”. Dal 3 fino al 8 compone
le “Feste” (Calendario delle feste romane in versi). Lavora alla composizione
delle “Metamorfosi”.
Per ragioni sconosciute,
è bruscamente cacciato da Roma, sull' ordine di Ottavio, alla periferia
dell' Impero, a Tome (Costanza, la riva meridionale del mare Nero). Dall' 8
fino al 18 scrive all' Imperatore, e agli amici di Roma, dedica numerose
lettere piene di suppliche e di lacrime:
i “Tristi” e i “Pontici” e nel 18 non ottiene il perdono dall' imperatore Tiberio, che utilizza il suo culto quando ne sente il bisogno;
Ovidio, infelice, muore nella solitudine a Tome. (Pierre-Jean MINICONI. Agragé de l'
Université. Docteur ès lettres. «Les Métamorphoses» d'
Ovide, extaits.: La vie du poète. (pp. 2-3)Traduzione di Alexander Kiriyatskiy. “Classiques
ROMA Hachètte 1953)
I capolavori offerti all' umanità
dall' ultimo genio durante il regno di Augusto, non ebbero forza bastante a far
perdonare l' esule pentito? Solo dopo la sua morte il culto senza vita di
Ovidio stupirà l' umanità grazie ai soggetti e alle sue
immagini. Ogni periodo seguente l' umanità lo paragonerà a molti
nuovi geni, ma senza dimenticare la sua colpa relazionata a quella di Cicerone.
Lo decapitarono i suoi “cari amici” nel 43 per consegnare la sua testa al
secondo triumvirato: Lepido, Antonio ed Ottavio, ancora non Augusto (43 —31 A.
C.)
O Dracontius vir
clarissimus che dedicò i versi all' imperatore bizantino Anastasio (491 — 518 d. C.) nel
territorio dell' Africa settentrionale. Il re vandalo Gutamundo, che regnò dal 484
fino il 496, lo catturò e lo lasciò in prigione. Gli ex-amici di
Draconzio lo dimenticarono. Il poeta scrisse l' epitalamio a Giovanni e Vitule dove li incolpa di tradimento e
dedicò il Satisfactio a
Guntamundo. L' epitalamio non aiutò. Dopo scrisse l' epopea della creazione del Mondo Universale e degli uomini
beati. Nel poema descrisse i Testamenti Vecchio e Nuovo e celebrò
Trasimundo fratello del re. Allora Trasimundo lo rilasciò.
O Seneca e Petronio (autore
della commedia Satiricon) che
si tagliarono le vene a causa della paura davanti a Nerone dopo la scoperta del
loro complotto.
O Dracontius vir
clarissimus che dedicò i versi all' imperatore bizantino Anastasio (491 — 518 d. C.) nel
territorio dell' Africa settentrionale. Il re vandalo Gutamundo, che regnò dal 484
fino il 496, lo catturò e lo lasciò in prigione. Gli ex-amici di
Draconzio lo dimenticarono. Il poeta scrisse l' epitalamio a Giovanni e Vitule dove li incolpa di tradimento e
dedicò il Satisfactio a
Guntamundo. L' epitalamio non aiutò. Dopo scrisse l' epopea della creazione del Mondo Universale e degli uomini
beati. Nel poema descrisse i Testamenti Vecchio e Nuovo e celebrò
Trasimundo fratello del re. Allora Trasimundo lo rilasciò.
O lo stesso Boezio, il Medioevo fino al XII secolo, la cui
esecuzione privò di Platone tradotto in latino tardo e può essere
di molti altri capolavori. Si ricordi inoltre Boezio, il quale, se non fosse
stato giunsinato avrebbe perse tradotto Platone ed altri classici greci.
Boezio
Annizio Manlio Severino Boezio nacque tra il 475 e il 480; fu condannato a
morte tra il 524 e il 526. Boezio era poeta, enciclopedista, insuperabile per
molti secoli filosofo, storico, filologo e retore del Medioevo. Nel 510 lo
nominarono console onorario. Dopo il 493 Teodorico gli permise a fare la
carriera letteraria durante i primi trenta anni. Dal 510 fino al 522 Manlio si
occupò solamente di teologia e di letteratura. Il traduttore dei
trattati di Aristotele voleva tradurre molti lavori di Platone. Conoscitore di
letteratura utilizzava nei suoi componimenti l' esperienza dell'
alessandrino Ammonio Sacca (175 — 242 d. C.). Boezio è l' autore dell' opera Quadrivium: De instituzione arithmetica, geometria,
musica et astronomia (il
più antico manoscritto si data dal X secolo: Ars geometrae et arithmeticae). Analizzò il libro Commento (Isagoge) a Porfirio di Tiro
(III s.), ricercò l' Introduzione a categorie o di cinque suoni
di Aristotele anche la Seconda
Analitica e Topica di Cicerone. Appartengono al suo nome De dialectica, Quomodo Trinitas unus Deus ac
non tres dii o Liber de Trinitate (“In che modo la Trinità è
un Dio e non è tre dei”), Utrum
Pater et Filius et Spitus Sanctus substantialiter praedicentur (“Ossia Padre,
Figlio e Spirito
Santo sostanzialmente si
predicono”), Quomodo substantiae in eoquod sint bonae sint cum
non sint substantialia bona o De Hebdomadibus (“In che modo le
sostanze che in quello fossero buone, sono buone perché sostanzialmente
sono” o “Di quantità”) e Liber contra Eutychen et Nestorium o Liber de
persona et duabus naturis (“Libro contro Eutichene e Nestorio” o “Libro dela
persona e delle due nature”). Nel 522 Boezio diventa il Magister officiorum
della corte di Teodorico.
Nella cronica del 550, conservatasi nel manoscritto
«Anonymus Valesianus», cita il poeta bizantino Procopio Cesario, nato tra il
490 e il 507 e morto nel 562, che narra di come il referendario Cipriano dimostrò
a Teodorico che l' ex-console Albino stava trattando nelle lettere all' imperatore da Costantinopoli
Giustino allo scopo di restaurare la gloria passata di Roma unendosi con l’
Impero Bizantino contro il progetto di Teodorico stesso. Durante il tribunale
del «san consistorio» del 523 Boezio disse: «La testimonianza di Cipriano
è falsa. Se Albino avese avuto quelle intenzioni, anche io, e anche
tutto il senato così farebbe, è la menzogna, sir' ...» Dopo di che Cipriano
accusò anche Boezio. Egli si trovò nel carcere di Convelzano
vicino a Milano prima della sua esecuzione tra il 524 e il 526, quando Boezio
scrisse il suo libro d’ oro Consolatio o De consolatione philosofiae (“Consolazione della filosofia”).
Della corrispondenza
con l’autorità d’Oriente che, secondo l’uso, si svolge in occasione
dell’elezione del nuovo Papa, una o alcune lettere scritte dal patrizio Albino
vengono a conoscenza delle autorità gote. Il referendario Cipriano
istruisce il processo contro Albino, accusato di macchinazioni contro
Teodorico, d’intesa con l’Impero d’Oriente. P. 29 …papa Giovani I si trovava a Costantinopoli,
ossia tra il dicembre del 525 e l’aprile del 526. Rientrato il Papa a Ravenna
nel maggio con l’accettazione da parte
di Giustino delle richieste di Teodorico, tranne di quella di indurre gli
ariani convertiti a ritornare alle loro primitiva concessione, fu malamente
accolto dal re, e gettato in carcere, ove pochi giorni dopo viene a morte. Il
30 agosto, colpito da improvviso malore, Teodorico stesso ne seguì la
sorte… (Introduzione
del traduttore di Boezio in italiano
Luca Obertello cronologico alla “Consolazione della filosofia” (p. 28)/Rusconi Libri s.
r. l., viale Sacra 235, 20126 Milano ISBN 88-18-70150-9/, 1996)
Coms fo de Roma e ac ta gran valor
Aprob malio lo rey imperador
El era' l meler de tota la honor
De tot' l imperiel' tenien per sonîr
Mas d' una causa u nom avia genzor,
De sapientia l'apellaven doctor.
(Dal poema provenzale dell' XI
secolo «Boezio»)
Era
così nell'
oscurità del Medioevo avanzato.
Conflitti
analoghi sono successi (più duri degli antichi) tra i geni e la
società costituita nel tardo Medioevo. Si può dire che
così si ripeté il destino di Draconzio per Jacopone da Todi
autore della lauda famosa «Stabat mater dolorosa/ Juxta cucem lacrimosa/ Dum
pendebat filius...».
Jacopone da todi
La storia chiama Jacopone l' ultimo seguace famoso della terza
scuola poetica che si sviluppò sotto l' influenza dei provenzali cleri di tre le scuole diverse che
utilizzavano la monorima costante.
La prima
presentava una monorima di tutti i versi della colonna come si svolge nel
«Ritmo Laurenziano».
La seconda
scuola presentava una serie maggiore di ottonari-novenari in rima estesa da due
a nove strofe che cede poi il posto a una serie minore di versi endecasillabi o
decasillabi, che sta
sotto la maggiore, composta da due o tre versi, alle volte quattro. Alla seconda scuola della monorima di cleri appartiene
il «Ritmo Cassinese», dove si svolge il discorso fra un saggio d' oriente e un uomo d' occidente. Il ritmo incomincia con
il breve prologo del partigiano sconosciuto della confessione basiliana che si
converte nel dialogo. Il primo partecipante al discorso si chiama il
celebratore orientale della vita contemplativa sopra la necessità
fisica. Il secondo sceglie il buonsenso terrestre.
«...Certe
credotello, frate, [Certamente
creduto, fratello,]
+ ca
tutt' è' m beritate. [dunque
qualcuno è me vero.]
Una
caosa me dicate
d' essa
bostra dignitate:
poi ke'
n tale desduttu state, [poi
che ' n tale piaciuto state,]
quale
vita bui menate?
que
bidande manicate? [che
vivande voi mangiate?]
Abete
bidande cuscì amorose
como
queste nostre saporose?»
Alla
seconda scuola della monorima appartiene anche il «Ritmo di Sant' Alessio».
Alla terza
scuola della monorima meno arcaica appartengono le «Laude Cortonesi» e le laude
di Jacopone da Todi ove spesso nelle prime tre strofe domina una sola rima se
la stessa monorima di ogni quarta strofa è uguale. Come i poeti francesi
del secolo precedente Jacopone da Todi talvolta utilizzava le alternanzi di due
monorime interne diverse nelle colonne.
Quanno
iubelo ha preso [Quando
giubilo ha preso]
lo
core ennamorato, [il cuore innamorato,]
la
gente l' ha ' n deriso, [la
gente l' ha in derisione]
pensanno
el suo parlato, [pensando nel suo
discorso,]
parlanno
esmesurato [deridendo
immensurabile]
de che
sente calore. [di che
sente il caldo sincero (dell' amore]
Una Vita conservata in un manoscritto del
nostro Seicento afferma che Jacopone usci
dalla vita di settant' anni nel 1306. La lauda XCVI nel codice di Chantily
allude alla data del 1236 dunque Dio dice
di aver bussato trentadue anni alla porta del peccatore... circa il 1268...
Pare fosse notaio e procuratore, e appartenesse alla famiglia todina dei
Benedetti. Viene pure tramandato il nome della moglie, Vanna di Bernandino di
Guidone, dei conti di Coldimezzo; ed è lecito ogni dubbio, così
su questo dato come sul racconto edificante della morte di lei avvenuto in un
crollo durante una festa da ballo: che sarebbe stata, per il cilicio trovato
sulle sue carni, occasione all’ abbandono del secolo da parte del marito...
esso ebbe luogo nel 1268... «Araldo
poetico degli Spirituali
lo definì giustamente il
Casella: degli Spirituali, cioè della corrente francescana
rigorista che faceva capo a Giovanni da Parma e a Pier Giovanni Olivi e
trovò il suo maggiore scrittore
in Ubertino da Casale... Jacopone approvò, come testimonia Angelo
Clarino, l' ambasceria degli Spirituali
a Celestino V (1294), e prese parte eminente nella lotta che, potetti
dai Colonna, essi conducessero contro Bonifacio VIII. Fu del manifesto di Lunghezza con cui si deponeva
e si chiedeva la convocazione del concilio (10 maggio 1297); fu tra gli assediati
di Palestrina, catturato nel settembre 1298 e tenuto in un carcere conventuale
finché visse quel papa (morto nell' ottobre 1303). E’ questo l' unico
episodio ben noto della vita di Jacopone, documentato nella polemica poetica
conto Bonifacio. Liberato e dalla prigione e dalla scomunica a opera di
Benedetto XI, sopravvisse soli tre anni, vivendo presso le Clarisse di San
Lorenzo, a Collazione vicino a Todi. Dal Quattrocento è sepolto in San
Fortunato a Todi. («Poeti del Duecento e poesia
“popolare” e giullaresca» (p.61) ), Milano, Liguri editori, s. r. l. 1979)
Prima del
carcere Jacopone da Todi descrisse il tradimento umano dalla lauda I [lxxii]
nello stile abituale della terza scuola della monorima.
Vorria
trovar chi ama:
multi
trovo che s' ama. [molti trovo
che amano soltanto se stessi]
Credeva
essere amato:
retrovome
enganato, [ritrovo me
ingannato]
dividenno
lo sato [dividendo lo
stato]
per che
falso m' ama. [Se esamino
circostanza]
L' omo
non ama mene: [l' uomo non ama,
possiede o utilizza]
ama que
en me ène [ama
quanto in me tiene]
però,
vedenno bene, [perciò,
vedendo bene,]
veio
che falso m' ama... [vedo che
vantaggiosamente mi ama]
L' Inferno della Commedia di Dante
incomincia dalle sue parole: Dov'
è piana la lettera // non fare oscura glossa.
Nella
seconda metà del Duecento dominano tre tendenze nella poesia italiana: l' ecclesiastica (dei cleri
sconosciuti e di Jacopone, ecc.), la francese sotto l' influenza diretta della Francia contemporanea, il cui
rappresentante più famoso fu Brunetto Latini (1220 — 1294), la terza
tendenza si chiama il Dolce Stil Novo, il cui ispiratore
diventa Guido Guinizzeli (fra il 1230 e il 1240 — 1276). Lo svolsero più
vigorosamente Guido Cavalcanti, Dante Alighieri e Cino da Pistoia.
Brunetto Latini
Un capolavoro in prosa in
francese, intitolato Li livres dou
tresor (“Les livres du trésor”
— “I libri del tesoro”),
appartiene costui. L'
opera consta di tre parti. Nel primo libro Brunetto Latini
spiega la creazione di tutte le cose e della natura degli angeli, racconta la
storia biblica, la storia di Troia e di Roma. Con l' utilizzo di parole italiane Brunetto Latini non viola le
regole della grammatica francese. Nella prima parte narra la storia del Nuovo
Testamento e narra del Medioevo come continuazione della storia romana. Dopo
segue la storia della natura dove descrive gli astri celesti e la Luna. Poi il
narratore illustra la geografia ed esamina le tre parti del mondo: l' Asia, l' Africa e l'
Europa.
Il secondo
volume è dedicato all'
etica, dove si spiegano le ragioni dei moralisti vogliosi di creare cittadini
degni. Le ragioni si alternano ai racconti, dove si irridono numerosi uomini
che compirono sacrifici di donne malvagie.
Il terzo
descrive la politica e l' arte
del regnare.
In italiano
nello stile francese è stato composto il primo poema didattico che
ripete il soggetto del trattato francese Li
livres dou tresor. Il poema si compone di più di 3000 versi ed
è ricco di motivi autobiografici.
...se non com' auro fino
io Brunetto Latino, 70
che vostro in ogni guisa
mi son sanza divisa,
a voi mi ricomando....
Ma i' ho già trovato
in prosa ed in rimato 100
cose di grande assetto,
e poi per gran sagretto
l' ho date a caro amico:
poi con dolor lo dico,
lu' vidi man d' i fanti, 105
e rasemprati tanti
che si ruppe la bolla
e rimase per nulla...
Qui
è assente la monorima come in molti poemi francesi.
Il poema
termina con le sette arti. Si nota che Latini era abbastanza infelice. Si
può supporre che Dante Alighieri pensò che la sua anima era scesa
nel settimo cerchio dell' Inferno perché Latini era
pieno di odio verso le donne. Così alla fine del XV canto dell' Inferno Brunetto Latini interrompe il dialogo con Dante:
«...Di
più direi; ma ' l venire e ' l sermone 115
più lungo esser non può,
però ch' i' veggio
là surger novo fummo del
sabbione.
Gente
vien con la quale esser non deggio:
sieti raccomandato il mio Tesoro
nel qual io vivo ancòra, e
più non chieggio»...
Nella
conversazione con Dante vedo che la sua anima peccò , ciò per cui
scese nell' Inferno sopra la
cui porta è stato scritto ciò che si dice nella nona strofa del
terzo canto: “...Lasciate ogni speranza, voi ch' entrate”.
Nella
pagina destra 151 dell'
edizione suddetta della DIVINA COMMEDIA G. L. Passerini descrive Brunetto
Latini: Fu notaio e segretario del
Comune, e per saggezza politica e civile sapienza fu tenuto in gran conto al
suo tempo e lasciò degna fama di sé. Fu ambasciatore ad Alfonso
X, re di Castiglia, nel 1260, per muoverlo ad aiutare i guelfi contro Manfredi:
e dopo Montaperti esuli, con gli altri della sua parte, e andò in
Francia, donde fece ritorno nel ' 69...
Durante l'
emigrazione coatta Brunetto Latini scrisse Li
libres dou tresor e il Tesoretto.
A Firenze cambiano le sue idee politiche. In
un primo tempo Brunetto Latini chiede l'
aiuto contro Manfredi, dopo corregge la sua opera francese in prosa dove elogia
Arrigo II, Charle de Valois e Manfredi. Il dottore Bono Giamboni (interprete
della Storia contro pagani di
Orosio e dell' Arte della guerra di Vegezio) traduce
Li libres dou tresor in italiano dopo
la correzione.
Sembra che
senza pericolo di essere ucciso Latini ripeté il destino di Orazio
quando ritornò in Firenze. O, tradimento degli ideali! Ma Orazio sta
già nel Limbo con tutti gli altri pagani famosi.
Intanto voce fu per me udita: 79
«Onorate l'
altissimo poeta!
l' ombra sua
torna, ch' era diparita».
Poi
che la voce fu restata e quieta, 82
vidi
quattro grand' ombre a noi venire:
sembianza
avean né trista né lieta.
Lo buon maestro cominciò a dire. 85
«Mira colui
con quella spada in mano,
che vien
dinanzi ai tre sé come sire.
Quelli è Omero poeta sovrano; 88
l'
altro è Orazio satiro che vene;
Ovidio
è il terzo, e l' ultimo Lucàno.»
(La
DIVINA COMMEDIA di Dante Alighieri,
INFERNO, IV Cànto)
«Quell'
anima là su c' ha maggior pena», 61
disse maestro, «è Giuda
Scariotto,
che 'l capo ha dentro e fuor le gambe
mena.
De li
altri due c' hanno il capo di sotto, 64
quel che pende dal nero ceffo è
Bruto
(vedi come si storce e non fa motto!)
e l'
altro è Cassio che par si membruto. 67
Ma la notte risurge, e ormai
è da partir, ché tutto
avem veduto.»
(Infento, il XXXIV canto «La Divina Commedia» di Dante Alighieri annotata da G. L. Passerini)
Dante, verosimilmente, mandò l' anima di ser Latini nell' inferno a causa non solo dell' odio alle donne e del tradimento
degli ideali. Anche Dante tradì gli ideali, lo dimostra il suo
trattamento degli eroi repubblicani Giunio Bruto e Cassio Longino. Piuttosto l' anima di Brunetto Latini soffre nel
terzo cerchio all' interno del
terzo giro dell' “Inferno” a
causa degli elogi a Charle de
Valois (Purg. XX 70-78) ed a Bonifazio VIII (Inf. XIX 52-57, XXVII 70,
85, Purg. XX 87, Par. XVII 49, XXX 148; —
simboleggiato, Purg. XXXII 149, Purg. XXXIII 44 («La Divina Commedia» di Dante Alighieri (p.1120)annotata da G. L. Passerini).
Dante ha capito precisamente che
il tutto dipenderà dalla società costituita ed essa sarà
indifferente anche ai geni come lui. Dante scrive il capolavoro La DIVINA COMMEDIA come nessuno né prima né dopo lui.
Ma la società contemporanea capisce l' imparagonabile valore della sua ultima epopea non subito dopo
la sua morte.
Io non voglio paragonare il genio supremo di
Dante Alighieri con nessuno. Solo vorrei analizzare l' influenza condizionale di Dante e di molti altri sull' esempio concreto nella storia della
letteratura russa.
Itinerario condizionale del futuro Dottorato:
A) La base fondamentale: “Commento all’ “Isagoge” di Porfirio” di Boezio
è da considerarsi come il principio teoretico universale delle analisi
filosofiche singolari degli autori enumerati nel paragrafo (B).
2) Come è l’opera?
per caratterizzare la sua qualità. 3) Perché sono tali le
opere ricercate secondo la narrazione?
2) In primo, mediante la ricerca
precisa è stata scoperta la natura di ogni cosa e di carattere sulla
base del conosciuto. In secondo, ogni apertura diventa la fonte della conoscenza, in cui gli errori
diventano inevitabili e conducono al malinteso della realtà presupposta.
3) L’analisi filosofica secondo:
Dialettica di Aristotele
(essa consiste in tre parti della filosofia dialettica: speculativa (teoretica), attiva
(pratica) e razionale (ragionamento logico provocatoalcuni dubbi)) ciò
che è il mezzo per ottenere la conoscenza. Lo
della
natura di ogni
cosa appartiene alle ricerche teoretiche (nature delle cose) tramite le
pratiche (costumi), in cui la logica, che dipende dalle prime due parti della
filosofia, mediante i sillogismi, conduce alle proposizioni dell’origine e
dell’influenza di ogni concetto;
b) Che cos’è la
dimostrazione e come è stata costruita la dimostrazione degli scopi per
fare più verosimile o vero ogni concetto, in cui la logica diventa il
mezzo per ottenere ogni dimostrazione secondo le immagini, gli scopi filosofici,
le percezioni del tempo e della storia, ecc.
c) Dieci categorie di
Aristotele: qualità, quantità, relazione, luogo, tempo,
stato, l’avere, il fare (atto),
passione.
d) Dipendenza e
indipendenza delle intelligenze dai generi e dalle loro specie degli oggetti
corporali e incorporali.
e) Gli oggetti incorporali
che possono esistere fuori dei corpi: Dio, intelletto, anima che si evidenziano
nella «Rovina di Atlantide» e nelle opere paragonate o confrontate.
f) Desideri di essere
insieme di ogni opera.
g) L’
opinione falsa “se pensiamo non ciò che è, in cui il
ragionamento, al contrario non è falso perché esistono molte cose
che hanno la loro entità all’interno delle altre cose immaginabili e
inseparabili dalle prime” (la percezione potenzialmente precisa delle immagini,
del tempo e del universo da nelle sua opere ricercate).
h) Oggetti sensibili e
intelligibili.
i) Somiglianza ai paragoni e differenza ai
confronti.
k) Lo spirito umano
che separa tutto per i generi totali e dopo separa anche.
ogni genere per le specie col significato
differenziale
4) Universalitas et singularitas:
Il genere (metodo del “Commento all’ “Isagoge” di Porfirio”
menzionato di Boezio) è da considerarsi come il principio teoretico
universale delle specie (analisi filosofiche singolari degli autori seguenti):
a) gli naturalisti (“della
descrizione di eventi … senza alcun
tentativo di offrire spiegazioni” / del libero arbitrio e della
responsabilità umana di ogni atto)
b) gli antinaturalisti (“affidano
alla storiografia il compito di descrivere e comprendere…, tale comprensione
è ritenuta ermeneutica e distinta dalle spiegazioni delle scienze
naturali,”… si evidenzia “il fondamento della cultura concepita in opposizione
alla natura.” / loro sono di considerarsi i compatibilisti) appartengono tutti
e tre protagonisti.
c) i rappresentanti di questo
gruppo del comportamento di causalità, in cui tutto dipende dalla
previsione del destino e non si può cambiare nulla. (“ritengono una
spiegazione di eventi particolari senza ricorrere ad alcuna legge, cioè
i sostenitori della causalità singolare / loro appartengono a questo
gruppo tre essenziali protagonisti degli oggetti studiati.
BIBLIOGRAFIA (50 libri rappresentano la metà della letteratura
utilizzata)
1 (Ã. Ãîëîõâàñòîâ,
«Ãèáåëü Àòëàíòèäû»,
Èçäàíiå Îáùåñòâà Ðåâíèòåëåé Èçÿùíîé ñëîâåñíîñòè â Íüþ-Iîðêå â
1938 ã.
(G. Golokhvastov, “Rovina di Atlantide”, Edizione della Società degli
amatori del linguaggio squisito, New York 1938))
2 (Zinaida Ghippius, «Òèõîå ïëàìÿ» (“Fiamma quieta”)/Poesie 1889-1938, dalla
prosa autobiografica, dai diurni/ Ìîcêâà, Öåíòð-100
1996 (Mosca, Centro-100 1996)).
3 (Platone, “Dialoghi” VI vol., Laterza 1993,
Roma-Bari).
4 (Petroneo,
“Satiricon”, introduzione di Luca Canali, traduzione di Ugo Dettore, Biblioteca
Universale Rizzoli 1953, 1981 RCS Rizzoli, Libri S. p. A., Milano 1981, 87)
5 (Platone,
“Fedro”, Per conto di Zachinelli Editore S. p. A., Bologna 1998-2002)
6 (“Fedro:
Le parole e l’anima” a cura di Fulvia De Luise (p.201) 1997
Zanichelli Editore S.p.A., via Irnerio 34, 40126 Bologna (88838 Commentario:
248c249b. Il secondo discorso di Socrate: e) la legge di adrastea e il ruolo
della memoria)
7 (Ernst Cassirer “Individuo e cosmo” nella filosofia del rinascimento(pp. 199-200). (Leipzig, G. B. Teubner, 1927)
Traduzione di Federico Federdi. Proprietà letteraria Reservata)
8 (Áîðîäàé: Áîýöèé, «Êîìåíòàðèé ê Ïîðôèðèþ» «Íàóêà», Ìîcêâà 1990, (Bordai: Boezio,
“Commento a Porfirio” (pp. 348-360)Editore “Scienza” Mosca 1990)
9 (“La Divina Commedia” ristampa
anastatica dell’editore G.C. Sansoni p.3 (p.27), Firenze 1922,1988)
10 (“La Divina Commedia” a cura di
Natalino Spegno. Ricardo Ricciardi editore. Milano-Napoli, 1954 pp.3-4)
11 (Gheorghi Golokhvastov:
“Spiegazione delle parole e i commenti
dell’ autore” stampati nel fine del libro la “Rovina di Atlantide” N. Y. 1938 )
1 (“ATENE
ASSOLUTA” Crizia dalla tragedia alla storia. Monica Centenni. Saggi di
antichità e tradizione classica. Capitolo I, II “Timeo” e “Crizia”
Collana diretta da Lorenzo Braccasi, Francesca Ghedini e Alessandra Coppola (p. 47). Federa
editrice, Padova, 1997)
12 (“Maledetta
democrazia” studi su Crizia V Per un
profilo introduttivo. II. L’ombra lunga della. “Crizia” e Crizia (pp.
256-257). Edizione dell’Orso. A cura di Essegrafica, Torino
1999).
13 (Platone,
“Timeo” e“Crizia” , Rusconi Libri s. r. l., Milano
1994, 1997)
14 (“Grande Dizionario della lingua
italiana”, Unione tipografico-editrice Torinese . 9/V71964.)
15 (Platone
“Timeo” testo greco a fronte a cura di Giovanni Reale, Introduzione “Fortuna, struttura, concetti
cardine e significato del “Timeo” di Platone”, Il “Timeo” è stato lo
scritto di Platone più influente fino agli inizi dell’età
moderna1 (p. 9), Risconti Libri s.r. l.,
Milano 1994)
16 ( “Cognizione è la Forza” N 5 e N 7 «Çíàíèå — ñèëà» n 5 è n 7;1985 ãîä).
17 (Nostradamus the
complete propheties John Hogue: Nostradamus, Complete profezie John Hogue (pp. 41, 56, 120),
first published in Great britain in 1996 by Element Books Limited, Shaftesbury,
Dorset,ÔÀÈÐ ÏÐÅÑÑ,
Mosca 1999, ISBN 5-8183-0077-3, originali francesi, traduzione dall’ inglese in
russo di I. Gavrilova)
18 (“I FILOSOFI” Introduzione a
Nicolo Cusano di Giovanni Santinello (pp.26-28), Gius. Laterza & Figli Spa,
Roma-Bari, 1987)
19 (N. Cusano: “La dotta
ignoranza”, “Le congetture” a cura di G. Santinello, (p. 114),Risconti, Milano 1988)
20 (P. Ricoeur, “Sé come un altro” a
cura di D.Iannotta (pp.
310-311), Jaca Book, Milano 1999)
21 (“I
FILOSOFI” Introduzione a Nicolo
Cusano di Giovanni Santinello, II le prime formulazioni del sistema. 1)
Argomento e metodo del “De dotca ignorantia” (p.
33). Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari, 1987)
22 (“Linguaggio e mito” Al problema dei titoli
degli dei di Cassirer, Leipzig. Berlin, 1927, 38)
23 (“Il Libro delle Regole di Oro”, Frammenti scelti;
la prima parte: “La voce del silenzio” — traduzione E. P. B. del 1889. Stampa
del 1923. Tallin, Est.)
24 (“La consolazione della filosofia” di Severino
Boezio a cura di Claudio Moreschini (p. 41), Unione Tipografico-Editrice
Torinese.)
25 (Petroneo “Satyricon”: editr.
Proprietà letteraria riservata 1953, 1981 RCS Rizzoli Libri S.p.A.,
Milano)
26 (S. S. Avèrintsev: “Poetica della
temprana letteratura bizantina” (p. 325) , Mosca, Coda 1997) )
27 (“Les Carmina
d’Horace” Odes et épodes. Presentés par A. Debidour (professeur
de Première Supérieure au Lycée Condorcet. Classiques ROMA sous la direction de Gy
Michaud Agrégé de l’Université Docteur ès lettres (pp. 51-52). Librairie «Hachette», 1938.)
28 (Hempel, Negel e le leggi di
copertura: Cause e ragione che
si evidenziano in tre gruppi delle conformità umana: C. G.
Hempel, “Aspetti della spiegazione scientifica” (pp. 3 e
6), il Saggiatore, Milano 1986)
29 (Conclusiones magicae 5, Opera, 104 Pico della
Mirandola), “Idea del microcosmo e “Dignità umana”, Seconda parte, terzo
capitolo, Ernst Cassirer, (p. 1), Leipzig,
Berlin, 1938)
30 («Poeti del Duecento e poesia “popolare” e giullaresca» (pp. 67-68), Milano,
Liguri editori, s. r. l. 1979)
31 (Vladimir Jankelevich, “La menzogna e il
malinteso”, Raffaello Cortina, Milano 2000) (13) Agostino, “Sulla bugia”, a
cura di M. Bettetini, Bompiani, Milano 2001) (14) A. Tagliapietre, “Filosofia della
bugia”: “Figure della menzogna nella storia del pensiero occidentale”, Bruno
Mondatori, Milano 2001).
32 ( A. Tagliapietre, “Filosofia della bugia”:
“Figure della menzogna nella storia del pensiero occidentale”, Bruno Mondatori,
Mila)(Filosofia della
religioni Romano Guardini Religione e
rivelazione: Concetti di Sacro che sta dietro ogni suo frutto; qui l’unico
Sacro universale sta dietro il carattere simbolico dell’ opera. () Romano Guardini,
“Religione e rivelazione”, Via e Pensiero, Milano 2001)
33 (Cusanus. De ludo
globi, Lib. II, 232; cp. Ficino. Teologia Platonica. VIII, 16)
34 (Filosofia della religioni Romano Guardini Religione e rivelazione:
Concetti di Sacro che sta dietro ogni suo frutto; qui l’unico Sacro universale sta
dietro il carattere simbolico dell’ opera. () Romano Guardini,
“Religione e rivelazione”, Via e Pensiero, Milano 2001)
35 (Ovidio. OMNIA :“Metamorfosi” (p. 49), 2000 Unione
Tipografico-Editrice Torinese corso Raffaello, 28 – 10125 Torino)
36 (“Luce
senza tramonto” Sergej N. Bulgakov p 17, Lipa Srt, Roma, febbraio 2002
ISBN 88-86517-49-1)
37 (Dal Prefazio dell’ 8 Opera
di Picco della Mirandola, “Idea del microcosmo e “Dignità umana”,
Seconda parte, secondo capitolo, Ernst Cassirer, p. 1,
Leipzig, Berlin, 1927)
38 («Ââåäåíèå â ðîìàíñêóþ ôèëîëîãèþ» Ì., Â. Øê. 1987 ã., (ñòð.
94), Àëèñîâà, Ðåïèíà,
Òàðèâåðäèåâà — «Introduzione nella filologia romanza» M, Scuola superiora,
1987, pag. 132, autori: Alìssova, Rèpina, Tariverdìeva).
39 («Storia
della letteratura italiana dalle origini al Rinascimento»: capitoli
«Pseudoproblema delle “tarde origini” italiane» e «Dogmi, idoli, miti della
storia letteraria all'
origine», Milano, 1960)
40 (H. F.
Meller «Cronica del latin volgare» (p. 7), Ber. 1924)
41 (I. N. Golenitshev-Kutusov: «Letteratura latina
dell' Italia medievale»,
capitolo «Monumenti più antichi della lingua italiana», (p. 190) Editrice
“Scienza”, Mosca 1972)
42 («Conflitti tra
le interpretazioni» -- «Conlicts des interpretations» èditions
du seuil, 27, rue Jacob, Paris VI).
43
(«Vérité et métode» Les grandes lignes d’ une herméneutique philosophique.
Editions du Seuil 27, rue Jacob, Parie VI e)
44 (Passerini, La D. C. NOTIZIA SULLA VITA e
sulle opere di Dante (III), Milano 1922)
45
(Pierre-Jean MINICONI.
Agragé de l' Université. Docteur ès lettres. «Les
Métamorphoses» d' Ovide, extaits.: La vie du poète. (pp. 2-3)Traduzione di Alexander Kiriyatskiy. “Classiques ROMA Hachètte 1953)
46 (Introduzione del traduttore
di Boezio in italiano Luca Obertello cronologico alla “Consolazione della
filosofia” (p. 28)/Rusconi Libri s. r. l., viale Sacra 235, 20126 Milano
ISBN 88-18-70150-9/, 1996)
Disegno di A. N. Avinov: Vicino al portone della morte